di Franco Pezzini

Alle spalle di Füssli

All’originalità di The Nightmare – come accennato (cfr. le puntate precedenti qui e qui) – non osta il fatto che Füssli dia espressione artistica a un tema già considerato di notevole interesse nell’Inghilterra del tempo. Sull’onda, va detto, di secoli di elaborazione del mito dell’incubus nell’Europa cristiana: e non è questa la sede per affrontare nei dettagli tale sviluppo, attraverso il doppio filo dell’elaborazione popolare/folklorica e di quella dotta, prima demonologica (Agostino, Tommaso d’Aquino, Delancre, Bodin, Kramer & Sprenger, re Giacomo…) e poi medica. Tuttavia qualche cenno pare necessario. E per vedere cosa Füssli si trovi alle spalle – o per certi versi sul petto, a premerlo – torniamo al dipinto.

Partiamo dalla figuretta del demone incubo. Sul fronte dell’elaborazione popolare, il mondo svizzero-tedesco dove Füssli nasce e cresce vede il tema già ben rappresentato, e proprio nel Settecento ne troviamo le prime trascrizioni in raccolte folkloriche. Due in particolare sono i profili mitici di riferimento: e anzitutto quello dell’Alp – stessa famiglia linguistica dell’inglese Elf, cioè Elfo, di cui può condividere tratti ambigui o allarmanti – diffuso in tutta l’area germanica, e di cui per esempio ci parlano anche i fratelli Grimm (“Der Alp”, Deutsche Sagen 1816/1818, n. 81). Originariamente uno spirito della natura come i Fauni classici, trascolorante in varie tipologie che noi tendiamo a distinguere (Elfi, Nani…) ma che nel folklore trascolorano in termini più equivoci, l’Alp dopo il medioevo vedrà accentuarsi soprattutto i propri tratti notturni e allarmanti, da cui un complesso sistema di profilassi. Viene considerato portatore di malanni di vario genere tra i quali l’epilessia; succhia sangue dai capezzoli di uomini e bambini ma anche latte alle donne (che sono in genere le sue vittime, anche se raramente il suo attacco presenta connotazione di abuso sessuale); colpisce anche il bestiame e ha la caratteristica di trarre poteri – in particolare l’invisibilità – da un copricapo magico, la Tarnkappe: qualcosa che sembra apparentare all’incubus romano col suo berretto conico, che se ritrovato offriva invece il potere di scoprire tesori nascosti (cfr. Petronio Arbitro, Satyricon, 38, a proposito del successo di Trimalchione: “a quel che si dice […] dopo aver rubato il pileo a un folletto [quom Incuboni pilleum rapuisset], è finita che ha trovato un tesoro”).

Ma soprattutto l’Alp reca oppressione e incubi orribili, da cui i termini Alpdruck/Alpdrücke, “oppressione da Alp” e Alptraum, “sogno da Alp” proprio a indicare l’incubo. L’Alp ha naturalmente poteri metamorfici e può cavalcare cavalli (eventualmente sfiancandoli): dunque, per quanto libera, la raffigurazione di Füssli – dove l’incubus non ha cappello e vanta una cavalcatura sovrannaturale, non un cavallo ordinario – può comunque ben rimandare a questa fattispecie. Ancora, l’Alp è normalmente inteso come un demone; ma in qualche caso risulta lo spirito di un morto o invece la manifestazione notturna di un vivo (Füssli stesso sopra la mancata moglie?), sulla base di una serie di criteri di predisposizione magica. Del resto il quadro è fluido, ed esistono diverse varianti dell’Alp: si pensi al Trud o al Walrider (sostanzialmente sinonimi di Alp) o allo Schratteli (Schrat è un altro sinonimo per Alp); oppure al Drude, soprattutto della Germania meridionale, associato alla Caccia selvaggia. Drudenfuss, “piede del Drude”, indica il vischio ma anche il pentagramma di utilizzo magico, detto anche Alpfuss, “piede dell’Alp”; Drudenstein è invece una pietra con un foro naturale, che viene appesa nelle stanze o nelle stalle come cacciaincubi.

