di Nico Maccentelli

(Capitoli 9 e 10)

9.

Appena giunse a casa, Yuri attivò la segreteria telefonica. Nessun messaggio di Eva. Capì che stavolta la cosa era seria. La stronza, in tutte le sue scene madri, non era mai andata via senza lasciare almeno un biglietto. Altrimenti che scene madri erano?

Decise di chiamarla. Aveva pur diritto a una spiegazione. Si mise comodo sulla poltrona, fissò il telefono per qualche istante, poi alzò il ricevitore.

All’altro capo del filo, dopo una decina di squilli, rispose con la sua solita voce stridula Clotilde, la madre di Eva.

— Ciao, sono Yuri. Non c’è Eva, per caso?

— Yuri caro! come stai?

“Puoi immaginarti come sto, vecchia befana” pensò Cattabriga, ma non lo disse. — Bene. Ma vorrei avere notizie di Eva.

— Ora non c’è, caro.

— Ma è venuta lì da voi?

— Certo. Era il minimo che potesse fare per come l’hai trattata.

La vecchia disse questo senza cambiare minimamente tono, mantenendo lo stile di un’amabile conversazione tra amici. E Yuri dovette trattenere la rabbia.

— Clo, non voglio discutere di fatti che riguardano me ed Eva…

— Riguardano anche me! — strillò la donna, — da quando ho visto lo stato pietoso della mia bambina. 

— Ma guarda Clo che io non le ho fatto nulla.

— Ah, io questo non lo so.

— Lo sai, lo sai, ma solo nella versione di Eva.

— Ed è quanto basta…

— Sì, quanto basta per sputare sentenze!

— Sarai anche un poliziotto, ma sei un bel villano!

Yuri trattenne una varietà ben colorita di insulti e cercò di ricomporsi. Non ne valeva la pena, dopo tutto. — Scusami Clo — disse. — Un giorno ne parleremo a mente fredda. Volevo solo sincerarmi se Eva era lì, perché se ne è andata via senza dirmi nulla e sai com’è: dopo una giornata di silenzio ero già un po’ preoccupato. L’importante è che stia bene.

— Ora sì, sta bene — confermò la madre con tono acido.

— Bene. Faccio tanti auguri a tutti. Senza rancore, ciao Clo.

— Ciao Yuri.

Cattabriga riattaccò mentre un grumo di tristezza si andava formando nel suo petto. Era finita.

Dall’altra parte del filo Clo aveva appena messo giù il telefono e guardava Eva, vedeva i suoi occhi lucidi e le mani contratte sul grembo. Ma vedeva anche il suo sorriso.

Yuri accese la tv. Resistette solo pochi minuti. Solite stronzate televisive. Spense la tv e si avviò in cucina. Doveva farsi da mangiare, ma non aveva fame. Ogni angolo parlava ancora di lei. C’era ancora il suo odore in giro, in bagno, sul letto, dentro l’armadio, nei suoi cassetti vuoti. Un’astinenza da tossico peso in poche ore.

Aprì il frigo. Tre polpette secche. Fanculo. Lo richiuse violentemente. L’anta sbattuta fece tremare anche il pavimento. In quella casa niente sembrava suo. Perché altrimenti avrebbe dovuto ammettere con se stesso che quei mobili dozzinali, quel disordine di passaggio in un ambiente riassettato da poco dalla donna di servizio, quella mancanza di personalità incombente ovunque, erano le tracce più evidenti di un imbecille che manda a puttane un amore per una carriera in polizia.

Quante volte le aveva urlato “fricchettona ideologizzata da anni di cretinismo alternativo e radical chic”, in risposta ai suoi “fascista di merda”. Ma tutte le volte che lei gli aveva detto “basta, vado via” le aveva risposto “pensaci bene”. E tutte le volte lei tornava indietro, dopo due ore di cinema, di Sandra, come diceva lei, o di chissà cosa.

Solo una volta era andata a stare per un mese dai suoi, in villa, a far finta di vivere con i suoi corsi di ceramica e pittura su vetro, ma ben sovvenzionata da paparino, che poliziotto servo-della-borghesia non era, ma grande barone dell’oncologia ufficial-chemioterapica sì. Poi era tornata. Tornava sempre. Per ricominciare a litigare il giorno dopo.

