di Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo
Tratto, con modifiche, dal box “Ucronia” di prossima pubblicazione presso Odoya nel volume Guida ai narratori fantastici italiani di Walter Catalano, Gian Filippo Pizzo e Andrea Vaccaro.
L’ucronia, chiamata anche “storia alternativa”, “allostoria” e a volte “fantastoria” (che però avrebbe dei parametri leggermente diversi e più estesi), è un sottogenere della fantascienza in cui s’immagina che un certo avvenimento del passato si sia svolto in maniera diversa che nella realtà. Ad esempio, che Napoleone non sia stato sconfitto a Waterloo o che Hitler abbia vinto la Seconda Guerra Mondiale. E’ un genere che presenta molte difficoltà, almeno se l’autore vuole scrivere un’opera valida, perché lo sviluppo della storia immaginaria deve essere coerente sia con la premessa – l’avvenimento scelto come spartiacque – che con quello che è avvenuto veramente nella realtà, in particolare le nuove tecnologie e la diffusione dei mezzi di comunicazione.
Se il genere, come abbiamo detto, è oggi a pieno titolo inglobato nella fantascienza, in Italia la sua nascita è autonoma: il primo esempio è stato un saggio di storia immaginaria scritto da Lorenzo Pignotti e intitolato Storia della Toscana sino al Principato (1813), in cui si immagina che Lorenzo de’ Medici non muoia nel 1492 e riesca a salvare l’Italia dalle invasioni straniere e addirittura a impedire il diffondersi del Protestantesimo in tutta Europa. Gli esempi successivi saranno molto più tardi ma tutti nell’ambito della narrativa e per la maggior parte con un solo avvenimento cardine: il Fascismo; se infatti a livello internazionale gli eventi più presenti sono proprio quelli citati sopra – Napoleone e la Seconda Guerra Mondiale – e se negli Stati Uniti si immagina invece un diverso risultato della Guerra di Secessione o il mancato omicidio di John Kennedy, da noi l’argomento più controverso è proprio la dittatura mussoliniana.
Ecco quindi che Marco Ramperti nel suo Benito I, Imperatore (1950) mostra Mussolini entrare trionfalmente a Roma il 25 aprile 1945 su un cavallo bianco per festeggiare la vittoria dell’Asse, grazie alla bomba atomica; e nel 1973 Lucio Ceva nel suo Asse pigliatutto ipotizza che un certo generale Doriani riesca a convincere Ciano, Mussolini e di conseguenza anche Hitler a non dichiarare guerra agli Stati Uniti, che così combatteranno solo nel Pacifico contro il Giappone, mentre in Europa la guerra finirà con la cacciata dell’URSS oltre gli Urali e con la Gran Bretagna che perde i possedimenti in Medio Oriente (ma l’Italia, nonostante il suo Impero, sarà sempre succuba della Germania). Se il primo è molto apologetico (Ramperti passò sedici anni in galera per i suoi comportamenti filo fascisti e razzisti) il secondo è più critico. Ma torneremo più avanti sui libri di “fantafascismo” più recenti, intanto vediamo altri esempi di ucronie italiane.
La più importante e di gran lunga la migliore è Contro-passato prossimo: un’ipotesi retrospettiva (1975), di Guido Morselli (1912-1973), autore che già aveva sfiorato l’ucronia senza abbandonarvisi completamente anche in Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo ventesimo (1974) e Divertimento 1889 (1975). Nel romanzo più importante dello sfortunato scrittore suicida, la modalità dell’ucronia è improntata più sulla descrizione e la narrazione della divergenza – gli esiti della Prima Guerra mondiale – che sulla rappresentazione di un universo autonomo generato da un nexus event, e in questo risulta un po’ datata: la divergenza principale affrontata è l’organizzazione, da parte degli Imperi centrali, dell’operazione Edelweiss (che consente di trasformare la guerra di trincea in un blitzkrieg vittorioso), ma Morselli inserisce anche un nexus event secondario piuttosto importante: il fortuito rapimento del Kaiser, da parte di un pilota inglese, porta comunque al dissolvimento del Reich e alla trasformazione della Germania in una repubblica, nonostante il risultato bellico positivo. Il linguaggio militare e strategico sono utilizzati in maniera estremamente pertinente e la ricostruzione della situazione politica del contesto storico è accuratissima, mentre Von Allmen, che potrebbe essere considerato il protagonista, ha un ruolo, rispetto al corso degli eventi, in fondo, piuttosto marginale, lasciando emergere invece una struttura polifonica che ricorda non poco The Man in The High Castle di Philip K. Dick.