Un inciso a parte merita poi un’altra creatura simile, l’Old Hag anglosassone (abbreviazione dall’antico inglese hægtesse, “strega”), un incubus dall’apparenza di vecchia ripugnante che salirebbe sul petto dei dormienti opprimendoli, da cui il termine inglese Old Hag Attack in riferimento a una situazione che comprenda stato ipnagogico, paralisi e allucinazioni. Se però sul piano fenomenologico l’Old Hag può definirsi un incubo, in quanto demone femminile richiama a una seconda categoria strettamente connessa, quella dei succubi. A differenza dell’incubus, il succubus – o senz’altro la succuba, per l’aspetto femminile – non implica con frequenza sensazioni angosciose (soffocamento, schiacciamento, eccetera) ma piuttosto una pericolosa seduzione che conduce ad attività sessuale irregolare, a sogni bagnati (la dispersione del seme vista come qualcosa di minaccioso e potenzialmente generativo di larve psichiche) e a conseguenze fisiche potenzialmente gravi fino alla follia e alla morte. Vedremo peraltro che non mancano storie in cui il demone succubo o lo stesso incubo desiderano soltanto amoreggiare, senza recare altri disturbi che qualche modico danno alla castità personale.

Ma torniamo al dipinto, e passiamo a considerare la figura del cavallo spettrale. Si è già detto che nel primo bozzetto Füssli non aveva pensato di inserirlo; e si è anche accennato al gioco di parole tra due significati di mare, giovane cavalla ma anche tipo di spirito. Beninteso, noi non sappiamo se il cavallo qui raffigurato sia maschio o femmina: si sarebbe tentati di immaginarlo maschio, visto che penetra la tenda quasi come a metafora di un atto sessuale. Se però l’Alp è costantemente immaginato come maschio e insidiatore di donne, al contrario lo spirito noto come mare – antico inglese mære, mare o mere, antico olandese mare, antico altotedesco e antico scandinavo mara, come pure nello slavo ecclesiastico antico (ipoteticamente da un protoindoeuropeo *mer-, “danneggiare”, o dal greco μόρος, indoeuropeo *moros, “morte”), con diffusione in tutte le lingue derivate, compreso il francese  cauchemar – presenta connotati spesso femminili.

La mare ha, anche più dell’Alp, la caratteristica di montare cavalli che poi lascia sfiniti, ma anche alberi di cui lascia i rami aggrovigliati. Le prime attestazioni note sono scandinave, ma il demone è ben noto in Germania (mara, mahr, mare, mårt) e nei paesi slavi fino alla Russia (il nome Mora del conte di Browning costituisce la variante non ceca – come dal titolo I vampiri di Praga ci si attenderebbe, e che suona můra – ma slovacca, croata e serba), nonché in Romania (dove la fisionomia del moroi sfuma in quella del vampiro). Per quanto le caratteristiche delle turbative recate siano parzialmente diverse tra una regione e l’altra (al mora si attribuisce per esempio la tendenza a strangolare le vittime, di nuovo a ricollegare al folklore sui vampiri), il riferimento all’orizzonte dell’incubus connota varie di queste fisionomie. Alla costellazione sembra appartenere il termine dalmata per incubo usato da Charles Nodier come titolo per la straniante opera Smarra, ou les Démons de la Nuit, conte fantastique (1821) liberamente ispirata da Apuleio.

L’associazione etimologica del mare al termine per giovane cavalla riporta all’immagine del dipinto di Füssli. Non è scorretto affermare che sia un Alp a stare assiso sul petto della ragazza mentre una mare occhieggia spuntando dalla tenda, ma si tratta di una definizione approssimativa per una suggestione dinamica mitica e simbolica. Legata forse anche al passaggio dell’autore dalla Svizzera tedesca all’Inghilterra: in Germania il brutto sogno legato all’incubus è spesso definito con un richiamo all’Alp (come detto, Alpdruck/Alpdrücke, “oppressione da Alp” e Alptraum, “sogno da Alp”, anche se non manca un Nachtmahr), in Inghilterra con un richiamo alla mare (night-mare, “mare notturna”, cfr. anglosassone e islandese martröð, “cavalcata della mare”, come nel danese mareridt e nel norvegese mareritt). Ma come al solito il magma immaginale non permette di costringere in cifre troppo rigide – cavallo maschio o cavallo femmina – qualcosa che appartiene al territorio dell’allusione.

