di Redazione
[Qui la prima parte dell’intervista compresa nel volume, a cura di AA. VV., Sistema periodico, Pendragon editore.]
- Quale linea editoriale avete scelto e perché?
Se condividiamo un’ottica generale, non abbiamo una linea rigidamente predefinita. I redattori sono liberi di scegliere lo stile e gli argomenti, e ne rispondono personalmente. Solo nei casi in cui un pezzo particolarmente significativo venga proposto come editoriale si fa una consultazione, naturalmente on line. La redazione è disaggregata, alcuni redattori vivono all’estero, in America Latina, gli altri sono distribuiti a Torino, Milano, Brescia, Bologna, Roma, Palermo. Potrebbe sembrare un limite, in realtà è una risorsa, i contributi sono vari e dinamici.
- Come conciliare la necessità di farsi leggere con quella di pubblicare contenuti autentici, anche andando contro quelle che sono le logiche di mercato, contro il gusto prevalente?
Come detto, non ci poniamo a priori il tema che un articolo piaccia a una certa percentuale di lettori, se il testo ci sembra buono e adatto a una normale fruizione online (cioè non diluviale, non inutilmente “tecnico” – anche se a volte pubblichiamo articoli con dati tecnici che ci sembrano rilevanti). Non dobbiamo piacere a tutti i costi, e cerchiamo di essere chiari nelle nostre posizioni.
- Qual è il vostro bacino medio di utenza: chi sono i lettori, quanti sono, dove sono? Pubblicate rivolgendovi a un target, a un pubblico specifico, oppure no? Perché? Come vi ponete rispetto alla logica dei like e delle visualizzazioni, nonché della monetizzazione della visibilità mediatica?
Non ci curiamo di tutto ciò. Ci legge chi vuole leggerci. Molti o pochi, dipende dalle stagioni dell’anno o anche dai giorni della settimana. A noi interessa divulgare i nostri materiali, poi li recepirà chi nutre interesse. Siamo fuori da ogni logica mercantile. I like li usiamo come indicatore (benché poco affidabile). Siamo risoluti nemici del mercato, e non ne accettiamo le presunte leggi.
- Avete rapporti con l’estero? Vi occupate delle traduzioni di opere non italiane e della loro diffusione, o della diffusione di opere italiane all’estero? Pubblicate anche fuori dall’Italia?
Poiché come detto alcuni redattori vivono in America Latina, poniamo molta attenzione agli eventi e alle dinamiche socio-politiche di quei paesi, Venezuela, Messico, Brasile, e traduciamo testi, soprattutto articoli o saggi, ma anche di narrativa, e capita che alcuni nostri pezzi siano tradotti e pubblicati su siti esteri. Numerose università straniere usano materiali di Carmilla nei corsi di italianistica.
- Quale ruolo riveste la critica nella vostra rivista? Quale forma predilige: l’articolo informativo- divulgativo, la recensione o il saggio critico?
La critica ha senz’altro un ruolo forte, in Carmilla, ma con ampia libertà di declinazioni: le forme che citate e anche altre più creative o (se si preferisce) sperimentali. L’importante è la qualità degli scritti, non il taglio formale.
- Prediligete una linea interdisciplinare? Qual è il limite dell’interdisciplinarietà? Pensate che sminuisca il valore della sezione prettamente letteraria? In che modo conciliate/ non conciliate la letteratura con le altre arti?
Carmilla è per sua natura interdisciplinare: la dimensione letteraria, per quanto forte, non è comunque l’unica e ha una forte vocazione politica. Chi si rivolge alla nostra pagina sa d’incontrare interventi in tema di arti figurative, cinema, lavoro, ambiente, diritti civili e molto altro. L’elemento unificante è proprio il discorso sull’immaginario, che corre attraverso opere di creazione e scelte pubbliche, esprimendo o veicolando anche sottilmente posizioni, ora di potere ora di opposizione.
- Pubblicate poesia? Se sì, cosa significa per voi parlare di poesia su una rivista?
Pubblichiamo poesia abbastanza di rado (per dire, finora nel 2017 solo cinque volte), ma abbiamo una categoria apposita. In vari casi il riferimento è a produzioni estere che hanno poco spazio nelle vetrine nostrane – poesia palestinese, o latinoamericana – ma non ci sono preclusioni salvo il taglio generale della zine. È un altro modo di dare voce a realtà interessanti e spesso soffocate.