Opera più recente, Il cavallo di Federico (1991) di Giorgio Ruffolo, già ministro dell’ambiente, è ambientato nel 2077 in una Palermo-Aziz ridivenuta capitale politica e culturale ma prende le mosse dal Duecento, quando Federico Barbarossa riesce a unificare la Penisola sotto un’unica bandiera, con sei secoli di anticipo rispetto alla realtà; mentre Ascolta, Israele (1991) di Ugo Bonanate si spinge molto lontano cronologicamente: dopo la morte di Gesù sulla croce le primissime comunità cristiane vengono distrutte e di conseguenza sarà l’ebraismo la religione predominante dei paesi occidentali. Entrambe queste ipotesi sono parzialmente contemplate ne Il volo dell’Aquila (2014) di Tullio Bologna, raro esempio di ucronia inserita in una trama fantasy, dove si descrive un mondo parallelo in cui nel periodo della decadenza dell’Impero Romano la magia ha preso il posto della religione e il protagonista tenta di riunificare l’Italia. Un autore che ha coltivato con impegno il genere è il giornalista RAI Giampietro Stocco, al quale si devono Nero italiano (2003) e il suo seguito Dea del caos (2005), Dalle mie ceneri (2008), Nuovo mondo (2010) e La corona perduta (2013). Nero italiano racconta le avventure di un giornalista della Tv di Stato, Marco Diletti, invischiato suo malgrado in una congiura politica, mentre sullo sfondo abbiamo ancora nel 1975 il regime fascista retto da un settantenne Galeazzo Ciano, regime molto ammorbidito e mantenutosi grazie al fatto che l’Italia imitando la Spagna si mantenne neutrale ma adesso si ritrova isolata in una Europa dominata dalla Germania unificata e all’interno alle prese con il nascente movimento studentesco. Il seguito è ambientato trent’anni dopo, Marco è in pensione ma gli eventi precedenti hanno ancora un peso, mentre l’Italia si ritrova spaccata in tre: a Nord Est c’è un protettorato tedesco, il resto del Nord ha proclamato la Repubblica Democratica Cisalpina e nel Sud vige un regime comunista. I due romanzi sono a metà fra il thriller e la spy story in un ambiente fantastorico ma non rivelano alcun sostrato ideologico. Dalle mie ceneri prende spunto dalla guerra tra Gran Bretagna e Argentina per il possesso delle isole Falkland/Malvinas, immaginando che Argentina e Cile si siano fuse in un unico Stato di nome Cono Sur e che il golpe di Pinochet non sia mai avvenuto; anche qui siamo in presenza di una vicenda individuale del tipo “intrigo internazionale”, con un protagonista alla ricerca di verità nascoste dal sistema politico che pure è di tipo socialista. Meno riuscito il più avventuroso, quasi salgariano, Nuovo mondo, in cui Cristoforo Colombo, accompagnato per l’occasione da Leonardo da Vinci, trova l’America già colonizzata. Altro radicale cambiamento di scena in La corona perduta, in cui Napoleone è morto durante la campagna d’Italia e di conseguenza nel 2006 è la Spagna dei Borboni la nazione egemone non solo dell’Europa, perché possiede Portogallo, Italia meridionale, mezzogiorno francese e tutta l’America latina.