Sì, stavolta c’era qualcosa che gli diceva che era finita, anche se era passata solo una giornata. Non capiva bene cosa. Lo sapeva e basta.

Tornò verso il tavolo e prese tra le mani un foglietto di carta. Era un biglietto da visita trovato nelle tasche della vittima. A caratteri viola era stampigliato il nome d’un locale: il Marienbad, un night club frequentato più che altro da gente un po’ su con gli anni. Un po’ molto per i diciott’anni del ragazzo. Cosa c’entrava Luca Casella con quel posto di signori attempati, babbione in tiro e pappagalli in cravattino?

Improta quel biglietto lo aveva subito accantonato. Eppure era strano che fosse nelle tasche del giovane.

Cattabriga cambiò programma alla sua serata: non più il film semierotico delle 22,45, ma una puntatina al Marienbad.

Un quarto d’ora dopo, mentre scendeva le scale, si stava ancora guardando poco convinto la vecchia giacca di raso grigio scuro che faceva da spezzato a un paio di pantaloni verdognoli. Uno schifo. Si contemplò con pena per l’ultima volta davanti al vetro della porta e uscì.

Il Marienbad era in un vicolo del centro storico. Un’insegna con luce al neon giallognola riprendeva la scritta del biglietto da visita. Il palazzo era un edificio molto vecchio, difficilmente databile, perché era il risultato di sovrapposizioni architettoniche.

I muri scrostati confermarono l’ambiente un po’ laido dell’atrio, con un tappeto rosso che partiva dall’ingresso e giungeva fino a una cassiera settantenne con capelli biondo ossigenato, che dietro un vano a vetri era intenta a fare le parole crociate. Il tappeto poi proseguiva il suo percorso verso una porta a due ante scura. Da due vetri rotondi baluginavano luci rosse e gialle e si sentiva attutita una musica che doveva essere un cha cha cha.

Cattabriga si fermò per un istante fissando la vecchia bionda. La cassiera ricambiò lo sguardo con un’occhiata diffidente. L’ispettore si nettò con due movimenti bruschi le scarpe su uno zerbino ormai liscio e senza peli e percorse il tappeto fino alla cassiera. Questa srotolò un sorriso a quattro denti, i pochi che gli rimanevano, e con gentilezza falsa e automatica chiese: — È solo?

— Sì.

— Sono cinquanta euro con consumazione. Il guardaroba è obbligatorio.

“Inizia a costarmi questa indagine” pensò Yuri. Ma pagò senza fiatare.

— Prego disse la cassiera, indicando l’ingresso con la mano.

L’ispettore proseguì verso la porta e gli venne incontro trafelato un portiere con marsina, intento ad allacciarsi la patta dei pantaloni. — Messieurs, prego, il suo soprabito. — Gli indicò il guardaroba, seminascosto sulla sinistra, dove una ragazza, una moretta graziosa, fumava placidamente. Dietro di lei c’erano non più di una decina di abiti.

— Non ce l’ho — rispose Cattabriga.

— La giacca, allora — incalzò il portiere, che era completamente pelato e con una faccia da gallinaccio.

L’ispettore pensò alla pistola che aveva nella fondina allacciata attorno alla camicia e rispose seccato: — Pago il guardaroba, ma la giacca la tengo!

— Come desidera — disse il gallinaccio facendo un mezzo inchino.

Pagò altri cinque euro alla ragazza ed entrò.

Il salone aveva sicuramente conosciuto tempi migliori. Era in perfetto stile squadrato anni ‘70 e aveva numerose zone d’ombra, interrotte dalle luci tremolanti di candela nei séparé. I fasci di luce gialla e rossa provenivano dalla pista da ballo, completamente deserta. In fondo, un bar piuttosto lungo vedeva la presenza di non più di cinque avventori abbarbicati su sgabelli di ferro, con sedile rotondo in sky marrone.

Cattabriga passò di fianco a un gorilla dalle vaghe sembianze umane. Il buttafuori, gonfiatissimo da anni di deprimente palestra, lo squadrò con un mezzo sorriso sarcastico. L’ispettore tornò a guardarsi la giacca, passò di fianco al gorilla con espressione imbarazzata e raggiunse il bancone.