- Perché c’è ancora l’esigenza di pubblicare poesia su rivista, dato il grande cambiamento subito tanto dalle riviste, quanto dalla poesia?
La scelta di pubblicare poesia è coraggiosa e difficile, gli acquirenti un pubblico abbastanza ristretto. È comprensibile una certa difficoltà degli editori di varare volumi di poesia: la rivista (tanto più online) è uno strumento che ne agevola la circolazione, ed è espressione di piccole e vivaci realtà corali.
- Nel Novecento le riviste fungevano da filtro per le nuove proposte in ambito poetico, oggi sembra tutto molto più concentrato a ottenere visibilità e visualizzazione: la poesia (ma si potrebbe allargare la domanda anche ad altri generi) si sta adeguando al mercato o esiste una sperimentazione poetica?
Esiste certamente ancor oggi una sperimentazione in poesia, e non mancano esperienze interessanti. Ma non siamo noi a poter rispondere in modo adeguato a un discorso tanto ampio sul tema.
- Spesso i grandi romanzi che leggiamo in formato libro, non sono che la pubblicazione successiva delle parti pubblicate su rivista a puntate: esiste ancora oggi questo fenomeno?
Sì, anche se certo non ha l’importanza del passato. Anche noi su Carmilla ospitiamo saltuariamente romanzi a puntate. Però non spesso, e – per quanto si può vedere – in generale senza che la proposta incontri una grossa fortuna coi lettori. Dove non è un problema di poco interesse dei testi, ma forse di poca abitudine del nostro pubblico. C’è poi il caso di “assaggi” (in una puntata) di romanzi, specie di autori che noi non recensiamo perché membri della redazione.
Domanda/riflessione sul termine immaginario che compare nella vostra intestazione:
Recentemente, durante una lezione tenuta alla Summer School su Il (non)lavoro nella cultura italiana contemporanea, il professor Raffaele Donnarumma ha affermato che “l’immaginario è la categoria attraverso cui analizzare le opere contemporanee”. L’immaginario, citando J. J. Wunemburger, autore de L’immaginario, è una sfera di rappresentazione ambivalente, in quanto può essere fonte di errore, ma anche di rivelazione. Non è reale, poiché si tratta di un linguaggio simbolico attraverso il quale diamo forma a un pensiero, spesso attraversato da incoerenza logica e interpretativa dalla quale però può nascere l’esperienza del paradosso e dunque il riscatto della stessa realtà: in questo meccanismo è sedimentato il significato che va a rompere con le forme del reale e del razionale. Parlare dell’immaginario significa compiere un lavoro sulla realtà scardinando il mimetismo delle rappresentazione del reale, trovando nuovo significato e diverse possibilità. Ci ha fatto pensare il fatto che questa stessa parola sia presente nella vostra intestazione. Come mai l’avete scelta? Perché per voi è importante? Credete che sia categoria fondamentale attraverso la quale analizzare e capire la modernità e la contemporaneità? Perché?
L’abbiamo scelta perché ci pare che oggi una grande partita da giocare sia proprio sull’immaginario. Anzitutto in riferimento al peso di strutture dell’immaginario sul dibattito pubblico; e prima ancora su ciò che non è “dibattito” e resta invece inavvertibilmente, pericolosamente presupposto sotto ogni soglia critica, impattando sulla vita collettiva e le esistenze personali. Basta dare un’occhiata alle pagine web dei siti istituzionali per renderci conto di quanto immaginario (in senso retorico, simbolico, mitico) venga mobilitato da quel linguaggio a rendere la realtà quella che conosciamo. Pensiamo a quanto immaginario sedimenti in una formula come “la Buona Scuola”, a fingere una sintesi di quanto di buono la scuola italiana ha offerto nel tempo – e certamente ne ha offerto – con istanze presentate come “nuove”. Una vera e propria colonizzazione dell’immaginario a suon di parole-chiave, magari nella forma artificiosamente giovanilistica dei giochini con gli hashtag.