Un ottimo scrittore che ha fatto dell’ucronia (assieme all’antiutopia) quasi un marchio di fabbrica è Pierfrancesco Prosperi, che già negli anni Sessanta scriveva racconti aventi a protagonisti Mussolini, il gerarca nazista Albert Speer (architetto come lui) e altri personaggi del periodo più buio della storia europea, ma senza nessun particolare sotteso ideologico. Tra le varie opere ricordiamo almeno Seppelliamo Re John (1973), che ha per tema gli universi paralleli e la storia americana: il John del titolo è infatti il presidente Kennedy, e Prosperi immagina tre futuri possibili della storia americana in cui l’assassinio di Kennedy è sempre un avvenimento fondamentale che deve essere impedito, ma finisce con l’accadere (in uno dei tre futuri, ad esempio, Kennedy non viene ucciso a Dallas nel 1963, ma nel 1965 durante il suo secondo mandato); Garibaldi a Gettysburg (1993), in cui si immagina che il Veneto sia ancora sotto la dominazione austriaca perché l’Eroe dei Due Mondi è andato a combattere nella Guerra di Secessione americana (nella realtà l’offerta gli fu fatta, ma Garibaldi rifiutò); Armageddon 2014, ambientato appena un anno dopo la pubblicazione in una Israele dove un giornalista italiano – ebreo – viene inviato per realizzare dei servizi sulla crisi politica che intanto subisce un peggioramento a causa dell’atteggiamento distruttivo dell’Iran di Ahmadinejad (il quale, nel futuro immaginato da Prosperi, sarà ancora il capo del Governo), pronto a far esplodere una potentissima bomba nucleare su Tel Aviv; Majorana ha vinto il Nobel (2016) nel quale il celebre fisico non scompare nel 1938 come fu nella realtà ma in un 1945 in cui la Seconda Guerra Mondiale non si è mai svolta, dopo un intrigo spionistico. Aldilà delle trame i romanzi di Prosperi sono ben condotti dal punto di vista della vicenda (sempre appassionante), ottimamente documentati, fedeli all’assunto che dicevamo all’inizio su come si crea un’ucronia perfetta e scritti con un linguaggio secco e preciso che cattura immediatamente il lettore.
Enrico Brizzi (che suscitò clamore con il suo Jack Frusciante ma poi ha scritto altri libri di successo) si dedica all’ucronia nel 2008 con L’inattesa piega degli eventi, ambientato nel 1960 a ridosso delle Olimpiadi romane, dopo che l’Italia aveva rotto in tempo l’alleanza con Hitler e si era schierata con i vincitori, era diventata una repubblica e aveva ampliato le sue colonie. Ma il regime fascista è sempre in piedi, anche se Mussolini è ormai morente e tra i gerarchi si è scatenata la lotta per la successione. Su questo sfondo si muove la vicenda di Lorenzo Pellegrini, giornalista sportivo che vorrebbe seguire le Olimpiadi ma che per punizione viene mandato a seguire il campionato di calcio in Africa Orientale, il cui vincitore parteciperà poi a una specie di Champions League tra le squadre dei vari possedimenti italiani (Corsica, Malta, Albania… ). Nella colonia scoprirà che ci sono fenomeni di corruzione, razzismo, scioperi e trame indipendentiste, violenza a vari livelli, insomma che la dittatura “morbida” esistente nella Repubblica Italiana è qui molto più pesante e che la propaganda di Stato nasconde questa situazione. Da un punto di vista tecnico L’inattesa piega degli eventi è uno degli esempi migliori di come si costruisce una storia ucronica esemplare e l’ambientazione è ben costruita, peccato però che la trama sia troppo infarcita di episodi collaterali, i personaggi siano poco credibili e lo stile di Brizzi piatto e senza personalità. Il romanzo ebbe comunque successo tanto che l’autore lo ha dotato di due prequel: La nostra guerra, che descrive l’adolescenza del protagonista negli anni Quaranta, e Lorenzo Pellegrini e le donne ambientato nei Cinquanta.