Il barman non poteva che essere intento a pulire un bicchiere con uno straccio. Sembrano pagati per fare solo questo, pensò Cattabriga.

— Cosa servo al signore?

— Una coca — rispose Yuri consegnandogli il biglietto d’ingresso per la consumazione.

Il barman commentò la richiesta poco ardita con una smorfia di disgusto e gli versò la bibita da una bottiglietta. — Limone? — chiese.

— No grazie. Senta, è la prima volta che vengo qui, le posso fare qualche domanda?

— Dica pure — disse il barman abbassando gli occhi sul bicchiere che stava lucidando.

— Questo locale, da chi è frequentato?

— Ma, non so che dirle. La gente che ci viene ha tutta una certa età…

L’ispettore tracannò mezzo bicchiere, trattenne un rutto e chiese di nuovo: — Una certa età dai quarant’anni in su?

— Una certa età dai quarant’anni in su — confermò il barman senza alzare la testa.

— Quindi lei esclude la presenza di giovani?

Il barman alzò per un attimo lo sguardo, soppesò Cattabriga e chiese: — Giovani in che senso…

A Yuri per un istante parve di partecipare a un dialogo da teatro dell’assurdo. Era una delle sue prime indagini, sicuramente la più impegnativa, ma in quel ruolo si sentiva un po’ coglione.

— Giovani nel senso di diciottenni.

— Lo escludo nel modo più assoluto — tagliò corto il barista.

A questo punto Cattabriga avrebbe dovuto tirare fuori la foto del Casella, ma non sapeva se qualificarsi come poliziotto oppure no. Sapeva che se avesse rivelato la sua identità probabilmente il barista avrebbe avuto un atteggiamento omertoso. Soprattutto se avesse saputo qualcosa della vittima. Un bel dilemma. Decise di proseguire in incognito.

— Senta, io sto cercando una persona.

— Ah, mi pareva — commentò il barman senza alzare gli occhi dall’ennesimo bicchiere che stava lucidando.

— È mio fratello.

— E lo viene a cercare proprio qui?

— So che è venuto qui varie volte, ma non so nulla di più. È sparito…

— Ma per queste cose c’è la polizia.

— No, non voglio scomodare la polizia. Manca da casa da appena ventiquattro ore.

— Sarà sotto qualche lenzuolo, non trova? Un ragazzo di diciotto anni…

Yuri tirò fuori la foto e la mostrò al barman. — Ma guardi almeno se lo riconosce, cosa le costa?

Il barista alzò per un attimo lo sguardo, osservò Cattabriga, poi la foto, poi concluse: — Lei è venuto qui per importunare.

— No, no le giuro… — ma la frase gli si smorzò davanti al cenno fatto con la mano dal barman verso il buttafuori.

Il gorilla sembrava non aspettare altro. Raggiunse il bancone con passo rapido ma pesante e si parò innanzi a Yuri. — Che c’è? — chiese al barman.

— Questo signore mi sta facendo strane domande su giovani che, a dire suo, frequenterebbero questo locale. E su fratelli scomparsi che puzzano lontano un miglio di cose losche.

Yuri intervenne: — Ma no mi lasci spieg…

— Hey bello — lo interruppe subito il buttafuori, picchiettando con forza l’indice sul suo petto, — sei venuto qui per rompere i coglioni?

— Ho solo fatto un paio di domande .

Il gorilla lo afferrò per il bavero della camicia. — E io ti posso dare solo un paio di pugni. Che ne pensi?

Yuri fu sollevato di peso dal buttafuori, ma dopo una manciata di secondi ridiscese delicatamente. All’imboccatura di una narice del palestrato c’era la canna nove lungo della Beretta d’ordinanza del poliziotto, che con l’altra mano esibiva la tessera di riconoscimento. — Ispettore di polizia Cattabriga — si qualificò.

