di As Chianese

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“Ora attraverserai il mare delle tenebre, e ciò che in esso vi è di inesplorabile”. Così, inaspettatamente, una voce pone fine alle immagini di uno dei film più visionari di Lucio Fulci (Roma: 27 Luglio 1927 – 13 Marzo 1996): “L’Aldilà”. Quest’intervista tenta di farci attraversare il “mare delle tenebre”, cerca di fare luce sui ricordi di un regista di genere: estremista e cinefilo, un Lucio Fulci rappresentante un cinema concretamente alternativo, da middlenight, spregiudicato.
Un cinema amato dal grande Quentin Tarantino che nel suo “Kill Bill Volume I” non esita a offrirci il tema portante della colonna sonore di “Sette Note in Nero” per salutare il risveglio dal coma della vendicativa Black Mamba, non esita a far sanguinare gli occhi ad una delle vittime di questa proprio come una delle numerose vittime di “Paura nella Città dei Morti Viventi” e, addirittura, a lasciarci interdetti quando, nello script originale di “Kill Bill volume II”, troviamo la descrizione, con testuali parole, di un personaggio che si solleva da terra “come uno degli zombi di Lucio Fulci”. Poco amato dalla critica, ma adorato da un suo pubblico, questo regista vede nelle citazioni di Tarantino un riconoscimento che nessun critico e nessun premio avrebbe mai saputo e potuto dargli.


L’intervista proposta di seguito è una specie di contatto medianico tra me è il regista dove funge da medium la sua splendida figlia: Antonella Fulci, saggista e opinionista dalla penna aguzza e dallo spirito libero come il padre.

As Chianese: Come era tuo padre nel privato? Come si comportava fuori dal set, con gli amici…

Antonella Fulci: Era divertentissimo, pungente, a casa si rideva molto, di tutto e di tutti Nel rapporto con gli altri, chiunque essi fossero, c’era sempre amore o odio, mai una via di mezzo. Era una persona assoluta, in tutti i sensi.
Se a primo acchito ti trattava bene, se era disponibile e cerimonioso voleva dire che non gli piacevi granché, se invece era burbero, scostante e polemico voleva dire che ti voleva un gran bene.

Ti piacevano queste sue peculiarità?

Papà era divertente!
Era un grande cinefilo, e mi ha insegnato a ‘leggere’ i film. Aveva tanta devozione per i maestri che spesso, nel suo lavoro, si è anche frenato per paura di confrontarsi con i loro temi. Come dicevo, oltre a regista era uno spettatore accanito e cinefago. A casa eravamo capaci di parlare di uno specifico film per ore. Era bello.

Come è stato il passaggio, per Fulci, dalla commedia al thriller? E’ stato alquanto sofferto o naturale?

E’ stato un passaggio naturalissimo, per un fan come lui del noir francese, e del giallo in genere. Chandler era la sua passione. Il passaggio ci fu anche perché le tendenze, i gusti cinematografici, cambiarono.

Era un grande lettore di Agatha Christie?

Si, soprattutto per quanto riguarda la meccanica del giallo. Perché se guardi “Non si sevizia un Paperino”, che è il thriller di papà dal taglio più umano, c’è una meccanica di ferro. Lui a queste cose ci teneva molto.

Il primo thriller che ha diretto, invece, fu “Una su l’Altra”?

Un film molto sottovalutato!
Sicuramente è un tributo ad altre pellicole del genere, è ricco di citazioni, però la meccanica è perfetta. “Una su l’Altra” mi piace moltissimo anche per la sua freddezza, per la sua assenza di personaggi positivi. Mio padre mi diceva: “In questo film, in un modo o nell’altro, sono tutti dei falliti”.

Ha delle analogie con un film di Riccardo Freda: “A Doppia Faccia”, che era stato scritto proprio da tuo padre?

