di Sandro Moiso
Francesco Dei, La Rivoluzione sotto assedio. Storia militare della guerra civile russa, 2 voll., Mimesis Edizioni, Milano – Udine 2018: 1° vol. 1917-1918, pp. 244, € 22,00; 2° vol. 1919-1922, pp. 510, € 28,00
Il testo in due volumi di Francesco Dei, proposto da Mimesis, va a colmare una lacuna non secondaria della storiografica sulla Rivoluzione d’Ottobre e le sue conseguenze sociali, politiche, economiche e militari. Si tratta infatti non tanto di una prima, approfondita storia della guerra civile seguita alla Rivoluzione russa del 1917, quanto piuttosto di una ricostruzione dettagliatissima delle vicende militari che l’accompagnarono.
A differenza di molte altre storie dello stesso periodo, quasi sempre comprese all’interno di opere più generali sulle vicende che accompagnarono la nascita e l’affermazione dell’URSS e del Partito bolscevico, il testo appena edito costituisce un’autentica storia militare del conflitto, privilegiando maggiormente gli avvenimenti sul campo di battaglia piuttosto che le risoluzioni politiche, le decisioni dei Soviet e del Partito oppure quelle prese in ambiti politici e diplomatici avversi alla nascente repubblica proletaria.
Viene da ridere, mente si leggono le pagine estremamente dettagliate e allo stesso tempo emozionanti di questo libro, pensando alle difficoltà che i governi odierni, nascituri o sconfitti, di destra o di “sinistra” sbandierano oggi per giustificare la propria incapacità di risolvere i problemi o nell’affrontare la finanza internazionale e le troike europeiste. Viene da ridere, anche se l’argomento è certamente serio e drammatico, se paragonato alle difficoltà che i rivoluzionari, non soltanto quelli appartenenti alla frazione bolscevica poi risultata vincitrice, i lavoratori, i contadini e i soldati russi dovettero affrontare in un periodo di carestie, massacri, battaglie che contribuì in maniera prevalente a determinare poi il divenire della società sovietica.
Una guerra che succedeva ad una rivoluzione che era scoppiata , essenzialmente, per porre fine ad un’altra guerra: quella imperialista del 1914-1918. Una guerra che vide essenzialmente scontrarsi sul territorio della più grande nazione del mondo non soltanto gli eserciti rossi, bianchi, verdi, le formazioni anarchiche e quelle di autentici banditi che cercarono di approfittare del disordine politico, sociale e militare per i loro scopi criminali, ma anche, almeno fino a tutto il 1919, gli eserciti di almeno altre 15 nazioni intervenire pesantemente nel conflitto.
Il dramma non era soltanto costituito dal fatto che la maggioranza di questi eserciti, soprattutto quelli stranieri ma non solo, era formata da uomini stanchi di guerra e che pure una guerra ferocissima dovevano ancora condurre, ma anche dai milioni, decine di milioni di russi, donne e uomini, che in tale marasma dovettero riuscire a sopravvivere, lottando per farlo, schierandosi a fianco dell’uno o dell’altro e, in certi casi, di un altro ancora dei contendenti. Talvolta passando per necessità, sconfitta, scelta o tradimento dall’uno all’altro, come pietre che rotolavano sul fondo del fiume di sangue della guerra.
Una narrazione che assomiglia, nonostante l’accuratezza delle ricerche e un’attenta analisi di tutte le fonti (spesso inedite per l’Italia) disponibili, ad un grande romanzo storico. Una guerra senza pace, che sembrerà finire più per sfinimento e progressivo ritiro dei nemici dei Soviet e del loro governo, più che per una decisiva vittoria militare dei secondi. Una sconfitta del nemico che diventa opaca, meno gloriosa di quella che la propaganda della Russia stalinizzata vorrà poi celebrare. Resa opaca poi dal fatto che i suoi veri vincitori, dal punto di vista militare, quali Trockij, Tuchačevskil o Frunze (solo per citarne alcuni), sarebbero diventati invisi al potere negli anni successivi e tutti eliminati prima entro il 1940. Lasciando un vuoto enorme nell’organizzazione e nella teoria militare dell’Unione Sovietica, una volta che questa fu assalita da Hitler.
I personaggi tragici si trovano su ogni fronte: oltre a quelli già superficialmente citati per il fronte rosso, occorre ricordare la figura di Nestor Makhno e della sua lotta anarco-contadina, oppure dei generali bianchi come Denikin o il ferocissimo barone folle Ungern-Sternberg o i tanti atamani cosacchi al servizio dell’idea imperiale. Il libro, giustamente, va però ben oltre i nomi più famosi e illumina il lettore con una miriade di personaggi, fatti, battaglie che, fino ad ora erano stati rimossi dalla storiografia politica “ufficiale”.