— Mi scusi — farfugliò il gorilla. E guardò furente il barman, con l’aria di dire “dopo facciamo i conti” — non poteva dirlo subito? Sa, io qua ho delle belle responsabilità, il padrone è via, e lei non ha idea… tutte le volte ci capitano dei maniaci che…

— Accetto le scuse — tagliò corto Cattabriga. — Voglio sapere se questo ragazzo ha bazzicato in questa fogna oppure no. Ma attenti tutti e due a quello che dite, perché se da riscontri incrociati vengo a sapere che mi avete mentito, non troverete più da lavorare neppure in una bancarella di caldarroste.

In quel momento entrarono nella sala un paio di donne sulla cinquantina con due ragazzi sui venti. L’ispettore guardò il barman con un’occhiata ironica. — In questo locale non si sono mai visti giovani, eh?

Il barman si sistemò nervosamente il nodo del cravattino e disse: — Mi faccia vedere la foto.

Cattabriga la mostrò a tutti e due.

— No, la faccia non mi dice nulla — concluse il barman.

— Zero assoluto — disse lapidario il buttafuori.

Yuri li guardò con aria severa. — In questa vicenda c’è scappato il morto, signori. E quando c’è di mezzo un morto, per di più giovane, capirete che non si va tanto per il sottile.

— Ma noi non l’abbiamo mai visto! — protestò il gorilla.

— E non l’avete mai visto neanche oltre quella porta? — domandò l’ispettore indicando un portoncino in fondo alla sala, dove stavano entrando le due donne con i due ragazzi.

Il suo sguardo si fece ironico. — Scommetto che se vado a farci una visitina, trovo i proprietari dei giubbotti e dei visoni che ho visto in guardaroba, e di cui in questa sala non c’è traccia. E se ho un po’ di fortuna li trovo in atteggiamenti forse un po’ sconvenienti.

— Questo è un club privato — disse il buttafuori — e gli atteggiamenti sconvenienti come li definisce lei sono del tutto legittimi.

— Ma magari non per i mariti di quelle signore dalla menopausa un po’ esuberante…

Il gorilla strinse i pugni e sibilò: — Che figlio di putt…

— Come ha detto?

L’uomo fissò l’ispettore con sguardo carico d’odio.

— Bene, l’avete voluto voi. Vado a vedere se qualcuno là dentro ha bisogno d’un terzo a ramino.

Il barman ebbe uno scatto col corpo e gli si alzarono le sopracciglia. — Mi faccia vedere ancora… Ma sì, ora che ci penso…

Cattabriga tornò indietro ed esclamò: — Ooh! folgorato sulla via di Damasco!

Il barman tornò a guadare la foto. — Ugo aiutami — disse rivolto al buttafuori — non ti sembra che questo ragazzo sia venuto qua varie volte con quel gruppo di amiche…

Il gorilla alzò il capo verso il barista. — Sì, aspetta, il viso non mi è nuovo…

— Ora ci sono! — esclamò il barista con tono trionfale, — Questo è l’accompagnatore di una donna che fa parte di un gruppo di amiche che viene spesso qua, per ballare, cosa crede!

— Sì, sì — sbuffò Cattabriga. — E come si chiama la signora con cui… ballava … questo ragazzo.

— Aspetti… mi lasci pensare… Ugo, dammi una mano, il ragazzo parlava sempre con te…

Per il gorilla fu come una stilettata. — Sì, ma io l’ho conosciuto solo di vista, so che andava ancora scuola, che gli piacevano le moto…

— Ahi, ahi signor buttafuori — disse Cattabriga — mi sa che se non vuole venire a raccontare la sua vita in centrale dovrà fare uno sforzo di memoria titanico, per dirmi il nome di quella signora.

— Io non so come si chiami. È un gruppo di donne con una certa classe…

— Il nome…

— Lei mi pare che sia la moglie di un ragioniere o un bancario…

— Sì, ma il nome Ugo.

— Viene qua spesso e quel ragazzo è la sua ultima amicizia…

— Ugo, non mi far perdere la pazienza, tanto so già che nome mi dirai — incalzò Yuri bluffando.

— Veronica! ecco sì, Veronica!

Sul volto dell’ispettore si dipinse un sorriso malizioso di conferma. “Hai capito il nostro Luca?” pensò, “hai capito? Madre e figlia si faceva!”

