di Marilù Oliva
Luca Crovi, Noir. Istruzioni per l’uso, Garzanti, 2013, pp. 362, € 16,90
“Gli scrittori non parlino dei loro libri, si limitino a scriverli!” Si sentono latrare ogni tanto sul web appelli di questo genere, quelle frasi tutto fumo negli occhi che sembra funzionino per la loro struttura chiasmica e perché la polemica-solleva-polvere attecchisce invitante sugli stolti che cercano il movimento purché sia, senza indagarne le radici. E così parte la condivisone o il retweet.
“Gli scrittori non recensiscano, non parlino delle loro opere, non intervistino!” I Censori — così chiamerò in questo articolo coloro che esortano alla separazione delle arti e censurerebbero la critica letteraria se firmata dagli scrittori — forse dimenticano le esperienze degli anni passati. E non ricordano, ad esempio, che i massimi tra i fondatori delle nostre lettere parlavano e scrivevano a proposito dei loro romanzi e di quelli dei colleghi.
Forse ai Censori basterebbe rispolverare la storia della nostra letteratura, fin dalle origini. Perché tra i tanti perfino Dante, Guicciardini, Bembo, Manzoni trattavano della lingua, delle scelte tematiche, contestualizzavano, approfondivano i leitmotiv. Nel Novecento le testimonianze si moltiplicano. Pirandello, Verga (i cui intenti metodologici non conosceremmo tanto bene senza la “Prefazione ai Malavoglia”), Ungaretti, Montale (che, tra le altre cose, scrisse un saggio, “Omaggio a Italo Svevo”, importantissimo per l’interpretazione del male di vivere e dell’inettitudine propria dei personaggi sveviani), Vittorini e la sua rivista “Il Politecnico”. Probabilmente i Censori pensano che Pasolini sia un imbecille, lui che, trattando di poetiche, vita e politica, era insanguinato dei suoi tempi, li rivoltava senza peli sulla lingua e proprio per questo fu ucciso. I nomi elencati sono una minoranza con limitazioni geografiche, perché se ampliassi l’inventario sconfinando dall’Italia, la trattazione necessiterebbe di una lunga monografia. E allora mi accontenterò di citare un autore che mi sta molto a cuore e che ho studiato per anni: Gabriel García Márquez, le cui opere sarebbero certo più criptiche se lui non avesse disquisito per giorni e notti dei suoi libri insieme all’amico Mendoza in lunghi dialoghi poi confluiti nel prezioso “El olor de la guayaba: Conversaciones con Plinio Apuleyo Mendoza”.
Ecco perché vi anticipo con gioia che Luca Crovi (nella foto sotto) è uno scrittore, oltre che un giornalista. E ha redatto un libro, un bel libro, che in qualche modo è un inno a questa metaletteratura tanto ripudiata dai Censori: Noir. Istruzioni per l’uso.
Crovi ha scritto racconti e siglato sceneggiature a fumetti tra cui “Laggiù nel profondo” (2007, Edizioni BD), e “Fantômas — Le nuove avventure” (2006, Edizioni BD), misurandosi per l’occasione con personaggi nati dalla fantasia di Massimo Carlotto e Joe R. Lansdale. Ha anche studiato il noir, tanto che, se fossimo in ambito accademico — e se esistesse una materia attinente nei nostri atenei —, Luca Crovi sarebbe un professore e ricercatore indefesso della disciplina. La sua carriera è lunga e poliedrica, anche lasciando da parte l’attitudine al rock, di cui è grande ascoltatore nonché critico musicale: laureato in filosofia, oggi speaker radiofonico e consulente editoriale, si è dedicato allo studio delle origini e degli sviluppi della narrativa poliziesca pubblicando, tra le altre cose, il saggio “Delitti di carta nostra. Una storia del giallo italiano” (2000, Edizioni Puntozero). Per Marsilio ha realizzato la monografia “Tutti i colori del giallo” (2002), che si è poi trasformata nel 2003 nella omonima trasmissione radiofonica di Radiodue. Nel corso di ricerche d’archivio ha ritrovato “Il paese senza cielo” di Giorgio Scerbanenco di cui si è assunto la curatela.