Ho sentito parlare di riferimenti con“Il Dolce Corpo di Deborah”, anch’esso con Jean Sorel. Nel film c’è molta “grammatica”, molta scuola, e tutta la meccanica del mondo. In antitesi con questa tendenza, citava spesso Chandler come esempio di meravigliosa irrazionalità della trama. Mi spiegò che molte incongruenze delle trame di ‘Marlowe’ dipendevano dal fatto che Chandler pubblicasse le sue storie a puntate su un settimanale, e che spesso non ricordava bene cosa avesse scritto la settimana prima. Era l’unica digressione sentimentale che si permetteva in quell’equazione perfetta che è il giallo.

La prima serie dei suoi film thriller erano scritti dallo sceneggiatore Roberto Gianviti, cosa ricordi di questo scrittore?

Purtroppo è morto due anni fa. Lo incontrai un annetto prima della sua morte, stava benissimo. Poi seppi che in seguito non era stato molto bene.
Il rapporto tra mio padre e Gianviti era stupendo, perfetto. Erano capaci di stare anche parecchio tempo fermi su una singola scena, infatti per scrivere il famoso finale di “Una su l’Altra” ci impiegarono circa un mese.

Nei film scritti con Gianviti c’è sempre un elemento di psicologia o di parapsicologia, penso a “Sette Note in Nero”.

Mio padre non ha mai creduto nella psicologia, nella psicoanalisi. Nei suoi film questi elementi servono solo da destabilizzanti. Prima dello “ Squartatore di New York”, gli psicoanalisti e i poliziotti dei film di mio padre non avevano mai cavato un ragno dal buco.

Poi, proprio da “Sette Note in Nero”, irruppe tra gli sceneggiatori di tuo padre Dardano Sacchetti.

Si, ma Sacchetti si è sempre aggiunto dopo. Non era un elemento fisso. Dardano si può iscrivere alla lista degli sceneggiatori storici di mio padre, ma sempre dopo Roberto Gianviti, Giorgio Mariuzzo, Daniele Stroppa e altri.

Un altro splendido thriller è “Una Lucertola con la Pelle di Donna”, cosa ricordi di questo film?

E’ un film che rompe molti schemi, per quel tempo. A proposito di questo c’è una scena che trovo molto emblematica: Il pranzo ultraformale della famiglia di Carol nel salone bianchissimo, freddissimo, ordinatissimo, consumato in un silenzio opprimente mentre dalla casa a fianco risuonano la musica, le risate e gli schiamazzi degli ‘hippies’. L’imbarazzo della famiglia ‘bene’ è palese, come è palese che per mio padre, nel bene e nel male, la vita stava dall’altra parte del muro.
Mio padre ribaltava i generi cinematografici a modo suo, ad un livello molto intimo e umanamente ‘militante’.

Come avvenne, poi, il grande passo di tuo padre: dal thriller all’horror? Fu un passaggio, ancora una volta, naturale?

Le tendenze cambiavano molto velocemente. Prima di passare all’horror, dopo le commedie, diresse un mini sceneggiato per la RAI in cui Franco Franchi interpretava un attore di avanspettacolo che nell’aldilà incontra un signore con la bombetta (chiaramente Totò) e gli racconta la sua strana vita: Si intitolava “Un Uomo da Ridere” ed era molto bello… poi sono venuti gli zombi.

C’è stato un intervallo, quindi?

La commedia gli era cara perché lui stesso era un tipo spiritoso. Ha fatto anche film politici come “All’Onorevole Piacciono le Donne” dove le scene ‘scollacciate’ sono state aggiunte dopo solo perchè l’attrice Laura Antonelli in quel periodo faceva cassetta. Tolte quelle scene resta un film politico, piuttosto pesante e estremamente profetico, molto diverso da quello, anch’esso interpretato da un grandissimo Buzzanca, scritto con Pupi Avati: “Il Cavalier Costante Nicosia…”.