Fin qui sul folklore: ma Füssli sa bene che esiste anche tutta un’elaborazione dotta; e che dalla ricca demonologia tardoimperiale assurta a tema per filosofi, gli incubi arrivano molto presto all’esame dei teologi cristiani. Nel V secolo Agostino (De Civitate Dei XV, 23), che considera troppe le testimonianze perché si possa negarle, associa la categoria ai Fauni e Silvani lubrichi e violentatori: e in effetti una prima dimensione di fenomeni associati agli incubi è quella erotica/sessuale. Nell’Europa cristiana l’incubus che attenta alla virtù femminile (dal latino tardo incubare, “giacere sopra”) e il succubus che insidia quella maschile (da subcubare, “giacere sotto”, ma i termini relativi a postura sovrastante e sottostante non vanno intesi in senso rigido) verranno in genere intesi come demoni della schiera di Satana, anzi di solito come le medesime entità che semplicemente si presentano in modo diverso (cioè come incubo o come succubo) a seconda di sesso e dinamica con la vittima. Agendo in fondo come maschere dell’oscuro mondo del desiderio, delle pulsioni notturne e dell’allentarsi coi freni inibitori di una serie di pastoie morali e culturali: il tema di una violenza sessuale implicito nel concetto non appare dunque un elemento necessario della narrativa derivata.

Il fronte erotico traghetta semmai a un tema ulteriore che la dice lunga sulla ramificazione mitopoietica, cioè quello dei figli dell’incubus. In queste storie, aperte a un antico retroterra mitico su unioni tra esseri umani e divini o angelici, troviamo in genere un rapporto di partnership sessuale tra una donna reclusa – per prigionia, ascesi, condizione religiosa – o ritrosa da un lato, e dall’altro un’entità sovrannaturale che la ingravida di un figlio speciale (Merlino, Roberto il diavolo…), eventualmente definito cambione (dal francese cambion, cfr. Dictionnaire Infernal di Jacques Auguste Simon Collin de Plancy, 1818). Di qui complicate spiegazioni – Tommaso d’Aquino nella Summa Theologica (1265-1274), Heinrich Kramer e Jacob Sprenger nell’infame Malleus Maleficarum (1486, pubbl. 1487), re Giacomo nella sua Daemonologie, In Forme of a Dialogue (1597) e tanti altri – per giustificare il passaggio di seme tra un essere incorporeo e una donna. L’idea è in generale che il seme venga rubato ad altri uomini, vivi (il demone lo sottrarrebbe in forma di succubus, per poi riciclarlo come incubus) o morti, ma si considera anche la possibilità che il diavolo utilizzi alla bisogna un cadavere momentaneamente animato.

A questo proposito, merita almeno un cenno per l’impatto sull’immaginario fantastico un’opera bizzarra a firma del demonologo francescano Ludovico Maria Sinistrari d’Ameno, De Daemonialitate et Incubis et Succubis (1680), articolatissimo trattato sull’erotica di incubi e succubi. Sinistrari tiene a distinguere l’attività sessuale dei demoni con le streghe, finalizzata a farne proprie collaboratrici, da una fattispecie assai meno grave, cioè le relazioni notturne di incubi e succubi con persone non solo estranee a ogni commercio con le tenebre, ma talora pie e decise a opporre resistenza allo stalker sovrannaturale. Tanto più che a differenza dei demoni della schiera satanica, assoggettati al potere degli esorcismi, questi spiriti – associabili senz’altro ai satiri e ai folletti – non ne risultano affatto turbati: si tratterebbe in sostanza di creature capaci di innamorarsi, sia pure magari in modo molesto, e il cui danno specifico starebbe nella pura minaccia alla castità dell’amante umano (il concetto di altre forme di danno recate dallo stalking è all’epoca del tutto ignorato). Il De Daemonialitate impatterà sull’immaginario sugli incubi post-Füssli seducendo vari letterati dell’Ottocento francese, compreso Huysmans: si parla di edizioni arricchite apocrifamente in senso malizioso (cfr. la correzione di rotta sul punto nelle due diverse edizioni dello studio di Massimo Introvigne sui satanisti, 1994 e 2010) ma un approfondimento sul tema sarebbe benvenuto.