Ma pensiamo anche a quanto l’immaginario collettivo sia toccato tutti i giorni in modo solo apparentemente neutro da istanze artistiche: la letteratura come altri linguaggi, spesso popolarissimi (il genere) compresi ovviamente quelli di cinema e televisione. E compreso l’ambito – che su Carmilla ha uno spazio importante, come del resto già nella rivista cartacea che ne ha costituito l’immediato precedente – del cosiddetto fantastico, nelle sue varie forme. Dove fantastico, facciamo attenzione, non è tanto un contenuto quanto un modo di narrare: cioè una forma più o meno libera, più o meno cosciente, di gioco coi pesi specifici dell’immaginario. Anche se poi spesso il contenuto guarda a una realtà concretissima – nel bene e nel male, di implicazioni critiche o invece di manipolazione – a livello individuale, sociale o anche politico. Il fantastico è un linguaggio-laboratorio che ci permette di esplorare la realtà nelle sue possibilità più estreme. Come ha detto qualcuno, il fantastico è come un paio di occhiali che ci agevola una certa messa a fuoco sulla realtà, uno dei modi possibili di collocarla alla giusta distanza per cogliere alcune cose.
Carmilla è appunto uno spazio di riflessione, di provocazione a rileggere anche sottotesto questo orizzonte di suggestioni. Attenzione, non per contribuire a lottizzarlo, come in tema di fantastico ha fatto in Italia per decenni una certa cultura neofascista a tutt’oggi ben radicata, a suon di strumentalizzazioni evoliane di autori come Lovecraft o Tolkien. Non si tratta di lottizzare, di aggregare capziosamente consenso, ma di fare resistenza culturale, proprio nel rispetto della complessità, a una certa colonizzazione dell’immaginario; di leggere con rigore, di evidenziare le contraddizioni e le ambiguità, le potenzialità e le provocazioni in gioco in chiave di macchine per pensare e di una sana controinformazione. E tutto ciò senza temere di ammettere che certe letture, certe visioni ci piacciono: da cui anche lo spazio all’ironia, a una percezione “complice” – in modo avvertito e critico ma divertito e magari appassionato – di tutta una produzione fantastica anche popolarissima. E di tutto ciò le Schegge taglienti della nostra Alessandra Daniele, che grondano grande fantascienza letteraria e cultura “popolare” in un confronto lucidissimo con le maschere della politica, rappresentano una sintesi esemplare ed esplosiva.
Senza poi tener conto del fatto molto più grande e innovativo del rendersi conto che l’immaginario non occupa soltanto uno spazio ristretto dell’attività di pensiero umana e delle azioni che ne conseguono, ma in realtà costituisce e riassume in sé tutte le formulazioni del pensiero e dell’attività intellettuale. Quindi, rovesciando un assunto novecentesco, non si può più affermare, ad esempio, che l’immaginario è politico (che dipende soltanto dalle scelte che fa il singolo pensatore/autore oppure dal trend politico circostante), ma piuttosto che il politico è uno degli elementi, dei territori dell’immaginario. Così come lo sono la letteratura, l’arte, l’economia e la scienza stessa nelle sue congetture e formulazioni precedenti alla conferma sperimentale.
Occorre infatti liberare l’immaginario dal ruolo falsamente sovrastrutturale che gli viene affidato nella società dello spettacolo per affermarne la dialettica appartenenza alla struttura stessa delle società umane e per far sì che tutta la sua potenza creativa e innovativa diventi strumento di radicale cambiamento dello stato di cose presenti. I rappresentanti del potere e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo immaginano e governano sulla base di assunti ritenuti immutabili, coloro che vogliono il cambiamento devono immaginarne e proporne altri. Saranno i passi successivi a dimostrarne, sperimentalmente, la validità o meno poiché, per far solo un esempio, la correttezza del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico, fino allora semplici espressioni dell’immaginario umano, non fu dimostrata che con la realizzazione di calcoli e strumenti di osservazione che prima non esistevano. Questo ci insegna però che l’immaginario (politico, scientifico, sociale o artistico che sia) non può essere limitato da dogmi o da verità assolute, pena la sua morte per consunzione, costituendo più il luogo simbolico delle domande a cui occorre dare risposta più che delle sole risposte.
Per questo la battaglia, cui si accennava più sopra, nei suoi ambiti si fa così importante e significativa per Carmilla.