Ritornando all’horror: la seconda carriera di tua padre inizia col produttore Fabrizio De Angelis e quindi con “Zombi 2”?

Fabrizio De Angelis è eccezionale, un pioniere…, aveva intuito prima degli altri che il futuro del cinema era nelle videocassette, e in tempi non sospetti, Faceva i film soprattutto per le distribuzioni estere. Il suo amico Jerry Gross, leggendario distributore indipendente, distribuì Zombie 2 in America, ed ebbe un tale successo che ora per gli Americani ‘Zombie’ è di Fulci e l’ottimo predecessore di Romero è ‘Dawn of the Dead’ .
In origine, Zombie doveva dirigerlo Enzo G. Castellari, ma non volle farlo e la palla passò a mio padre. Il resto lo sai…

So che non era stato un periodo particolarmente felice per tuo padre.

Io invece conosco molte persone, Dario Argento per primo, che, per motivi oscuri, spesso hanno “sciacquato i piatti” in questo cosiddetto “momentaccio” di mio padre, mentre lui se la rideva, e fino all’ultimo scorrazzava in barca a vela. Semplicemente, non stava bene, come capita a tutti.

In “Zombi 2” c’è una scena bellissima: quella in cui uno zombi acceca terribilmente un’attrice.

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Veramente bellissima, ricordo che mio padre scelse personalmente quell’attrice proprio perché aveva degli occhi stupendi: era Olga Karlatos.

So, ancora, di una buffa situazione verificatasi, sempre sul set di “Zombi 2”, con l’attrice Auretta Gay nel ruolo di un esploratrice subacquea.

Auretta Gay non sapeva nuotare. La mandarono a lezione di sub perché comunque doveva girare con degli squali, sia pur ammaestrati. Ma pare che questa signora andasse a fare queste lezioni, invece che al mare, in una piscina alla moda. Cosicché appena sul set non solo sapeva a malapena stare a galla, ma si terrorizzò al primo squalo incontrato.

“Zombi 2” incassò moltissimo… ma anche “Lo Squartatore di New York” andò forte.

Si, anche se per guai con la censura fu ritirato prestissimo. Fu uno dei pochi film che vidi al cinema. C’era la sala strapiena e sembrava che molti l’avessero già visto perché imitavano la voce da paperino. Le edizioni in cassetta o per la TV sono state massacrate. Ma non è la prima volta… Anche la versione che adesso circola su Sky di “Non si Sevizia un Paperino” è visibilmente tagliata, eppure questo film è stato da poco restaurato dalla cineteca nazionale.

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Dopo “Zombi 2” ci fu il cosiddetto “ciclo della morte”: “L’Aldilà”, “Paura nella Città dei Morti Viventi” e “Quella Villa Accanto al Cimitero”, ne vogliamo parlare? Quale è il tuo preferito di questo nucleo particolare della filmografia di tuo padre?

Io penso che il film più bello sia anche il più boicottato: “Paura nella Città dei Morti Viventi”. Molte persone parlano male del film dicendo che non ha assolutamente storia e che per loro questa è una “pecca”, mentre per me questo è il vero pregio del film. E’ un film che fa paura a livello viscerale, un incubo che non ha confini ne dimensioni. A me non fa paura per lo splatter ma per l’insieme. Questa perdizione che inizia con il suicidio del prete, i suoi colori cupi… c’è sempre buio in questo film. Mi piace molto, con tutto che non amo molto il periodo ‘splatter’ di mio padre.

Di “Paura nella Città dei morti Viventi” è rimasto guitto e misterioso il finale, ce lo spieghi?

Il finale di questo film era un fotogramma fisso, o perlomeno si doveva lasciare un alone di mistero sulla sorte del bambino. La scena finale col vetro rotto è un’invenzione del montatore Vincenzo Tomassi, era un ottimo montatore e scherzando diceva che mio padre gli portava i film già montati. Un giorno, discutendo di “Paura nella Città dei Morti Viventi”, a film quasi montato, propose a mio padre di inserire come finale un simbolo visivo: un vetro rotto che dia l’impressione della frantumazione dello schermo. Fu una cosa estemporanea. Oltretutto, se questo film non ha trama, non vedo perché,a giusta ragione, dovrebbe avere un finale.

