di Gioacchino Toni
Nineteen Seventy-Four, Nineteen Seventy-Seven, Nineteen Eighty e Nineteen Eighty-Three, usciti originariamente in lingua inglese tra il 1999 ed il 2002 furono tradotti in italiano per la prima volta da Meridiano Zero i primi due (1974 e 1977) e da Tropea gli ultimi (Millenovecento80 e Millenovecento83). Nel 2017 l’editore Il Saggiatore ha pubblicato in un unico ed enorme volume la tetralogia di David Peace incentrata su Peter William Sutcliffe, lo Squartatore dello Yorkshire, che tra la metà degli anni Settanta e i primi Ottanta ha seviziato e ucciso almeno tredici donne.
L’Inghilterra in cui sono ambientati i crimini dei romanzi di Peace è un Paese afflitto dal disastro economico, dall’odio, dal sessismo e dalla violenza e le macerie di quell’epoca, nonostante i centri commerciali scintillanti e le mirabolanti architetture moderne, restano tragicamente presenti ancora oggi.
Le opere dello scrittore raccolte nelle quasi millecinquecento pagine del monumetale Red Riding Quartet tratteggiano la disgregazione sociale che affligge l’Inghilterra a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, un Paese in cui la società sembra davvero dissolversi così come si era ripromessa quella Margaret Thatcher che ha abitato il 10 di Downing Street dal 1979 al 1990 all’insegna di un motto – la società non esiste, ci sono solo individui – di cui ancora si pagano le conseguenze. Lo Yorkshire dei racconti di Peace riflette l’Inghilterra indirizzata verso quell’individualismo che il neoliberismo thatcheriano, spingendo sull’acceleratore, nel giro di un decennio, ha portato a compimento.
Così Il Saggiatore introduce il lettore nelle atmosfere narrate da Peace: «Il Nord del paese è un’allucinazione di miniere abbandonate, fabbriche abbandonate, fabbriche automatizzate, fabbriche come cattedrali, ciminiere più alte di campanili, cieli neri, orizzonti di cemento armato. Le sue città in rovina, misogine e brutali, sono un incubo di villette unifamiliari in cui si consumano esistenze senza luce, di edifici scuri nella pioggia fredda, di case vuote come teschi scarnificati. Magazzini come occhi, fabbriche come sguardi. Le luci rosse degli stop che si allontanano come piaghe. Il ronzio ruvido e reiterato della radio vomita la sua cantilena: bombe dell’Ira, scioperi dei minatori, scioperi della fame, Maggie Thatcher, le Falkland. E poi bambini violentati e uccisi, prostitute violentate e uccise: lo Squartatore dello Yorkshire è tornato, la polizia non lo trova, forse non lo ha mai cercato davvero. Il Red Riding Quartet è la tragedia di un universo psicotico e terminale, in cui la follia di un serial killer è la follia di tutti, e i suoi delitti sono la violenta determinazione storica di un male ormai ubiquitario. Un mondo di bambini il cui grido rimbomba nel vuoto come la preghiera ignorata da un Dio assente, di donne spaventate e uomini divenuti prede che si dibattono in una lotta ossessiva con il dolore e la sconfitta. Creature postumane che non potrebbero vivere altrove se non nell’inferno oscuro, gelido e meccanizzato dello Yorkshire».
All’interno di tale scenario si incrociano le vicende, i pensieri, i punti di vista e gli incubi di personaggi come Bob Fraser, sergente della omicidi ormai incapace di distinguere tra buoni e cattivi, il giornalista Jack Whitehead, tormentano dai fantasmi delle vittime prive di giustizia ed Edward Dunford, corrispondente di cronaca nera per lo «Yorkshire Post».
Nel leggere Peace sembra davvero di percepire l’afa dei pub popolari di periferia alle soglie della campanella che annuncia l’ultimo giro, quando l’odore greve del sudore si mescola al puzzo della birra che ha impregnato la moquette. Sullo sfondo sembrano fare da colonna sonora i rumori delle bottiglie e dei bicchieri andati in frantumi e le sonorità disperate del punk in cui le ruvide parole urlate si mescolano a giri di basso semplici ma efficaci, ai distorsori delle chitarre suonate alla meglio e ai tonfi sordi delle batterie pestate come si trattasse di una rissa. Non a caso, nel secondo romanzo, Nineteen Seventy-Seven, i titoli dei capitoli richiamano le canzoni di band come Sex Pistols e The Clash.
Insomma, quella raccontata da Peace è la vecchia e fottuta Inghilterra, quella con le unghie sporche, le dita unte e magari un occhio nero, ma che resta pur sempre un Paese in cui, più che altrove, nel bene e nel male, le cose continuano a essere chiamate col loro nome, senza vergognarsi.