di Wu Ming 1
Questo racconto è uscito sul nuovo numero (il 3) della rivista Frame, che al momento si trova in cartaceo soltanto a Bologna, a MODO Infoshop, nelle Feltrinelli oppure scrivendo a: info@framemagazine.org. In origine si trattava di un intervento sull’inquinamento luminoso, che si è trasformato in un rapimento narrativo del protagonista di Antracite di Valerio Evangelisti. Segnaliamo che sul sito di Wu Ming è stata aperta una nuova sezione attinente a questi temi, Parole limitrofe: scritti su ambiente, risorse e stili di vita.
Pantera guardò di fronte a sé e vide il cielo in fiamme, ma non era fuoco, era come una nube lucente, anzi, una distesa di liquame fluorescente sospeso a mezz’aria. Da dentro la borsa, lo nfumbe gli mandava segnali d’allarme. Sotto di lui, l’immensa città sparava verso l’alto luci malsane.
Pantera non aveva mai visto un cielo senza stelle.
Oltre alle luci, dalla Città provenivano clangori stridenti e rumori simili a rombi di tuono. Pantera guardò nel cannocchiale e vide che la Città era una vasta distesa di metallo. Il metallo s’avvinghiava per ogni dove, si contorceva e urlava. La città era viva. Forse urlava di trionfo, o forse di dolore. Forse si offriva al cielo che la sovrastava, o forse inveiva contro di esso. Anche lo nfumbe sembrava urlare: diceva a Pantera che quello era un luogo di morte.
Una vita intera da palero rayado, sacerdote del mayombe, non aveva preparato il messicano a quello spettacolo. Sulla valle incombeva una magia più potente della sua. Dalla collina, rivolse una silenziosa richiesta a Ogun, dio della terra e dei metalli, ma la trasmissione era disturbata. Troppa luminanza.
Nei giorni e nelle notti precedenti, viaggiando a cavallo, Pantera aveva colto presagi nella natura e s’era svegliato in preda a visioni.
Due notti prima di arrivare, aveva visto una striscia di luce ramata staccarsi dall’orizzonte. Era la Città.
I committenti gliel’avevano detto: un terzo dell’illuminazione della Città si disperde verso l’alto. Un immane spreco di energia, sacrificio a dèi maligni, come se il cielo sopra la vallata fosse uno nganga da nutrire di sangue. Ogni anno due miliardi di dollari sprecati per nascondere le stelle. L’equivalente di otto milioni di tonnellate di carbone. – E va sempre peggio – aveva detto il dottor Sladek – Chissà che sarà diventata la Città al nostro ritorno…
Il giorno dopo, già a poche miglia dalla Città, gli zoccoli del cavallo si muovevano a fatica su una specie di melma alta una decina di centimetri. Pantera era sceso a controllare: migliaia di uccelli morti in putrefazione. Uccelli notturni, disorientati dal bagliore durante la migrazione, e uccisi da qualcosa di terribile.
Sladek gli aveva spiegato la situazione:
– Il bagliore della Città minaccia molte specie animali, interferendo coi loro ritmi biologici. Gli uccelli notturni trovano la via grazie alla luna e alle stelle. A volte interi stormi si sfracellano contro edifici iper-illuminati, torri, centri commerciali, o ci girano intorno finché sono esausti e precipitano a terra… Per gli uccelli marini è anche peggio: le specie che si nutrono di plancton luminosi sono a rischio d’estinzione. Le luci della Città impediscono di vedere il cibo. Sulle spiagge dove si riproducono le tartarughe marine, i nuovi nati, anziché andare verso il mare, sono attratti dalle luci alle loro spalle, si dirigono verso la Città e la morte sicura. Ogni notte, intorno a ciascun lampione, muoiono centinaia di insetti. Milioni e milioni di insetti attirati dalla luce e immolati, con enormi conseguenze su ciò che rimane degli ecosistemi. Gli insettivori non trovano più cibo, e si spostano verso nuovi territori. Ma gli insettivori tengono sotto controllo certi parassiti degli alberi. Sul lungo periodo, l’effetto domino è catastrofico. Senza gli alberi, il metallo si riproduce senza ostacoli. Si estende, e ricopre tutto quanto.
