di Roberto Carocci
Antonio Senta, Luigi Galleani. L’anarchico più pericoloso d’America, Nova Delphi Libri, Roma 2018, pp. 285, € 14,00.
Vissuto a cavallo tra due secoli e in tre diversi continenti, Luigi Galleani è stato tra i più audaci e incisivi esponenti dell’anarchismo italiano. Una figura poliedrica, attivissima in tutta quell’epopea sovversiva compresa tra le prime lotte operaie degli anni ottanta dell’Ottocento e l’ascesa del fascismo.
Inizialmente militante dell’area astensionista del Partito operaio italiano, poi anarchico, Galleani iniziò il suo impegno militante tra il giovane proletariato italiano. La sua fu un’attività frenetica che l’apparato poliziesco non tardò di notare, sottoponendolo a una pressione costante, insidiosa, con denunce, pedinamenti, arresti e processi, finché non lo costrinse a riparare prima a Parigi e poi in Svizzera. Ma anche all’estero, Galleani non rinunciò alle sue attività stabilendo nuove e più salde relazioni con esponenti anarchici tra i più noti a livello internazionale come, tra gli altri, Elisée Reclus o Max Nettalu. Espulso anche dal paese d’oltralpe, appena rimise piede in Italia, fu deportato al confino dal quale tuttavia evase senza troppi problemi dirigendosi questa volta in Egitto, già sponda sicura per numerosi internazionalisti italiani. Qui trovò un ambiente sovversivo assai vivace e contribuì alla nascita delle Biblioteche e Università Popolari Libere ad Alessandria e al Cairo. Sua convinzione era infatti che «l’educazione attraverso percorsi di autoformazione sottratti alle ingerenze statali e religiose [fosse un] elemento fondamentale per garantire ai lavoratori, e ai “paria” in genere, margini di libertà dal potere costituito».
Attanagliato dalle difficoltà materiali di una vita raminga, Galleani preferì lasciare il Nordafrica dirigendosi verso gli Stati Uniti, non prima però di aver incontrato Errico Malatesta a Londra con il quale si accordò sul carattere del suo trasferimento. Fin troppo spesso e troppo facilmente presentati come portatori di proposte divergenti (il Galleani antiorganizzatore vs. il Malatesta organizzatore), Antonio Senta evidenzia quanto fra i due vi fosse in realtà una larga sintonia d’intenti: entrambi anarchici senza aggettivi erano infatti portatori di interpretazioni complesse dell’agire libertario difficilmente riducibili a catalogazioni troppo nette. L’uno e l’altro condividevano un approccio insurrezionale quale confine necessario con la dimensione della politica in funzione del quale, pur con sfumature differenti, interpretavano e collocavano la questione associativa.
Sbarcato in America nel 1901, Galleani si dedicò immediatamente a una vasta opera di propaganda con comizi in tutti gli stati e dirigendo il periodico socialista-anarchico La Questione Sociale. Negli Stati Uniti trovò un proletariato dal carattere rivoltoso e un movimento anarchico di lingua italiana particolarmente esteso e radicato nel tessuto sociale, capace di dare vita a vere e proprie comunità locali. Costituita anche qui una salda rete relazionale, nel 1903 licenziò un nuovo giornale, Cronaca Sovversiva, che il Ministero di Giustizia statunitense non avrebbe mancato di definire come «la pubblicazione più violenta, sediziosa e anarchica, mai pubblicata nel Paese». E, in effetti, Cronaca Sovversiva fu uno dei giornali anarchici tra i più taglienti, ricchi e diffusi, diventando in brevissimo tempo il fulcro di una rete antiautoritaria transnazionale che andò ben al di là dei confini statunitensi. Fu anche uno strumento di elaborazione teorica attraverso il quale egli poté precisare il suo pensiero su temi centrali come la critica insurrezionale alla lotta di classe o il rifiuto di un certo individualismo solipsistico di matrice stirneriana o, peggio, nietzschiana, che aveva fatto breccia anche in taluni ambienti libertari.
Un motivo di differenziazione tra Galleani e Malatesta risiede invece nelle argomentazioni relative alla loro comune adesione al comunismo anarchico. Se per Malatesta questo rappresentava una tra i possibili assetti economici di una futura società liberata (la più desiderabile dal suo punto di vista, pur ammettendo «sarò comunista finché non mi sarà imposto di esserlo»), per Galleani era invece una necessità inevitabile, secondo l’impostazione naturalista propria di Kropokin (ma in parte anche di Reclus). Questo approccio determinista è, con tutta probabilità, l’aspetto più fragile della sua elaborazione, che si riverbera in una critica frettolosa all’ipotesi collettivista. Collettivismo/comunismo è stato d’altronde il grande dibattito mancato nell’anarchismo italiano che, nel suo insieme, con fin troppa facilità, aderì al secondo dei due termini liquidando assai velocemente e piuttosto superficialmente il primo.
Proprio a partire da una concezione naturalista dell’evoluzione sociale, un altro elemento di distinzione tra i due pensatori libertari ha riguardato l’idea stessa dell’agire anarchico cui Galleani forniva un’interpretazione solo negativa, ovvero quale opera di rimozione di tutti quei fattori che impediscono la libera espressione della società. Al centro della sua elaborazione vi era una lettura riferibile all’ineluttabilità della legge del progresso verso la quale gli atti individuali di rivolta – qualsiasi atto di rivolta – erano intesi come stimolo acceleratore in un percorso in ogni caso già determinato.
È in forza di tali convinzioni che Galleani, ancora una volta a differenza di Malatesta, introiettò l’utilizzo della violenza come elemento positivo, come un fattore di necessaria e «suprema salute». Con l’esplicito scopo di far cambiare di campo la paura, l’area galleanista, che negli Stati Uniti contava migliaia di affiliati, non si sarebbe difatti mostrata affatto ingenerosa nell’utilizzo dell’azione diretta ed esemplare.
Gli episodi, in questo senso, furono molteplici, come il reiterato spingere alla rivolta gli scioperi operai, così come l’inviare ripetutamente numerosi pacchi bomba a giudici, industriali, poliziotti, sindaci ed esponenti governativi. Era stato lo stesso Galleani a licenziare un breve opuscolo, titolato La salute è in voi!, vero e proprio vademecum tecnico per la costruzione di ordigni esplosivi fai-da-te così da colpire le autorità statunitensi e i nemici di classe ovunque si trovassero.
Tale agire si collocava in un contesto ancor più violento di repressione statale, dai caratteri protofascisti, come quello che caratterizzò gli anni della Red scare americana. Anche Galleani, come migliaia di altri, sarebbe rimasto vittima di questo clima di caccia alle streghe. Nel primo dopoguerra venne infatti espulso dagli Stati Uniti e deportato in Italia, dove riprese i contatti con gli ambienti anarchici, ma anche con quelli legati a Ordine Nuovo di Torino, per poi tornare a licenziare una nuova serie di Cronaca Sovversiva.
Sebbene ormai anziano e prostrato da seri problemi di salute, Galleani finì presto sotto il mirino della pubblica sicurezza che, con l’avvento del fascismo, gli presterà attenzioni asfissianti fino a riportarlo al confino o a seguirlo in ogni suo passo. Ciononostante, fino al giorno della sua morte (4 novembre 1931), egli ebbe la forza di mantenere e alimentare una fitta rete sovversiva informale e transnazionale, fatta di solidarietà e convinzione comune, elementi che furono la vera e propria anima connettiva del movimento anarchico.