Un discorso a parte riguarderebbe poi la lussureggiante elaborazione demonologica in tema di incubi e succubi nel folklore e nella dottrina ebraica, che Füssli potrebbe conoscere anche tramite la presenza di comunità israelitiche in Svizzera e in Germania. Si pensi al ruolo di Lilith, delle sue varie identità e della nebulosa di creature analoghe (a partire dalle sue tre sorelle Eisheth, Agrat Bat Mahlat e Naamah, con lei considerate le quattro regine dei demoni) sulla base di una mitopoiesi antichissima ma con ampi sviluppi medioevali e anche più tardi.

Da quanto detto è comunque abbastanza chiaro che il tema della violenza o seduzione notturna da parte di un essere sovrannaturale che tanto spazio avrà poi nel fantastico moderno trova in questa nebulosa immaginale già un ampio (si perdoni il bisticcio) incubatoio.

D’altro canto il nightmare può manifestarsi attraverso un ventaglio di sgradevoli o addirittura scioccanti fenomeni di malessere fisico. E a questo punto, dopo l’incubus (a destra) e la sua cavalcatura (a sinistra) è tempo di occuparci dell’altra presenza del dipinto, la giovane riversa: che pare un compendio ideale delle sofferenze legate a questo tipo di fenomeni.

Un ventaglio piuttosto vario, a partire dalla sensazione di un peso opprimente sul petto o la bocca dello stomaco, per cui la dormiente si sente schiacciata o soffocata (ecco la dispnea o fame d’aria). C’è poi il traumatica sensazione di una sorta di paralisi di tutto il corpo (la sleep paralysis); c’è un’indefinita ma concretissima sensazione di terrore (i cosiddetti night terrors); c’è la visione di entità da incubo che giungerebbero a perseguitare (ecco allucinazioni ipnagogiche e sogni lucidi); per non parlare della dimensione erotica che il dipinto mostra senza equivoci. E c’è infine, una volta liberati, il senso di una vampiresca privazione di forze, in ipotesi sottratte dall’incubus: il languore di questa figura già sembra evocarlo, e il quadro-sequel L’incubo abbandona il giaciglio di due fanciulle dormienti lo conferma in modo paradigmatico.

Del resto nel dibattito sulle interpretazioni occupano un certo peso per secoli le credenze nella stregoneria, per esempio sull’attacco nel sonno da parte di animali che sarebbero in realtà spiriti famigli. Non stupisce che dalla dimensione diabolica la fattispecie trascolori col tempo verso quella vampiresca: il vampiro folklorico – o meglio le tipologie che astraendo riconduciamo a una simile macrocategoria – e lo stesso vampiro della fiction hanno con l’incubus rapporti piuttosto stretti. Si pensi solo al tema della consunzione – termine generico usato tra Sette e Ottocento evocante una pluralità di patologie connesse al respiro/vita – in stretta correlazione immaginale con la figura del vampiro, e che ben potrebbe essere figurata in questa pallida ragazza.

Ma accanto alla spiegazione sovrannaturale o in complesso interscambio con essa, fin dall’antichità la medicina cerca di fronteggiare gli incubi ricorrenti anche come malattie, e per esempio Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXX, 10, 84) menziona l’uso di massaggi con decotti di parti di serpente, vino e olio. All’inizio dell’età moderna – da metà del Cinquecento a metà del Settecento – si trovano spesso citati quali cause di incubi l’indigestione (Thomas Hobbes parla di male da golosi) o lo squilibrio di umori; e se la progressiva laicizzazione nel Settecento della cultura europea non reca un omogeneo affermarsi di interpretazioni razionaliste (emblematico è il caso delle analisi del fenomeno vampirismo), proprio la dettagliata fenomenologia fisica dell’incubo permette a un certo punto di strappare il tema a contesti superstiziosi.