Pantera non aveva preso l’immagine alla lettera, ma ora sapeva che la Città era un mostro, un organismo crudelmente sfigurato da poteri maligni.
– Inoltre, – aveva proseguito Sladek – alcune ricerche stanno dimostrando che l’eccessiva illuminazione notturna interferisce con la secrezione della melatonina, aumentando il rischio di cancro al seno.
Pantera non sapeva nulla della melatonina, e se ne fotteva delle tartarughe, ma sapeva molte cose sulle stelle. Molti rituali delle reglas dovevano svolgersi sotto la volta del cielo. Per la sua religione, sequestrare il cielo era già un’azione intollerabile. Tuttavia aveva un dubbio:
– Ho sentito dire che in molte città e regioni del mondo si stanno facendo leggi contro l’inquinamento luminoso, e che sempre più persone si rendono conto del problema… Che bisogno avete dei miei poteri?
Un ghigno ironico era apparso sul viso di Sladek. – Quando vedrà la Città, signor Pantera, si renderà conto che il problema è oltre la portata di legislatori benintenzionati. Nella Città non c’è più legge. Crediamo sia necessario l’intervento di un potere superiore.
Doveva forse evocare gli spiriti del buio, gli endoki, per sconfiggere le potenze del grande bagliore arancione? O doveva agire in un altro modo? Lo chiese allo nfumbe, il morto il cui teschio era parte della prenda, dentro la sacca di pelle. Lo chiese e si guardò attorno. Quando posò gli occhi sugli zoccoli del cavallo, ancora sporchi di resti di uccelli, il morto gli diede un chiaro segnale di speranza. Doveva aggiungere alla prenda le ossa di quegli animali uccisi dalla luce. Richiamare gli spiriti di quegli animali, migliaia e migliaia di spiriti. I loro corpi erano tutt’intorno.
Pantera si accovacciò e affondò le mani nella melma. Con cura, staccò e pulì le piccole ossa e i teschi. Ne ammucchiò decine e decine su una roccia piatta. Mentre lavorava, l’urlo del metallo si alzava sempre più forte. Anche un palero con l’esperienza di Pantera poteva perdere la concentrazione. Chiese aiuto allo nfumbe, che lo rasserenò.
Quando giudicò di avere un numero sufficiente di ossicini, li triturò con un sasso e ne fece una polvere fine. Aprì la borsa, tolse la nganga e l’appoggiò sulla roccia, spostò alcuni elementi della composizione e versò la polvere negli interstizi. Poi si alzò e pregò gli orishas.
Da un momento all’altro, il suolo si animò, la melma fu scossa dai battiti di migliaia di ali. Si formò come un’onda, che si trasmise a tutto il terreno, per miglia e miglia, fin dove arrivava la distesa di carcasse sfatte.
Da terra si staccò un colossale stormo, gli spiriti di milioni di volatori, che si diedero convegno sulla Città fino a formare un manto e coprirla del tutto, ostruendo le luci nella loro salita al cielo. Pantera sentì il metallo urlare ancor più forte, poi il grido divenne un rantolo, un respiro asmatico, infine si spense.
Gli uccelli si rialzarono e volarono via, dissolvendosi nel nero.
Il metallo taceva, immobile. La Città sembrava respirare con la cautela di chi si sorprende di essere ancora vivo.
Sopra di essa, il cielo era tornato nero e chiazzato di stelle. Al centro, era visibile il bordo della Via Lattea.
Pantera pensò che sembrava fango cosmico, composto da miliardi di anime di uccelli.
Wu Ming 1, 20 ottobre 2003, tributo al magister Valerio Evangelisti.
www.inquinamentoluminoso.it
www.darksky.org
www.cielobuio.org
www.astrofili.org
Pantera è il protagonista dei romanzi di Valerio Evangelisti Metallo urlante (Einaudi 1998), Black Flag (Einaudi 2002) e Antracite (Mondadori 2003).
Il sito di Valerio Evangelisti è www.eymerich.com