di Mauro Baldrati
Da cosa sta fuggendo Max Martirio?
Sotto al ponte, di mattina presto, faceva freddo. Quella notte aveva piovuto, l’umidità grondava dalle vecchie travi ammuffite. C’erano le zanzare, già spuntate alla fine di maggio.
Massimo “Max” Martirio, così soprannominato dai suoi ex sottoposti per una certa attitudine al mobbing (questo era stato uno dei capi d’accusa del cosiddetto Tribunale del Lavoro) rabbrividiva, e aveva la tosse. Si sentiva allo sbando, sperduto nella mancanza di prospettive. Restare non era possibile. Partire neanche. Perché ci voleva una prospettiva, una meta. E lui non aveva né l’una né l’altra. Di restare in Italia neanche a parlarne. Ovunque andasse lo aspettava l’arresto, e il passaggio dal regime di rieducazione a quello di espiazione. Orribile, orribile! All’estero sarebbe stato altrettanto difficile, senza un soldo, senza documenti, con un mandato di cattura internazionale. Certo, nei paesi nemici del regime neocomunista rivoluzionario italiano, come l’Inghilterra, la Germania, l’America, non aveva nulla da temere, non l’avrebbero mai estradato, ma nella sua condizione sarebbe finito sui marciapiedi, barbone pidocchioso a chiedere l’elemosina. Perché in quei paesi non esisteva l’assistenza sociale. Se eri un senzatetto morivi di freddo, al primo arrivo dell’inverno.
Ricordava ancora nitidamente, dopo due anni di campo di rieducazione, le fasi del cosiddetto “processo”. Erano venuti a prenderlo da casa otto anni prima, nel suo attico con vista sul parco Sempione, quattro zoticoni che avevano sghignazzato mentre salivano con gli scarponi tutti merdi sul divano Frau di pelle bianca. Uno aveva addirittura orinato nel suo vaso di cristallo di Murano. Il suo appartamento, aveva detto il capo, un tipo impassibile con la barba, sarebbe stato frazionato. Coi suoi 280 metri quadrati più il terrazzo che sembrava un campo di calcio avrebbe ospitato due o tre famiglie. Era seguito un processo per direttissima, dove gli atti d’accusa erano il suo stipendio annuale di 405.000 euro come vicedirettore del personale dell’azienda municipalizzata dei trasporti, e il suo comportamento sul lavoro, che era stato definito “nepotistico, dispotico, para-mafioso, sessualmente sfruttatore”. Quell’ultima definizione lo faceva ancora sorridere. Come se fosse stata colpa sua se le donne gli si gettavano letteralmente tra le braccia per avere in cambio favori. La sua difesa era stata travolta dalla testimonianza di operai e impiegati che avevano descritto il suo operato come una condotta arbitraria dove gli antipatici e i contestatori venivano puniti o licenziati, mentre i parenti, gli amici e le amanti sempre premiati con promozioni e incentivi. Era il classico rappresentante della “casta di sfruttatori” che aveva condotto alla rovina il paese. L’avevano condannato a due anni di campo punitivo e a otto di rieducazione. Il periodo punitivo era stato durissimo, al limite della sopravvivenza: sveglia alle cinque e trenta, ginnastica, colazione di frutta, riso e tè, poi otto ore di lavoro nei cantieri, a spaccare pietre col piccone (per risparmiare l’uso delle macchine, dicevano), scavare fossati, spostare sacchi di cemento. Seguivano una doccia semi-fredda con un sapone che sembrava carta vetrata puzzolente, cena con riso, verdura, una proteina quasi sempre vegetale, e letture prima di coricarsi, rigorosamente alle 22. Era obbligato a leggere libri enormi, interminabili, noiosi. Era questo il senso della punizione: assorbire forzatamente il nulla, l’inutile. Ricordava ancora alcuni titoli, che gli avevano causato incubi notturni: certi romanzi sulle sfumature di grigio, o nero, un tomo gigantesco dal titolo Villa Metaphora, libri pseudostorici di un ex giornalista-presentatore televisivo, delle inverosimili poesie di un tale che era stato ministro, romanzi di presentatori e presentatrici televisive, uomini politici famosi, cantanti famosi. Ma non doveva solo leggerli: un baffuto intervistatore che non accennava mai a un sorriso voleva sapere. Inutile fingere. Doveva spiegare perché quei libri erano espressione del nulla. E se non era convincente doveva rileggerli. Per fortuna il suo compagno di camera era un cardinale, condannato a cinque anni di punitivo perché gravemente compromesso coi regimi “clerico-liberisti” che si erano avvicendati prima della rivoluzione, che lo aiutava nelle esegesi.