Nel novero della fantastoria va messo anche un bel romanzo di Carlo Bordoni, Il cuoco di Mussolini, in cui s’immagina che il duce passi qualche giorno in un paesino della Toscana a ridosso della Linea Gotica nel tentativo di contattare segretamente gli Alleati, teoria che del resto qualche storico ha avanzato ma di cui mancano prove: un’ucronia che dura solo pochi giorni, dopo di che tutto torna alla normalità. Un’antologia degna di menzione è Se l’Italia… curata da Gianfranco de Turris, con una serie di racconti che stravolgono avvenimenti storici a partire da Romolo (che non fondò Roma) per finire con Berlusconi, passando per Dante (che non scrisse la Commedia), Cristoforo Colombo (finanziato non dalla Spagna ma da Genova), il Grande Torino (che non si schiantò a Superga), eccetera. Simile a questa è Altri Risorgimenti, dove come si intuisce dal titolo sono eventi dell’epopea risorgimentale a venire distorti nella finzione narrativa. De Turris ha operato molto in questo campo, sia per l’ucronia più in generale ma ancora di più riguardo al fantafascismo: ha curato antologie, ospitato romanzi in collane da lui dirette e ha caldeggiato la pubblicazione di altre opere presso vari editori, e questo ci porta inevitabilmente ad affrontare la questione da un punto di vista più politico, a partire da un libro “ribaltabile” che ospita due racconti antitetici ma complementari, L’estate e l’inverno di Maurizio Viano e Supplemento d’indagine di Pierfrancesco Prosperi: un’ucronia comunista e una fascista, la prima ambientata nell’Italia del Nord, sopra la Linea Gotica, la seconda nel resto della Penisola.
E’ interessante chiedersi perché il sottogenere dell’ucronia abbia avuto tutta questa fortuna proprio a destra. I simpatizzanti degli sconfitti della Seconda Guerra mondiale si sono costruiti così una spicciola automitologia condivisa, una sorta di risarcimento immaginario al naufragio militare e politico e alla damnatio memoriae delle loro ideologie totalitarie. D’altra parte il pensiero della destra radicale ha sempre cercato di piegare programmaticamente la storia ad usum delphini, inventandosi mitologie funzionali alla propria autoassoluzione e autogiustificazione (basti pensare al negazionismo sui campi di concentramento) o ricostruzioni epiche del tutto idealizzate di una realtà storica ben più spietata e prosaica (ad esempio la “difesa” del bunker di Berlino ad opera della “migliore” gioventù europea, in realtà solo poche decine di fanatici come le Waffen SS francesi della Divisione Charlemagne – francesi proprio perché ormai ben pochi tedeschi sarebbero stati disposti a morire per il Führer). L’uso funzionale dell’ucronia appartiene esattamente a questo tipo di deriva, tanto che il fantafascismo possiamo identificarlo come una vera e propria categoria specifica.
Sebbene il personaggio di riferimento in questo settore sia il già citato Gianfranco de Turris, in realtà, per sua stessa dichiarazione (rintracciabile su internet), il gonfalone, anzi il gagliardetto della primogenitura va conferito a Riccardo Leveghi (1944-1984). Scrive De Turris: Avevo conosciuto epistolarmente una persona straordinaria che si chiamava Riccardo Leveghi, un mio coetaneo di Trento, poi morto nell’84. Nel ’64 aveva fatto una fanzine che si chiamava L’aspidistra, dal titolo di un libro di Orwell. Gli scrissi proprio in seguito alla lettura della rivistina. Leveghi, oltre ad essere un appassionato di fantascienza, poi diventato validissimo scrittore, era anche un militante di Avanguardia Nazionale. In seguito lo andai a trovare, e sugli scaffali della sua libreria trovai i libri di questo tal Julius Evola che, tramite Adriano Romualdi, ho poi conosciuto di persona, intorno al ’68. Tuttora De Turris è presidente della Fondazione Julius Evola e principale regista dell’operazione di inglobamento da parte dell’estrema destra delle figure di Tolkien (i Campi Hobbit furono, alla fine degli anni ’70, la risposta neofascista ai festival open air dell’opposta fazione) e di H.P. Lovecraft (già nei primissimi anni ’70 da De Turris entusiasticamente antologizzato sulla rivista La Destra, per Le Edizioni del Borghese, con un epistolario dove emerge il “meglio” del suo razzismo più becero).