Comandanti dell’Armata rossa di estrazione proletaria e contadina, ufficiali di carriera arruolati nella stessa armata per la loro esperienza militare ma posti al comando di quegli stessi uomini che nel 1917 si erano rifiutati di combattere ancora ai loro ordini o a quelli dei loro colleghi che, al contrario, nel corso della guerra civile si troveranno schierati sul fronte opposto.
Giovani operai arruolatisi come volontari nelle file delle armate rivoluzionarie che grazie all’inesperienza o alla scarsa preparazione (nel corso del conflitto imperialista spesso gli operai non erano stati arruolati per meglio assolvere alle loro funzioni produttive e di fabbrica) verseranno un tributo di sangue terribile nel corso delle prime fasi della guerra civile.
Contadini arruolati a forza in tutte le armate mentre le campagne e le comunità venivano depredate, bruciate, distrutte. E tutto questo potrebbe andare a costituire il coro dell’immensa tragedia che anima le pagine della ricerca di Dei, che può così affermare:
“Porteremo il lettore sulle rive del placido Don a seguire le colonne dei giovani cosacchi in marcia verso il Volga; nel gelido fango della tragica marcia sul ghiaccio dell’Armata bianca di Kornilov o nei quartieri generali sovietici, tra carte geografiche, matite e qualche bicchiere di vodka a scoprire la nascita dell’Armata rossa e di quei comandanti che ne influenzarono il primo anelito di vita come Tuchačevskil e Frunze. Inoltre il lettore avrà anche l’occasione di conoscere quei personaggi, meno famosi per noi occidentali, che le conferirono il tono di una vera e propria epopea […] Tra questi il sanguinario Stanislav Bulak-Balachovich che fece dei viali di Pskov una via crucis di bolscevichi, o lo sconclusionato e folle atamano Grigoriev poco credibile Pugačev del XX secolo…e così tanti altri”.1
Il tutto compreso in una cornice quasi surreale di armi luccicanti al sole, vessilli di tutti i colori mossi e agitati dal vento, di povere uniformi oppure di divise ricche e vistose che talvolta si mescolano con i treni blindati che percorrono la vastità del territorio russo, spesso affiancandosi su binari paralleli da cui daranno vita a scontri terrestri e rapidi che però sembrano ricalcare quelli delle grandi battaglie navali del passato.
Velocità ferroviaria e lentezza delle fanterie, modernità tecnologica e arretratezza organizzativa, aerei che galleggiano tra le nuvole mentre animali e soldati sprofondano nel fango delle campagne in primavera e in autunno (in Siberia anche d’estate). Un paesaggio infinito squarciato da ferite irrimarginabili e soffuso di un rosso che apparterrà più al colore del sangue che non a quello delle bandiere di partito. Questo lo sfondo del dramma, lo scenario di una vicenda che metterà alla prova la tenacia dei contendenti e, soprattutto, dei bolscevichi. Motivi per cui Lenin avrebbe affermato: «Se non riusciamo ad adattarci alle circostanze, se non siamo inclini a strisciare col ventre nel fango, non siamo rivoluzionari ma ciarlatani».2
Anche se sarà proprio questo spirito indomito a prevalere, nel corso del conflitto, sugli avversari, l’autore ci invita a non credere superficialmente che :
“la guerra civile russa sia un semplice scontro tra due fazioni contrapposte […] poiché, in questa, si confrontarono non solo bolscevichi e controrivoluzionari ma anche movimenti e partiti diversi, regioni che reclamavano l’autonomia, nazioni straniere ed eserciti sbandati. Possiamo, quindi, affermare con certezza assoluta che la guerra civile non fu una lotta a due ma una guerra senza quartiere tra una moltitudine di fazioni”.3
Il compito per lo storico è stato sicuramente gravoso, sette anni di lavoro, ma il risultato è per il lettore appassionato, sicuramente, interessantissimo e spesso rivelatorio.
Il corredo iconografico e di carte che riproducono l’evolversi degli scontri e delle battaglie, oltre che lo spostamento e il formarsi dei fronti, aiuta sicuramente chi legge ad orientarsi al meglio in un conflitto che, come pochi altri, ha contribuito alla formazione di un’esperienza politica, di una nazione, di una società e di una classe dirigente e, last but not least, dei suoi rapporti economici, politici e diplomatici con le nazioni vicine e lontane.
Ancora una volta dunque, a discapito delle più superficiali convinzioni pacifiste e falsamente umanitarie, la storia militare si rivela estremamente utile per comprendere non soltanto l’evoluzione di avvenimenti solo apparentemente lontani nello spazio e nel tempo, ma anche l’origine di contraddizioni che agitano il mondo in cui viviamo e che, molto probabilmente, ancora lo faranno nel prossimo futuro.