Max Martirio uscì dal sacco a pelo, andò sul bordo del canale per orinare. Sotto al getto una rana balzò via. Sì, c’erano le rane, un sacco di rane verdi. Erano tornate, come diceva la propaganda governativa. Le bonifiche ambientali avevano ripulito le acque dei fiumi e dei laghi, e gli inquinatori, cioè i padroni e i dirigenti delle aziende incriminate, mandati nei campi punitivi, alcuni per sempre.
il clochard-non-clochard
Tornò alla sua postazione. Arrotolò il sacco a pelo. Doveva andare via, era rimasto sotto al ponte per due giorni, poteva dare nell’occhio. Andare, ma dove? Dove? Era un incubo, da qualunque parte si girasse non vedeva via di scampo. I viveri erano quasi finiti, lui e quel clochard potevano forse mangiare qualche rana, o certi pesci che si vedevano nell’acqua bassa del canale. Ma non poteva durare. Loro avevano informatori, militanti. Il nuovo regime aveva milioni di sostenitori attivi, dicevano. Si sentiva soffocare. Gli sembrava di sprofondare nella follia.
Il clochard si svegliò. Uscì dal sacco, si stirò, tossì. Era arrivato la notte prima, ma ora che lo osservava meglio non sembrava un vagabondo. Gli abiti erano solo un po’ spiegazzati, per la notte passata all’addiaccio coperto da una bella trapunta che sembrava nuova. Per di più si era messo a digitare sul tastierino di un telefono cellulare ultrapiatto.
Ma non aveva tempo da perdere né alcuna curiosità verso quel tipo.
Salì sull’argine del canale, si affacciò sulla carreggiata. Benché fosse da poco spuntato il sole alcune di quelle piccole, lente, tristi automobiline elettriche che avevano quasi del tutto sostituito le macchine a benzina erano già in viaggio. Doveva al più presto raggiungere una città, nella confusione forse sarebbe passato inosservato, almeno per qualche tempo. C’era gente ovunque, nelle strade, nelle piazze, nei caffè, nei teatri, sembrava che l’intera popolazione italiana su fosse riversata all’esterno. Poi avrebbe cercato di varcare la frontiera con la Svizzera.
Ma non aveva un euro, dannazione. Come sopravvivere?
E i documenti?
Gli prese uno sconforto che lo fece vacillare. Voleva il suo vecchio mondo, il suo appartamento, dove la domenica mattina si svegliava con accanto la ragazza di turno, si sentiva così carico che avrebbe cantato a squarciagola, e talvolta lo faceva. Rivoleva le sue auto, il SUV Chevrolet, la Lamborghini Black Dog, i suoi vestiti, i suoi collaboratori! La gola si strozzò, gli occhi si riempirono di lacrime. Era tutto finito, tutto. Il nuovo regime sembrava solido, durante la detenzione aveva saputo di due tentativi di colpo di stato militare sventati, e le piazze erano piene di sostenitori dei neocomunisti.
espiazione
“Sei scappato da un campo, vero?”
Il clochard-non-clochard. Alle sue spalle. Lo osservava serio.
Max Martirio non rispose. Era bastata un’occhiata per individuare la sua provenienza. Durante la fuga dal campo era riuscito a rubare una giacca, ma i pantaloni erano quelli grigi con la riga rossa, inconfondibili. Guardò l’uomo: forse poteva tramortirlo e rubargli i pantaloni. Magari anche un po’ di soldi.
Così sarebbe diventato definitivamente un criminale. Evasione più aggressione per furto: otto anni almeno di campo punitivo, forse dieci.
“Campo punitivo o rieducativo?” chiese l’uomo.
“Rieducativo” rispose Max Martirio.
Chissà perché gliel’aveva detto. Forse aveva semplicemente bisogno di parlare con qualcuno.
“E quanto ti restava da scontare?”
“Otto anni.”
L’uomo sembrava stupito. “Otto? Perché l’hai fatto? Sai bene che se ti comportavi bene potevi avere uno sconto di tre, anche quattro anni. E alcuni non vogliono più uscire dal campo. Persone sole al mondo, lavorano cinque ore al giorno, c’è la palestra, la biblioteca, il cinema…”
“E tu come lo sai?” disse Max Martirio, infastidito, contrariato, insospettito. Chi era quel clochard-non-clochard? Glielo chiese: “Chi diavolo sei? Non mi sembri fuggito da un campo.”