Perché molti critici hanno detto che il più bel film di questa specifica produzione horror è stato “L’Aldilà”, puoi spiegarcelo?

Perché “L’Aldilà”, a differenza del successivo “Quella Villa Accanto al Cimitero” che è un film sulle case maledette come ce ne sono tanti, è un film simbolista. Da quando è venuto fuori il “Tarantinismo” e quindi la riscoperta di tutti i film di mio padre, i fans hanno estrapolato dal film una discutibile simbologia : il simbolo dell’oltretomba che appare ogni tanto nel film, il libro di Eibon, il pittore maledetto, lo strano quadro che egli dipinge… quel film ha delle icone di riferimento, è molto evanescente, sembra apparentemente il meno costruito perché gira intorno a queste chiavi pseudoesoteriche. Ci sono alcuni gruppi musicali che hanno adottato alcuni simboli de “L’Aldilà”, ma penso che diano poca credibilità a mio padre e al suo lavoro.

C’è un trait d’union tra questi tre film: l’attrice Katherine MacColl: che ricordi di lei? Perché divenne un po’ l’attrice feticcio di tuo padre?

A mio padre piaceva moltissimo lavorare con Catriona (vero nome della MacColl, N.d.R.): si divertivano molto insieme, diceva sempre che gli ricordava le bionde in pericolo nei film di Hitchcock. Con lei aveva più o meno la stessa affinità che aveva con Florinda Bolkan. Catriona era un’attrice disciplinatissima, che faceva benissimo il suo lavoro: Le bastava un ciak, massimo due.

So che la MacColl interpretò anche il ruolo di “Lady Oscar” in un film tratto dall’omonimo manga.

Certo! Ebbe un grande successo in Giappone dove, come mi raccontava la stessa Catriona, fu prodotto il film, in quel periodo c’erano i cartelloni pubblicitari sui grattacieli con la sua faccia. Mi raccontò che fu la prima a rimanere stupita del clamore suscitato da quel film.

Tuo padre fece degli splendidi horror in un periodo in cui in italia impazzava la moda dei thriller di Dario Argento, che rapporti c’erano tra di loro?

Mio padre “Profondo Rosso” lo ha visto insieme a me nel 1991. Non si erano mai conosciuti prima del 1994, ero presente io, alla serata finale del Fantafestival. Argento andò da mio padre e gli disse che dopo un suo soggiorno in America, dopo aver visto quanto i suoi film si vendevano oltreoceano, glia avrebbe voluto parlare di un progetto da realizzare insieme. Parlarono della realizzazione di un film basato su “La Mummia”, ma gli americani già avevano comprato,i diritti.

Quindi decisero di realizzare “Maschera di Cera”?

Si, ma la sceneggiatura originale di quel film era bellissima. Dopo vari rinvii, perché Argento doveva girare al più presto “La Sindrome di Stendhal”, quando si arrivò al dunque, mio padre purtroppo morì. Il testimone fu passato a Sergio Stivaletti, che riscrisse la sceneggiatura da cima a fondo, massacrandola. Possiedo una copia originale e ti posso dire che era tutta un’altra cosa., Il buffo cyborg rococò che appare alla fine ovviamente non c’è. Ma che lo dico a fare? Lasciamo perdere che è meglio, se no qualcuno si incazza.

Quali sono le scene che si sono salvate?

Beh, se me le ricordo tutte: sicuramente quella dei maiali, il disco dell’opera bagnato di sangue e l’incendio finale. Il filo conduttore del film Stivaletti lo ha seguito a modo suo, rovinandolo completamente.