Se le posizioni di De Turris sono però pubbliche e manifeste, quelle di Leveghi restano invece ambigue e oscure, tanto che alcuni suoi racconti (per altro obbiettivamente assai pregevoli) vengono pubblicati su riviste di tutt’altro orientamento politico come la Robot di Curtoni. Leveghi non scrive esattamente ucronie – a parte il racconto “Il fuoco della fenice”, pubblicato anche come “Storia di un anno”, che non a caso sarà ristampato nell’antologia ucronica Fantafascismo! compilata nel 2000 da De Turris – ma si dedica soprattutto a due cicli, uno “spaziale” dei deserti (ogni racconto con un colore diverso) e uno horror degli incubi (ognuno ambientato in una diversa città: il più noto è “Incubo romano”, incluso nel 1987 nel volume Racconti fantastici del ‘900, per gli Oscar Mondadori). La scrittura enigmatica e laconica di Leveghi è indubbiamente affascinante e non lascia trasparire se non in filigrana, alcun orientamento ideologico esplicito. Il capostipite dichiarato dell’ucronia fantafascista è invece Pier Carpi – di fatto solo in quest’unico testo, forse più provocatorio che effettivamente nostalgico – con “La morte del Duce”, pubblicato nel 1972 sullo storico n. 165 di Galassia, Fanta-Italia: 16 mappe del nostro futuro, seconda antologia interamente dedicata agli autori italiani, e poi ristampato nel 2000 nel volume-manifesto Fantafascismo!. Il racconto, epitome di tutta l’ucronia littoria, immagina un articolo fittizio del Corriere della Sera dove vengono descritti i funerali di Mussolini negli anni Sessanta, durante i quali il fascismo è ormai diventato l’ispiratore del terzomondismo rivoluzionario dai barbudos cubani alle Pantere Nere, i cui rappresentanti salutano romanamente, anziché col pugno chiuso, il passaggio del feretro: nel finale, per miracolo, dei fiori sbocciano sull’asfalto in Piazzale Loreto.
L’antologia di De Turris è un vero e proprio manifesto programmatico dell’ucronia neofascista declinata in tutte le sue sfaccettature: oltre al recupero di Pier Carpi e Leveghi, include tutta la consorteria destrorsa-tradizionalista legata all’Editore Solfanelli, alla collana Thule, alla rivista Dimensione Cosmica, al Premio Tolkien, con figure come Adolfo Morganti (direttore della casa editrice integralista cattolica Il Cerchio), Tullio Bologna, Marco De Franchi, accanto all’ex comunista Diego Gabutti e a inclassificabili come Piero Prosperi e Riccardo Valla (forse capitati lì solo perché amici personali di De Turris), due autori ancor più fortemente connotati come Errico Passaro e Mario Farneti. Il primo, oltre al racconto antologizzato e al brutto romanzo fantasy Le maschere del potere anche questo accusato di fascismo latente, aveva già pubblicato nel 1996 Gli anni dell’Aquila. Cronache dell’Ur-Fascismo 1922-2422, fortemente apologetico, in cui il “fascismo eterno” persiste persino dopo cinquecento anni di regime (volume ovviamente pubblicato, come del resto anche Fantafascismo!, da un editore di estrema destra, Settimo Sigillo, e conosciuto quasi esclusivamente in quell’ambiente). Il secondo – che si è sempre professato “non fascista” pur se le idee espresse nei suoi testi lo smentiscono ampiamente – ha ottenuto invece un’effimera notorietà con il romanzo Occidente (espansione dell’omonimo racconto incluso in Fantafascismo!) alla base di una trilogia edita dal 2001 al 2006 per Nord, editore estraneo all’area neofascista. Testi estremamente mediocri e nemmeno riusciti tecnicamente in base a quello che si diceva all’inizio (troppo irreali la variazioni storiche proposte) – in sostanza varianti sviluppate dello scenario del racconto di Pier Carpi (che almeno aveva il senso dell’ironia): un’Italia vittoriosa e fascista – dominati da un nostalgismo ingenuo e ridicolo. Per un breve periodo ispirarono perfino una orribile serie a fumetti Gli Albi di Occidente, il tutto per fortuna oggi caduto giustamente nel dimenticatoio.