— Quindi il Casella e questa signora Veronica andavano spesso là dentro — chiese Yuri indicando la porta in fondo.

— Sì — rispose il barman capitolando — e non è finita qui. Lei chiuda un occhio su quella saletta, e io le racconto qualcosa di molto interessante…

 

10.

Stanza del dott. Improta, secondo piano della questura.

Interrogatorio di Roberto Santoli: — Luca? non so se lo dovrei dire commissario, ma doveva restituire un bel po’ di soldi a Sandrone… duemila euro… beh, Luca giocava ai cavalli, non lo sapeva? … sì, Sandro Zucchi era un po’ arrabbiato… va bene, va bene… non erano i cavalli dell’ippodromo… ah, gli spaccia li chiamate cavalli anche voi? … sì gli aveva soffiato due milioni e non gli aveva ancora dato la roba…

Interrogatorio di Sandro Zucchi: — Vi giuro commissario, non so niente dei duemila euro! … Droga? (suda) … si ogni tanto che male c’è calarsi roba leggera? … ah, è reato? … no, non la sto pigliando in giro! … no! (piange) … no, no… va bene … era coca … MA IO COMMISSARIO NON C’ENTRO NIENTE CON LA MORTE DI LUCA, LO GIURO!! … (si asciuga le lacrime con un kleenex passatogli da Cattabriga) era uno stronzo, sì lo sapevano tutti che si ripassava la madre di Silvia … Luca era andato a un party organizzato da Silvia un pomeriggio, ed era entrato, ehm, in confidenza con la madre … ne ha raccontate… (ride stentatamente) sì ci vuole un bel fegato, vero? … (ride con speranza) gallina vecchia f-fa buon brodo, buona questa! … no, non so se il marito sapesse qualcosa …

Interrogatorio della signora Veronica Mezzetti in Mengoli:  — Che brutta vicenda, signor commissario! io e mio marito non ci dormiamo la notte! (si ritocca le palpebre umide con un fazzoletto di lino, ha un’aria afflitta) … Sì, quel ragazzo lo avevo conosciuto a una festa organizzata in casa nostra da Silvia… sì, era simpatico … ma guardi, io non ci faccio mai caso agli amici di Silvia … sì, spesso sono dei bei ragazzi, ma questo cosa c’entra con Luca? … ma cosa dice?!! … ma chi le ha detto una simile scemenza?? … non so se quelle sono mie … certo, amo far ricamare da una merlettaia le mie iniziali sulla maglieria intima, ma quelle mutandine possono essere di chiunque … no, no, chissà dove le ha prese Luca … sì, è uno scontrino della palestra Bodylui & Bodylei … sì, ci vado a fare saune e lampade al quarzo … che Luca andasse in palestra lì proprio non lo sapevo … come?! ci hanno visti più di una volta al Marienbad?!! (scoppia in singhiozzi) … commissario… commissario… non ho saputo resistere … lui era un demonio … ma le giuro che ci saremo incontrati una o due volte … mio marito? Non lo sa… no, non so se lo sa… sì, la telecamera che avete trovato è di mio marito, ma questo che c’entra… no! non è vero!! e poi, tutto questo cosa c’entra con l’omicidio di quel ragazzo? … (sospira) … sono stata da Sonia, una mia amica, tutto il pomeriggio… Grazie … ma mi raccomando non vorrei che questa storia si venisse…

Interrogatorio del dott. commercialista Nando Mengoli: — Sì, vado a caccia, perché? … no, non ho pistole. Ma dove vuole arrivare commissario? … mia moglie?! oddio, ma cosa dice?! … no, non sto facendo lo gnorri! è assurdo, con quel Luca! … io lo dicevo che era un cattivo elemento: non mi è mai piaciuto… ma cosa intende insinuare commissario… allora sa cosa le dico? Che sono arrivato in ritardo: se lo avessi saputo come dice lei, ora sarei sul serio qua per omicidio! … mi piaceva? Ma cosa dice! come si permette!! … ah l’avete trovato (si allenta il nodo della cravatta e si accende una sigaretta)… beh che c’è di male avere una telecamera nel finto specchio dell’armadio… e va bene: Luca veniva quando in teoria io dovevo essere in banca. Solo che ogni tanto prendevo dei giorni di permesso. Commissario, lei mi capisce… ah, non mi capisce… certo che lo sapeva quella troia, ma non le bastava mai, mai!! … io ammazzarlo? ma se quello stronzo ha salvato il nostro rapporto! … quel pomeriggio ero a lavorare, chiedete pure ai miei colleghi e al direttore dell’istituto … grazie commissario… ovviamente tutta questa storia… grazie commissario: mi affido alla vostra discrezione… sa, io ho una posizione… e poi la mia famiglia… grazie, commissario, grazie…