Come mai lavorasti in quel film?

Per rispettare una promessa fatta a mio padre. Mi avrebbe voluto con lui, pur sapendo che non amo i set in generale. Quando poi morì, forse qualcuno volle, come dicevo prima, sciacquare i piatti proponendomi di lavorarci comunque. Umanamente fu una bella esperienza, ho conosciuto, nel reparto scenografia, delle belle persone. Ma l’atmosfera del set era irrespirabile, e, visti i risultati, se tornassi indietro non lo rifarei assolutamente

Mi togli una curiosità? Come mai “Voci dal Profondo” è dedicato in calce allo scrittore inglese Clive Barker?
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Barker è un mago della parola, e quando mio padre seppe che aveva un’ammirazione verso i suoi film, ne fu molto felice. Anche se “Voci dal Profondo”, per sua stessa ammissione, gli era venuto male volle dedicarglielo lo stesso per ricambiare l’ammirazione.
Lui non si è mai sentito il migliore, il più grande. Leggeva moltissimo, e aveva sempre un maestro al quale ispirarsi o da ammirare,

Cosa penserebbe tuo padre delle citazioni di Quentin Tarantino in “Kill Bill” dei suoi film?

Ne sarebbe orgogliosissimo, Tarantino ha inserito la colonna sonora di “Sette Note in Nero” in “Kill Bill”, e da quel che so, ama molto il film. Dal canto suo, papà era innamorato di ‘Le Iene’ e del talento di Quentin.

Come mai le location dei suoi film sono tutte americane? Che rapporto aveva con gli States?

Per quanto riguarda il cinema, mio padre era “un americano a Roma”. Ambientava i suoi film in America perché le pellicole che amava venivano da li… girava a New York perché semplicemente gli piaceva. Per ragioni di distribuzione, i film prodotti da De Angelis dovevano avere per forza un retrogusto americano. Ripeto, lui amava l’America, è stato critico di jazz, era forse un esterofilo. Amava molto New Orleans, ci avrebbe girato di tutto, persino un film con Franco e Ciccio. Diceva sempre: “Se vedi solo New York e Los Angeles non conosci l’America. Perché l’America è una grande provincia”

E’ una domanda attualissima: se tuo padre vedesse l’attuale situazione mondiale, l’attuale situazione politica dell’America, come commenterebbe?

Lui direbbe: non è l’America! Questa non è l’America!
Pacifista a 360° com’era sarebbe sicuramente in prima linea contro l’intervento in Iraq. Per lui, come per me, le guerre sono tutte uguali. Non bisogna farle e basta.
Se poi aggiungiamo che per lui i patriottismi dell’ultima ora erano solo ridicoli, puoi farti un’idea da solo di cosa direbbe….

Sai qualcosa su una sceneggiatura per la quale si ebbe una rottura tra tuo padre e Dardano Sacchetti: “Evill Come Back”, che poi girò Lamberto Bava per la TV col titolo di “Per Sempre”?

Lo iniziarono a sceneggiare insieme, ma poi mio padre non lo realizzò più e Sacchetti lo passò a Lamberto Bava – secondo mio padre, firmando anche parti non scritte da lui. Ne so poco, ma questo è ciò che ripeteva lui

Perché la figura di tuo padre, vista dal di fuori, senza il tuo apporto, sembra così incomprensibilmente complessa? Perché girano tante leggende su di lui?

Vero. In un sito ho addirittura letto che mio padre, diabetico, si era suicidato mangiando della cioccolata. Conoscendolo, avrebbe dovuto mangiarne una fabbrica intera. Dovevi togliergliela di mano la cioccolata, spesso la mangiava di nascosto, alla faccia del diabete. Se ne dicono tante e lui era fatto così…La celebrità indotta purtroppo pesa :)

Antonella Fulci gestisce un suo blog estremamente interessante: http://antonella-fulci.splinder.it/