Ma la premessa è che anche i protagonisti del suo ultimo lavoro, appena uscito per Garzanti, sono autori che parlano di sé (e, per estensione, delle loro opere e del genere di appartenenza). Diviso in 82 capitoli, uno per firma con tanto di storia editoriale e spesso di formazione, aneddoti di vita vissuta, più un indice finale dei nomi, Noir. Istruzioni per l’uso è un “atlante del delitto che si legge come un thriller”, recita il sottotitolo. In realtà questo volume di 370 pagine è molto di più. Se le definizioni di manuale noir e catalogo di writers — quasi tutti stranieri — , lo iscriverebbero in categorie troppo strette, allora meglio semplificare e chiarire che questo libro racchiude le più interessanti conoscenze ed esperienze che Luca Crovi può annoverare con i romanzieri di suspense di tutti i tempi, accumulate in quasi vent’anni. Ne parla sia in veste di intervistatore — ha conversato con centinaia di personaggi tra scrittori, attori, musicisti — sia in veste di studioso di genere.
Interessante da leggere per il lettore onnivoro, irrinunciabile per gli appassionati di genere e per gli scrittori di thriller — è ricco di spunti per realizzare una storia efficace e ritmica —, quest’opera racchiude curiosità, ricordi, perfino aforismi, accanto a lezioni spontanee di metodo ottenute attraverso le confessioni speciali che gli artisti dell’intero globo hanno rilasciato al giornalista. Si scoprono tante cose a proposito delle metodologie. Che Jeffery Deaver, ad esempio, segue una rigida scaletta, che Michael Crichton non riesce a distaccarsi dai classici nemmeno nella fase creativa, che P.D. James parte sempre dal luogo del delitto.
Non mancano gli incontri impossibili, quelli che la distanza diacronica ha impedito di attuare: i capitoli sono portati avanti attraverso un tuffo nella produzione e nell’esistenza altrui, come nel caso di Diabolik o Bertolt Brecht o Agatha Christie, amante delle vasche profumate ma anche dei veleni, oppure di Poe, di cui si sigla l’epilogo:
Non si saprà mai con certezza che cosa successe a Poe negli ultimi giorni di vita. […] Per avvicinarsi alla realtà bisogna innanzitutto studiare le fonti e la loro veridicità: solo dopo si può imbastire una qualsiasi ipotesi. Quello che si può dire è che Poe, in quel momento della sua vita a Baltimora, era completamente solo, non aveva amici né famiglia. Si trovava in un luogo a lui estraneo dove non sapeva nemmeno dove andare a dormire. Si sentiva lontano da tutto ciò che lo circondava, era spaesato e confuso.
Gli scrittori esistenti, quelli rincorsi con una telefonata oltreoceanica o intervistati a Radiodue sono stati selezionati sulla base del loro lascito e il discrimine è stato uno soltanto: quanto avrebbe potuto essere significativa per il lettore la loro testimonianza? Ne riproporrò alcuni in veloce elenco. Ken Follett ha denudato la sua anima blues, Memet Murat Somer ha condito di ironia le sue notti di Istanbul, Ellroy ha consigliato di compiere attraverso la CIA un’istruzione speciale:
Se volete sapere come controllare una popolazione, come assassinare, trucidare, rapinare corrompere, ricattare, torturare e uccidere gente innocente allora credo che i metodi CIA siano buoni.
L’avvocato svedese Jens Lapidus ha inquadrato gli atti criminali trattati nei suoi romanzi come ambientati metaforicamente nelle grondaie di Stoccolma. Poi Patricia Cornwell, Patricia Highsmith, Friederich Dürrenmatt, Michael Connelly, Jean-Christopher Grangé, Serge Quadruppani, secondo il quale il noir risponde in qualche modo alla nostra epoca perché sempre più simile a un giallo senza conclusione.