Al contrario invece le premesse filosofiche antistoricistiche che, rimandando a Tilgher e a Evola, ispirano questa strumentalizzazione dell’ucronia, continuano a perpetuarsi fino all’attualità. Ancora nel 2018 infatti, De Turris cura per Bietti, Fantafascismi. Venti racconti di storia alternativa, raccolta di racconti che partendo programmaticamente da una citazione evoliana (per loro sfortuna non hanno niente di meglio…), immaginano sviluppi alternativi del regime mussoliniano: il gioco appare così ripetitivo e scontato da depotenziare nella noia qualsiasi velleità provocatoria o eversiva e risultare in fondo innocuo. Nella quasi totalità dei testi un personaggio più “simpatico”, secondo le preferenze dell’autore – che sia D’Annunzio, Balbo, Grandi, Ciano o Marinetti – fa le scarpe al duce e cambia il volto del regime, oppure è lo stesso Mussolini che si riscatta, per esempio non firmando i Patti Lateranensi o non alleandosi con Hitler, ecc. in base ai liberi estri dell’ucronista: ad ognuno il suo fascismo su misura… I nomi sono quelli dei soliti “camerati”- come Farneti, Passaro, Bologna, – o degli “apolitici” – come Altomare o Prosperi, – più vari autori nuovi e meno noti.
Se in questi suoi sviluppi senili il fenomeno sembrerebbe ridursi ormai a poco più del vezzo folkloristico e solipsista di una banda di goliardi fuori tempo massimo, un po’ come una gita sociale al cimitero di Predappio con degustazione di lambrusco etichettato col testone del duce, altri tragici fatti recenti potrebbero invece smentire tale rassicurante interpretazione. Il sonno della ragione dell’ucronia volta a fini propagandistici, della contaminazione fra letteratura fantastica ed evolismo o evolomania, in equilibrio precario fra neofascismo nostalgico e tradizionalismo esoterizzante e razzista, può davvero generare mostri: il caso di Gianluca Casseri, frequentatore di Lovecraft e Tolkien, oltre che di Casa Pound, e autore con Enrico Rulli (per altro estraneo alle patologie ideologiche del collega) del romanzo fantastico – non ucronico e non nostalgico ma “esoterico”- La chiave del caos, con prefazione di Gianfranco de Turris – e di un lungo saggio sull’ucronia, dovrebbe costituire un lugubre monito: nessuna alternativa ucronica può riscrivere le vite dei due innocenti senegalesi da lui uccisi a colpi di 44 magnum per le vie di Firenze nel 2011.