Con un precedente al freudiano Jones che Füssli potrebbe conoscere persino in via diretta. A occuparsi infatti pionieristicamente del tema a Londra, appena una decina d’anni prima che Füssli vi metta piede, è John Bond, un medico inglese di cui poco si conosce, ma personalmente soggetto a questo tipo di disturbi notturni. Intrigato dal fronte scientifico della faccenda ma toccato anche nella vita personale, Bond redige An Essay on the Incubus, or Night-mare, 1753, trattandolo per primo in modo organico – forte dei nuovi studi sulla circolazione – quale fenomeno patologico legata a un meccanismo di stagnazione del sangue.

Bond lamenta la scarsa attenzione prestata dalla dottrina medica al tema degli incubi, e gli “imperfect accounts” (Preface) dei pochi autori che se ne sono occupati: da cui la necessità e insieme la complessità di addentrarsi in tale materia. Inizia dunque a trattare “Della storia e delle varie opinioni riguardanti la causa di questo Disordine” (cap. I), indicato dai Greci con il nome Ephialtēs, dai Romani con quello di Incubus, e in inglese come Night-mare, la cui etimologia associa alle superstizioni popolari (ma in fondo non gli interessa). Dopo aver descritto a vividi cenni il fenomeno che ben conosce, e aver affrontato una rapida disamina delle tesi mediche susseguitesi, passa a “Un’indagine sul tema della vera causa dell’Incubo” (cap. II), esaminando il tema della postura del dormiente e dei relativi aspetti circolatori. Per esempio in relazione al “too common method of making the feet of beds higher than the heads, since a stoppage of the Blood is always productive of dangerous consequences” (p. 11): e in effetti notiamo la postura riversa della fanciulla del dipinto di Füssli.

Bond continua con “Un resoconto dei Sintomi” (cap. III): presenza di “frightful Dreams” (p. 21), “The vast oppression on the Breast, and immobility of the Body” (p. 24) con un senso di paralisi, e ancora ansia, palpitazioni eccetera, in sostanza proprio il contesto che sembra evocato dal dipinto.  Affronta quindi il discorso “Della Cura Naturale” (cap. IV) riportando il caso di un certo colonnello Townshend capace di scivolare in una strana condizione catalettica a causa di una grave patologia che portava contraccolpi circolatori. Segue un esame “Delle Cause che concorrono all’Incubo” (cap. V) – nel senso che la causa principale, legata a posizione supina del corpo e problemi di circolazione, non basterebbe da sola a determinarlo – e Bond offre resoconti di casi di persone affette, quattro donne tra i 15 e i 20 anni (anche nel dipinto la ragazza è molto giovane), e un “corpulent Clergyman” cinquantenne (p. 55). Questi “immaginava che il Diavolo venisse al suo letto, lo afferrasse alla gola e cercasse di soffocarlo” (ibidem) con tanto d’impronte sul collo: lo smarrimento è già quello del reverendo di Green Tea di Le Fanu, tormentato da un presunto spirito, e in ogni caso le testimonianze suggeriscono il sopravvivere tra la gente di convinzioni sull’origine sovrannaturale del night-mare. Seguono considerazioni “Dei Pronostici di questo Disordine” (cap. VI), con nuove analisi di casi e il parere dell’antico Galeno che già considerava l’incubo come una sorta di epilessia, rimarcandone la pericolosità se abituale in quanto minaccia di epilessia vera e propria, apoplessia o melancolia; e “Della Cura” (cap. VII), sul cambio di postura nel letto e l’uso di farmaci, salassi, purganti e diete. Anche se poi “Temperate living is certainly the most effectual method of preventing this and many other Disorders” (p. 80).

Nel periodo successivo all’uscita del testo di Bond parecchie opere riprendono il tema. In quel Settecento dove stanno fermentando sogni e incubi della ragione e gli illuministi vanno a braccetto con gli illuminati, l’uomo moderno scopre che le sue notti sono un ideale campo di battaglia tra antichi demoni e patologie sfuggenti. La melanconia pretende spazio, e non è un caso se il primo Paradiso perduto del fantastico – ben prima di quello dell’età vittoriana, poi considerato archetipico – sia proprio l’epoca tra metà del secolo dei lumi (di qualunque tipo) e primi decenni del successivo. Di cui il quadro di Füssli, tra conati erotici, sopravvivenze mitico-magiche, urgenze mediche ed emersioni letterarie è insomma in qualche modo un manifesto.

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