Forse più di ogni altra cosa questo libro è una nuova dichiarazione d’amore al genere. Qui si ragiona di noir, si respira il noir e lo si inquadra senza false idolatrie né appiattimenti, come conferma Raymond Chandler (nella foto sopra):
Sono d’accordo sul fatto che troppi noir sono mediocri, ma lo sono anche troppi libri di qualunque altro genere, secondo gli stessi parametri. E non accetterò mai l’assunto per cui a scrivere i noir sono gli scribacchini. Il peggiore di noi dà il sangue a ogni capitolo. Gli scribacchini sono quelli che fanno con facilità cose che sanno che vale la pena fare, e le fanno per soldi. Nessuno scrittore di noir che ho conosciuto ha mai pensato che quello che stava facendo non valesse la pena: sperava solo di farlo al meglio.
Ma torniamo ai Censori, quelli che vorrebbero lo scrittore chino nell’atto creativo, impermeabile al mondo esterno, refrattario alle interviste, chiuso nella sua missione elitaria (e misteriosa), quelli che considerano turpe se un autore recensisce un libro, appellandosi al rischio di favoritismi e clientelismi. I Censori, forse dimentichi che anche i critici blasonati possono essere collusi con le case editrici o coi vertici organizzativi di prestigiosi premi letterari (oppure ancora si scoprono amici e assidui frequentatori degli scrittori), ignorano che esiste una qualità indispensabile alla critica: l’onestà. O ce l’hai o non ce l’hai, è quello che fa la differenza al di là del ruolo rivestito. Esistono scrittori sleali, così come esistono critici letterari e medici e postini e direttori editoriali sleali. Ma per fortuna c’è anche una controparte seria. E anziché puntare sull’onestà, i Censori danno addossi agli scrittori che desiderano indagare la materia che li consuma e li fa sognare: i libri propri e altrui. Perché poi, viene da chiedersi… se un autore non può parlare di scrittura, che è il suo nutrimento quotidiano,… chi lo può fare, un fornaio? Senza voler svilire la corporazione dei panettieri (ché anzi: sono ben più indispensabili all’umanità rispetto agli scrittori), mi azzardo a dichiarare che un fornaio è autorizzato a ragionare di pane e, anzi, se lo fa nessuno gli punta il dito contro becerando: “Tornatene in bottega a preparare le rosette! Che tu il pane lo devi fare, non ne devi parlare!”
Per fortuna molti artisti vanno oltre e continuano a leggere, scrivere e condividere con gli altri le loro riflessioni, come hanno fatto queste firme memorabili con un interlocutore ideale quale Luca Crovi, appunto, che — questa volta nei panni dell’intervistato — ha dichiarato:
Ogni scrittore è una sorta di centralina che ha raccolto nel tempo emozioni e passioni letterarie. Ogni volta che può parlare degli scrittori che lo hanno accompagnato negli anni propone ai suoi lettori un parco ancora più ampio di libri da esplorare. Molti dei noir di cui mi sono occupato negli anni sono partiti da esperienze personali degli scrittori e da loro indagini. Ci sono alcuni che amano la pura fiction completamente slegata dalla loro esperienza personale, ma trovi che quelli capaci di ritrasformare il vissuto in letteratura abbiano un occhio ancora più speciale. Mi piace sentirli raccontare le loro abitudini e i loro metodi. Sono tutti diversi e personalissimi. E credo che ogni nuovo narratore scoprirà il suo solo dopo un po’ di tempo che produce. Non credo che esista una formula perfetta per scrivere letteratura di suspense e il bello sta proprio: qui nel fatto che ogni volta ci si deve mettere in gioco con se stessi e con i lettori.