di Alessandra Daniele
Mentre fanno i bulli sui social – l’epitome della sfiga – in real life, davanti ai commissari europei i Grilloverdi strisciano, mendicando qualche punto di deficit in più. Secondo lo stesso decreto Salvini andrebbero arrestati per accattonaggio molesto.
La loro speranza di sopravvivenza politica si riduce tutta alla scommessa che gli italiani condividano la loro stessa pochezza, che siano abbastanza disperati da svendersi per la vaga promessa di quattro spiccioli, e per di più condizionati alla supervisione d’un fantomatico tutor, navigator, predator, terminator.
Il prezzo della servitù a un sistema economico che ti sfrutta e ti umilia, però ogni tanto ti lancia un osso da rosicchiare, perché dopotutto gli servi vivo.
Di tutte le mirabolanti promesse di palingenesi e perestroika, ormai solo questo è rimasto, lo spettro d’un sussidio, e ogni giorno si fa più evanescente. Si scioglie come una pastiglia effervescente in un bicchiere d’acqua.
A questo punto della trattativa Stato – Mafia UE, ai Grilloverdi torna utile il premier di paglia, Giuseppe Conte, il prestanome incaricato di strisciare per tutto il governo, mentre Salvini promette fermezza, e distrae gli elettori con le solite stronzate razziste e nazionaliste.
Matteo Salvini è il Grand Wizard delle Mosse Kansas City.
Come ci viene illustrato dal killer Mr.Goodkat (Bruce Willis) all’inizio di Slevin (“Lucky Number Slevin”, 2006) una Kansas City Shuffle – o Mossa Kansas City – è un elaborato diversivo per distrarre l’attenzione delle proprie vittime da ciò che sta veramente per succedergli.
Anche Di Maio ha la sua Kansas City, quella del Sordi Americano a Roma, al quale somiglia ogni giorno di più, coi suoi Mississipi Navigator, e il suo ghigno sempre più anacronistico.
E pure Conte sorride, mentre cala le braghe coll’UE sui conti della Manovra, già votata alla Camera, ma solo per essere cancellata subito dopo come un mandala di sabbia. O un messaggio di Mission Impossible.
Tutte le rutilanti promesse dei Grilloverdi si autodistruggeranno entro la fine dell’anno.
È il prezzo della servitù a quest’Unione Europea, che ogni tanto ci lancia un osso da rosicchiare, perché dopotutto l’Italia gli serve viva.