Si potrebbe pensare che se esiste un fantafascismo possa esistere qualcosa di analogo sul versante opposto dello schieramento politico, un “fantacomunismo” o qualcosa del genere. Non è così, per un semplice motivo. Il popolo della sinistra, a maggior ragione quello radicale, ma anche i più moderati, non si è mai definito “antimoderno”, non ha rinnegato i principi dell’Illuminismo, della Rivoluzione francese, del pensiero critico marxiano, degli esiti militari della Seconda Guerra mondiale: marxianamente non si è limitato a interpretare il mondo ma ha cercato di cambiarlo e ha creduto che funzione primaria della letteratura fosse anche contribuire a questa lotta e non solo a creare oasi immaginali ideali, impermeabili all’attrito delle forze storiche e sociali. La sinistra è critica anche nei confronti della sua stessa parte, non condanna a priori i mutamenti della società, insomma coesiste con uno zeitgeist non vincolato a idee preconcette, a incapacitanti prospettive mitiche e pseudo-misticheggianti come invece è la destra, soprattutto quella radicale. Pertanto gli autori che condividono idee progressiste preferiscono all’ucronia la distopia: scrivono mostrandosi critici verso le storture della società, di cui estrapolano le tendenze negative proiettandole nell’immaginario, e non per inventarsi la visione idilliaca di una allostoria a loro uso e consumo.
Riguardo alla valenza politica della science fiction una semplice constatazione: nata sulle tracce del positivismo, dell’utopia e come estensione della narrativa di viaggio, imbevuta del senso del meraviglioso che avrebbe portato il futuro, dopo la Seconda Guerra Mondiale si è trasformata in una letteratura che criticava la guerra, il militarismo, il colonialismo, l’uso della scienza a scopi militari, i totalitarismi, lo strapotere economico dei poteri forti, il ruolo essenziale e devastante della pubblicità, eccetera, attingendo adesso ai paradigmi dell’antiutopia. Come giudicare una forma di narrativa che affronta problemi come la sovrappopolazione, l’inquinamento, l’ecologia, la funzione dell’individuo nella società, la crisi economica, il ruolo del “diverso” (gli alieni della fantascienza, o i mutanti, sono paragonabili agli immigrati della vita reale), il valore della vita, l’uguaglianza tra le persone e così via? A questo proposito sarebbe bene leggere o rileggere il saggio Fantascienza e comunismo (La Salamandra, 1979) del succitato Diego Gabutti.
Dunque un’ucronia di sinistra, è un evento piuttosto sporadico e non sempre molto significativo: fa eccezione pur nella sua bizzarria anacronica più che ucronica – e ci teniamo a citarlo per il nostro profondo amore e ammirazione verso l’autore – solo Aprire il fuoco, di Luciano Bianciardi (1922-1971), romanzo altamente sottovalutato da critica e pubblico e scritto dallo sfortunato autore nel 1969, il momento più tragico del gravissimo problema di depressione e alcolismo che lo avrebbe precocemente condotto alla tomba due anni dopo; la descrizione di una Milano in cui le 5 Giornate sono avvenute nel 1959 in un Lombardo-Veneto ancora in mano austriaca e in cui sulle barricate rivoluzionarie si affiancano Carlo Cattaneo, Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. Esiste invece una solida produzione di opere di fantascienza dichiaratamente – cioè aldilà delle tematiche appena ricordate – progressista. Troppe per poterle citare tutte, ma va fatto almeno il nome di un autore, Vittorio Catani, che sostiene esplicitamente che la sua produzione si può in larga parte inquadrare in una sorta di “fantamarxismo” (non pretende infatti — scrive l’autore — il marxismo di essere una scienza?), visto con occhio critico ma senza abbandonare l’ideologia di fondo. Proprio Catani è curatore di un’antologia in tema – Il futuro nel sangue:19 fantapologhi sul potere, pubblicato nel 2003 come numero speciale della rivista Carmilla, allora ancora cartacea – mentre nello stesso ambito ricordiamo – se ci è concesso autocitarci – almeno le due raccolte Ambigue utopie: 19 racconti di fantaresistenza e Sinistre presenze: 17 racconti horror impegnati, la prima rigidamente di fantascienza e con qualche racconto ucronico, la seconda più orientata sul versante fantastico-orrorifico ma con lo stesso impianto.