di Riccardo Bonavita
Il presente articolo, del nostro collaboratore Riccardo Bonavita, è apparso su Alias del 25 ottobre 2003.
Credo si debba essere grati a Lucio Del Corso e Paolo Pecere per lo sforzo di critica e demistificazione consegnato al loro L’anello che non tiene. Tolkien fra letteratura e demistificazione (minimum fax, pp. 219, € 7,50 con una stimolante postfazione di Andrea Cortellessa). I due — filologo classico il primo, storico della filosofia l’altro — hanno messo notevoli risorse di lucidità critica, intelligenza (e un pizzico di ironia, che non guasta) al servizio di una causa che potrebbe parere marginale.
Perché sforzarsi di “liberare” l’universo fantastico tolkeniano dalle indebite strumentalizzazioni ideologico-esoteriche della destra? Il fatto è che la vera posta in gioco del lavoro non è, in termini gramsciani, la capitolazione di una delle “casamatte” più saldamente difese dalla cultura reazionaria di casa nostra. E nemmeno la doverosa restituzione d’uno sperimentato luna park del meraviglioso al piacere della lettura. L’esito maggiore del libro è infatti di ordine cognitivo: una piccola ma esemplare lezione di metodo ermeneutico, di portata più ampia di ciò su cui si esercita.
Punto di partenza, la ricezione italiana del Signore degli Anelli, monopolizzata dall’ultradestra sul piano della propaganda politica e su quello dei riusi culturali. Dai Campi Hobbit degli anni settanta ai deliri padani dei nazi-leghisti o ai volantini di AN, il delizioso polpettone tolkeniano è stato piegato a significare altro o di più di ciò che può rivelare, se sottoposto a una lettura rigorosa, attenta ai contesti storici e disposta a continue verifiche testuali.
I due autori ricostruiscono queste vicende e smontano paralogismi e deformazioni, dati testuali e contestuali alla mano, suggerendo piste di lettura alternative, che hanno il pregio di risultare senz’altro più plausibili e più pertinenti. Ma il rispetto del testo, inteso come luogo di verifica dei possibili significati, è l’ultima preoccupazione di quei lettori destrorsi e dei loro sponsor culturali. Questi ultimi, che hanno come capofila il giornalista Rai Gianfranco De Turris, come “padri nobili” Zolla e Dumézil e come riferimento teorico il fascista esoterico e razzista Julius Evola, nelle loro dis-letture cercano soprattutto di “riportare alla luce un contenuto mitico extratestuale”.
Una Tradizione extrastorica (quindi inverificabile), riservata solo a pochi eletti che non sono tenuti a dimostrare le loro affermazioni e non possono venire sottoposti a critica. Ecco allora che questo libro non fa piazza pulita solo del “Sacro” di plastica caro a chi annusa simbolismi esoterici nel fantasy da supermarket. Perché un’attitudine simile, fatta di linguaggio oracolare e assertivo, rifiuto di ogni confronto-verifica col testo e con la sua storicità, è pericolosamente diffusa anche altrove. Si ritrova in tanta critica decostruzionista e postmoderna, in certe maldestre rimasticature heideggeriane e, a livello di massa, in molta pubblicistica new age.
Per questo Del Corso e Pecere possono farci fare un piccolo passo verso il futuro auspicato da Giaime Pintor: “quando la chiarezza delle idee e l’onestà dei propositi avranno ancora una volta ragione dei mistici, dei taumaturghi e dei profeti”.