di Valerio Evangelisti
[Le edizioni Mimesis hanno appena pubblicato il volume di Claire Richard Young Lords. Storia dei Black Panthers Latinos (1969-1976), pp. 238, € 18,00. Proponiamo l’introduzione di Valerio Evangelisti.]
Non c’erano solo le Black Panthers. C’erano anche i Brown Berets (latini), le Red Guards (cinesi), e soprattutto gli Young Lords (portoricani). Nella seconda metà degli anni Settanta gli Stati Uniti videro un fiorire di organizzazioni di sinistra – anzi, di estrema sinistra, ma poco marxiste, anche quando si dichiaravano tali – con un radicamento più o meno profondo nelle comunità emarginate delle minoranze etniche.
Il Partito delle Pantere Nere emerse come il gruppo più numeroso, influente e diffuso. Subito dopo, per consistenza, venne lo Young Lords Party, nato da una gang di Chicago e radicatosi soprattutto a New York, Questo libro straordinario ne narra la storia misconosciuta in Europa, dando la parola ai militanti che ne furono protagonisti.
Ciò che colpisce è, in primo luogo, la conquista del consenso, che condusse un gruppo inizialmente sparuto a guidare mobilitazioni di massa e obbligò spesso l’avversario politico e sociale a scendere a patti. Oltre all’adozione di temi nazionalistici tipici del Terzo Mondo e dei paesi latinoamericani, dettati dall’essere Portorico di fatto una colonia, gli Young Lords accantonarono quasi subito temi libreschi per mettersi al servizio della comunità di origine. Se nella genesi delle Pantere Nere ebbe importanza la lotta per rendere sicuro un incrocio pericoloso a Oakland, gli YL si impegnarono a liberare il ghetto portoricano di New York dalla spazzatura, aprendo una dura vertenza fatta di azioni esemplari e di grande inventiva.
Sembrerebbe ridicolo che un’organizzazione rivoluzionaria esordisca interessandosi di igiene urbana. Non lo fu perché era uno dei problemi più sentiti dal “ghetto” (tali erano, per chi ci soggiornava e per chi le contemplava dall’esterno, le aree portoricane della metropoli come East Harlem). Seguirono iniziative come le colazioni per i bambini in una chiesa occupata – sull’esempio delle Pantere, prassi poi imitata in Italia, a Napoli, da Lotta Continua – e la gestione di scuole, ambulatori gratuiti, servizi di consulenza legale e altro. In tempi rapidissimi, gli YL furono riconosciuti quali parte integrante della comunità di appartenenza.
Una prassi riformista? Non esattamente. Nel farsi carico della gestione del “tempo libero”, e in realtà della socialità comunitaria, gli YL svolsero una funzione analoga a quella delle Case del Popolo italiane e degli esperimenti analoghi in altre parti del mondo. Valorizzarono, del classico trinomio della Rivoluzione francese – Liberté, égalité, fraternité – il terzo elemento, il meno compreso e il più ignorato dalle sinistre classiche, anche americane. Del resto, come avvicinare le masse portoricane, un proletariato con comportamenti da sottoproletariato, e considerato puramente Lumpen dall’élite egemone negli USA? Con la prassi, a partire dai problemi quotidiani.
Inclusi quelli delle donne e delle minoranze sessuali. A differenza delle Pantere, gli YL diedero grande peso alla tematica femminista e alla questione gay, sfidando in tal senso la cultura tradizionale del ghetto, impregnata di machismo. Posero l’argomento tra quelli trattati dalle loro scuole quadri. Ebbero, inizialmente, un atteggiamento più defilato dei loro cugini afroamericani in fatto di militarismo e di autodifesa. Agli uni il fucile, agli altri il nunchaku.
Come giungere, così, alla “società socialista” auspicata negli statuti degli YL? Praticando il socialismo, fino a condensare una società altra, retta da valori egualitari, all’interno del sistema rifiutato. Un po’ sull’esempio delle “basi rosse” teorizzate e costruite da vari movimenti guerriglieri, a quel tempo. E il riferimento principale dei Lords erano in effetti i movimenti armati soprattutto latinoamericani, che dove assumevano il controllo del territorio subito cercavano di impiantare loro istituzioni alternative. Governo di domani, negli auspici dei combattenti.
Inutile negarlo, fu un fallimento. Gli YL apportarono mille benefici alle comunità portoricane e alla gente dei ghetti, tuttavia non misero in crisi il sistema nemmeno per un istante. Come avrebbero potuto, senza un’azione politica e militare effettiva, e non solo minacciata con baschi alla Che Guevara e slogan truculenti? Per di più la loro analisi era solo larvale. Nazionalismo portoricano a parte, avevano idee molto vaghe sul tessuto di classe, sul capitalismo e sulla stratificazione sociale che induceva. Si occupavano unicamente di diritti civili elementari, senza cogliere per intero la complessità e la potenza del nemico.
Non giunsero mai al punto di teorizzare un capitalismo di colore, come fece Huey P. Newton nella fase crepuscolare delle Pantere. Non subirono il fascino dell’americanismo, come in fondo il Black Panther Party, che nel decimo punto del suo programma richiamava la costituzione degli USA. Ciò malgrado erano americani, e quando cercarono di fondersi con l’indipendentismo di Portorico furono respinti. Ciò costituì l’inizio di una serie di divisioni e del disastro finale. Causato non dall’FBI, non dagli infiltrati, non dalle forze repressive. Gli YL si suicidarono per lacerazioni interne, più di quanto fossero schiacciati.
Cosa resta dell’esperienza dello Young Lords Party? Negli Stati Uniti una memoria di dignità riconquistata che si è mantenuta, pur prendendo altre vie. Ma, paradossalmente, è in Europa che quel percorso, nei suoi anni migliori, potrebbe risultare fruttuoso. Chi, dalle nostre parti, parla del mutualismo quale modo di crescere di una sinistra futura, dovrebbe leggere con attenzione queste pagine, che additano premi e pericoli. E, sul piano culturale e metodologico, far tesoro di una storia orale, o se si vuole un’inchiesta, di formidabile efficacia.