Gli agenti aprirono la cella, prelevarono Stefano e lo condussero nell’ufficio del dott. Improta. Il commissario, per una manciata di secondi che al ragazzo sembrarono un secolo, fece finta di niente, rimanendo con lo sguardo su alcuni incartamenti. Cattabriga era a braccia conserte davanti alla finestra e osservava il cielo con aria pensierosa.

— Siediti — ruppe il silenzio Improta, ma senza alzare gli occhi dal fascicolo.

Stefano prese posto sulla sedia di fronte alla scrivania, continuando a guardare i due poliziotti con aria interrogativa. Sentiva che era stato deciso qualcosa. Ma cosa? Prese l’iniziativa. — Allora, vado a casa?

— A casa il cazzo! — Improta alzò la testa e lo fissò con un ghigno beffardo. Poi indicò il fascicolo. — Lo sai cos’è questo, eh? Lo sai? . Non attese risposta: — È il risultato del tuo guanto di paraffina, e dice che tra un raggio laser e l’altro hai giocato a fare Tex Willer.

Cattabriga scosse la testa. — Perché, Stefano? Perché? — E avrebbe voluto aggiungere “Stronzo, quella ti ama ancora, ma è troppo puttana… come la madre. Dimmi tu se ne valeva la pena…”

— Non sono stato io! — urlò il ragazzo, — non sono stato io!!

— E allora chi è stato, lo spirito santo? — disse Improta e tirò il filo delle sue conclusioni: — Primo: nonostante fossero probabilmente in diversi a volere la morte di Luca, personaggio odioso, sbruffone, senza morale, spacciatore e quant’altro, tutti hanno un alibi, compreso il Mengoli, che effettivamente quel giorno e a quell’ora era al suo posto di lavoro. Del resto, come poteva il signor Nando, entrare nel Laser game durante una bella partita da soldatini dementi e piazzare una palla di trentotto in testa al tuo amico cazzone? Abbiamo fatto il guanto di paraffina anche al tuo amico Sandro Zucchi, con discrezione perché è il figlio d’un magistrato. E con lui, già che c’eravamo e per giustificare questo trattamento rivolto al figlio di un servitore dello stato, lo abbiamo fatto a tutti, Silvia compresa. Per grazia del cielo, Zucchi non è risultato positivo al test. Come del resto nessun altro. La tua suocera mancata invece è stata tutto il pomeriggio da un’amica. E la portiera del palazzo di Sonia Berselli lo conferma. Due: tu sei risultato positivo al guanto. Tre: anche tu avevi più che validi motivi per rifartela con il Casella. Quattro: la pistola non si trova, mio caro Silvan da strapazzo, e questo punto ce lo dovrai spiegare tu.

Le labbra di Stefano tremavano. Faceva fatica a ragionare. — Dove hai messo la pistola, Stefano? — incalzò Yuri.

— Voglio il mio avvocato — strillò il ragazzo.

Improta con tono di pomposa ufficialità, rispose: — L’abbiamo già chiamato, perché lei signor Stefano Venturoli è ufficialmente incriminato per l’omicidio del signor Luca Casella. Questo è l’avviso di garanzia — disse mostrando al ragazzo un paio di fogli dattiloscritti. — Il sostituto Piercamilli ha già firmato l’ordine di custodia cautelare e la interrogherà domattina. Il suo avvocato può ricorrere al G.I.P. se lo ritiene opportuno. Inoltre lei ha il diritto di non rispondere…

 

(Fine della quinta puntata, la prossima: domenica 07/04/2019)

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