di Paolo Lago
Un «osservatore e testimone attento». L’opera di Remo Ceserani nel suo tempo – Con bibliografia completa delle opere d Remo Ceserani – a cura di Stefano Lazzarin e Pierluigi Pellini, Mucchi Editore, Modena, 2018, pp. 762, € 30,00.
Il primo incontro con Remo Ceserani lo ebbi al liceo: il professore di italiano del triennio aveva infatti adottato Il materiale e l’immaginario, il testo di letteratura per la scuola curato dallo studioso assieme a Lidia de Federicis. Ricordo con piacere le prime immersioni in quello stupefacente libro che apriva diverse ‘finestre’ prospettiche sulle teorie critiche, su altre discipline, come la musica e la storia dell’arte, su opere e autori anche un po’ desueti e ‘lontani’ dal canonico percorso scolastico. E, forse, la mia passione per la letteratura è stata incoraggiata – oltre che, naturalmente, dal mio professore – anche da quella serie di ‘libroni’ con la costola rossa dei quali più di tutti mi appassionarono il quarto e il quinto volume, dedicati all’Ottocento e al Novecento. Diversi anni dopo, mentre frequentavo il dottorato, Ceserani lo vidi di persona (e per me rimaneva ancora, principalmente, l’incarnazione de Il materiale e l’immaginario) a uno dei corsi di Synapsis, la Scuola Europea di Studi Comparati – era il 2004 – organizzati dalle Università di Siena e Bologna presso la Certosa di Pontignano, vicino Siena, nonché, successivamente, ai convegni di “Compalit”, l’Associazione di Teoria e Storia Comparata della Letteratura.
Remo Ceserani è stato uno dei più grandi comparatisti italiani, docente, oltre che in diversi atenei esteri, alle Università di Bologna e di Pisa e, oggi, a poco più di due anni dalla sua scomparsa avvenuta a Viareggio nell’ottobre 2016, un volume, curato da Stefano Lazzarin e Pierluigi Pellini, ripercorre con rigore la sua opera e il suo metodo. Si tratta di una imponente raccolta di saggi realizzata da studiosi suoi allievi, amici e compagni di viaggio, dedicata alle più diverse sfaccettature della sua opera nonché della passione, anche umana e civile, che il grande critico riversava in ogni attività o studio che intraprendeva.
Dai saggi raccolti nel volume emerge innanzitutto il ritratto di uno studioso che mostrava insofferenza per il ruolo di maestro, “buono o cattivo che sia”. Come scrive Massimo Fusillo nel suo saggio dedicato all’eclettismo di Ceserani, egli non si riconosceva “in un modello verticale e autoritario di trasmissione del sapere dall’alto. La sua pratica era infatti orizzontale, antigerarchica: egli era un discepolo più anziano che assieme ad altri più giovani raccoglie e setaccia, sceglie «pazientemente il grano dal loglio, l’utile dal dannoso»”. Un intellettuale che, come nota Pierluigi Pellini nella Postilla al volume, “preparava con identico scrupolo un intervento in un istituto tecnico di provincia e una lectio magistralis a Princeton o Stanford”.
Il mondo della scuola, infatti, è sempre stato al centro dell’attenzione di Ceserani e, alla scuola, come già osservato, egli ha regalato una grande opera, Il materiale e l’immaginario che, realizzata assieme a Lidia de Federicis in dieci volumi, vede la luce a partire dal 1979. A essa, nel volume, è dedicato un saggio di Emanuele Zinato: come nota quest’ultimo, “l’opera di Ceserani e De Federicis apre l’educazione letteraria, fino a quel momento italocentrica, alla prospettiva comparatistica e allo studio dei temi letterari”. Fondamentale è l’introduzione del concetto di immaginario: esso, bagaglio individuale e collettivo, genera diversi “codici espressivi”, e le opere letterarie fanno sicuramente parte di questi ultimi. Perciò, per Ceserani e De Federicis, è più importante porre al centro dello studio l’immaginario individuale e collettivo piuttosto che astratte “griglie didattiche che considerano la letteratura come espressione dei movimenti di idee e delle poetiche del passato (il Medioevo, il Rinascimento, il Romanticismo, il Decadentismo…)”. Come ancora nota Zinato, Il materiale e l’immaginario presenta un “eclettismo utopico e interdisciplinare” che “mantiene l’ambizione illuministica «di cambiare le cose, nella cultura letteraria, nell’insegnamento universitario e in quello nelle scuole superiori, puntando sulle idee critiche»”.
Torniamo quindi al concetto di “eclettismo”, fondamentale per capire l’opera di Ceserani, concetto affrontato nel volume collettaneo da un saggio di Fusillo. Lo stesso Ceserani, nel settimo paragrafo della sua Guida allo studio della letteratura, intitolato Elogio dell’eclettismo, attua una sorta di confessione metodologica. “Critico eclettico” venne infatti definito Ceserani da un consulente Einaudi che rifiutò il suo primo volume, un saggio in cui era analizzato, con diverse prospettive metodologiche, il racconto Argilla dei Dubliners di Joyce. Da quella concezione negativa di “eclettismo”, Ceserani ha plasmato invece una prospettiva critica decisamente positiva: “un modo per definirsi e configurarsi – nota Fusillo – come «osservatore e testimone attento (mai quindi […] protagonista)» della scena culturale italiana, europea e internazionale, non incasellabile in un unico approccio critico”. Infatti, “la letteratura è […] una sorta di campo minore che deve la sua forza proprio a questa sua marginalità, a questa sua ambiguità multiprospettica che ha bisogno di approcci multipli”.
Eclettismo significa anche attenzione a campi del sapere diversi dalla letteratura: nel volume collettaneo, infatti, vengono ripercorsi con acume critico i più diversi cortocircuiti ‘interdisciplinari’ messi in atto dall’innovativo rigore critico di Ceserani. Aperture verso la tecnologia, la fotografia, l’etologia sono caratteristiche significative dell’opera dello studioso: basti ricordare i saggi Treni di carta. L’immaginario in ferrovia: l’irruzione del treno nella letteratura moderna, del 1993 (di cui si occupa nel volume Romano Vecchiet) L’occhio della Medusa. Fotografia e letteratura, uscito nel 2011 (al quale invece è dedicato un saggio di Guido Mattia Gallerani), L’uomo, i libri e altri animali. Dialogo tra un etologo e un letterato, uscito nel 2013 e costruito come un dialogo con l’etologo Danilo Mainardi (ce ne parla ampiamente, nel volume, Francesco De Cristofaro). A ‘controllate’ e rigorose “convergenze” fra discipline, Ceserani ha inoltre dedicato un saggio, Convergenze. Gli strumenti letterari e le altre discipline, uscito nel 2010, il cui scopo, come scrive Simona Micali in Un «osservatore e testimone attento», “non è favorire l’indebolimento o addirittura la scomparsa dei confini disciplinari, bensì il dialogo e lo scambio tra discipline che sono e devono rimanere diverse, in nome dell’utopia di una comunità del sapere e di un’organicità della cultura nel suo complesso”.
Fra i numerosi aspetti dell’opera e dell’attività intellettuale di Ceserani affrontati nel volume – che è pressoché impossibile qui abbracciare interamente – viene ricordato anche il suo apporto al concetto di “postmoderno”. È il 1997 e, presso Bollati Boringhieri, esce il suo studio Raccontare il postmoderno in cui, fin nel titolo, si può ravvisare la centralità da sempre attribuita da Ceserani alla narrazione e al racconto, tratti ineludibili anche da parte di un saggio critico. Come scrive Mario Domenichelli, Ceserani è stato non solo un importante comparatista, ma anche un “grande storico della cultura, del percorso, del destino dell’Occidente proprio negli anni della pienezza del postmoderno”, un momento in cui la cultura, l’arte, la letteratura – all’interno di quella “modernità liquida” individuata da Zigmunt Bauman – cercano la parodia e il pastiche, la fluidità, la metamorfosi e la transmedialità. Come storico della cultura, si può pensare, quindi – come fa Giulio Iacoli nel suo saggio – che Remo Ceserani sia stato quasi anche un “interprete partecipe o addirittura eminente espressione degli studi culturali in Italia”: ed è proprio – secondo Iacoli – “lo stile, il modo o l’apertura particolare del suo raggio di indagine, a incastonare la ricerca di Ceserani in una possibile genealogia degli studi culturali nel nostro Paese”. Un “interprete partecipe” che “rivendicava la propria ideale affiliazione al modus operandi della volpe, animale curioso, ardimentoso” e versatile (non a caso, Un «osservatore e testimone attento» reca in copertina la silhouette di una volpe).
E se Ceserani rivendicava una sorta di ‘narratività primaria’ anche alla critica letteraria, si deve ricordare che è stato anche l’autore di un’opera narrativa, il Viaggio in Italia del dottor Dapertutto, uscito nel 1996, che dispiega uno sguardo ironico e amaro sull’Italia dei primi anni Novanta, fra crisi economica, bufera di Tangentopoli, stragi mafiose e avvento al potere di Silvio Berlusconi.
Un «osservatore e testimone attento» è perciò una raccolta di saggi che ci offre un vero e proprio viaggio nell’opera e nella figura di Ceserani ma anche nei diversi momenti culturali e sociali attraversati dallo studioso, il quale non ha mai smesso e non smetterà mai di parlarci e di farci riflettere. Un viaggio che in me ha soprattutto risvegliato la voglia di riaprire, probabilmente dopo diverso tempo, i miei volumi scolastici de Il materiale e l’immaginario, quello stupefacente testo adottato al liceo. È sorto quindi il ricordo di un altro Ceserani, non il saggista e il critico che conobbi e studiai all’università e al dottorato, ma l’autore del manuale di letteratura che studiavo al liceo. E, come una madeleine proustiana, le parole e lo stesso odore che si sono sollevati da quel libro hanno ridestato un periodo fatto di sensazioni e amori lontani, un tempo in cui – come canta Francesco Guccini in Culodritto – “era tutto o quasi tutto da provare”.