“No, infatti” rispose l’uomo, meditabondo. “Ero… cioè, sono un consigliere del collettivo culturale del Comune di Milano.”
“Che? Una spia?” disse Max Martirio, stupito per la corbelleria che aveva appena pronunciato. Una spia non avrebbe certo dichiarato di essere tale. “Che ci fai qui, sotto a un ponte?”
“E’ che… ho litigato pesantemente con mia moglie. Mi ha buttato fuori di casa. Tutto qui. Ma ora torno, e le chiederò scusa.”
Max Martirio era senza parole. Lui si sentiva in fin di vita, quello invece aveva avuto una crisi coniugale. Cadde seduto per terra, con le gambe distese lungo il pendìo del fosso. Il clochard-non-clochard si avvicinò, gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Che hai fatto per entrare in un campo di rieducazione?”
Uno sbocco emozionale compulsivo lo fece scoppiare in lacrime. Il senso di vuoto e di solitudine erano insostenibili, come un buco nero in cui stava precipitando. Gli raccontò tutto. L’uomo ascoltò in silenzio, senza interromperlo.
“Dunque eri un appartenente della casta parassitaria che il nuovo governo vuole portare all’estinzione. Allora perché non accetti questa realtà, e cerchi di entrare nel nuovo mondo? Perché non ti adegui? Perché non capisci?”
Il nuovo mondo. Ma lui voleva il suo vecchio, meraviglioso passato. Voleva indietro le sue cose, il suo stipendio. I suoi amici. La sua forza.
Intanto non smetteva di piangere. Non poteva credere, non poteva accettare che tutto fosse finito. Che fosse cambiato.
“Da quanto tempo sei in fuga?” chiese l’uomo.
Max Martirio inspirò a fondo, singhiozzando come fanno i bambini dopo una crisi.
“Quattro giorni.”
Anche l’uomo sospirò. “Senti, amico, non ti denuncerò. Tua è la scelta. Tanto lo sai che non puoi durare a lungo. Il vagabondaggio è quasi del tutto sparito. E poi non ha senso. Cosa faresti? E perché? Ti consiglio di costituirti subito. Ammetti il tuo errore. Per quanto ne so i giudici sono piuttosto accomodanti. Ti beccherai alcuni anni di punitivo, tipo tre, forse quattro, e poi di nuovo il rieducativo, dove la vita è più facile. Se ti impegni, vista anche la tua passata esperienza, potresti renderti utile alla comunità. Scopriresti qualcosa di nuovo, una sensazione che ti è sconosciuta, ma credo che alla fine ti piacerebbe.”
“Mi piacerebbe?” sbottò Max Martirio, piantandogli in faccia i suoi occhi gonfi e arrossati. “Ma lo sai cosa stai dicendo, consigliere? Al punitivo si lavora sodo, altro che collettivo culturale. E poi dovrò leggere quelle schifezze, alla sera, dopo il lavoro!” Ricominciò a singhiozzare.
L’uomo non si scompose.
“Quelle schifezze erano i tasselli del vostro puzzle distruttivo e autodistruttivo. Ma non ricordi come eravamo ridotti? Folle di senzatetto, criminalità alle stelle, eserciti di disoccupati, mentre quelli come te prosperavano nel privilegio e nel furto legalizzato. E per il lavoro, tutti noi consiglieri e funzionari lavoriamo in campagna per tre mesi all’anno, alcuni per sei mesi. E’ una lezione che viene dalla storia, l’hanno scoperto le guardie rosse cinesi, sai chi erano? Hanno commesso molti crimini, perché i tempi non erano maturi, ma sapevano che il lavoro manuale nobilita, e migliora le prestazioni intellettuali. Mandavano i “giovani istruiti”, i laureati, a lavorare nelle comuni agricole, perché dovevano imparare dai contadini. Ora quegli eccessi, quelle vere e proprie deportazioni, sono state superati, ma restano gli insegnamenti.”
Le automobiline passavano in silenzio, si sentiva solo il sospiro delle gomme riciclate sull’asfalto drenante. Max Martirio dopo la crisi di pianto si sentiva svuotato, privo di energie. La voce calma di quell’uomo era insidiosa, gli suggeriva di lasciarsi andare, di cercare un po’ di protezione, un po’ di calore per uscire dalla caverna buia e gelida in cui si sentiva sepolto.
“Quante ore lavoravi nel tuo tempo?” chiese l’uomo.
Max Martirio rivide se stesso in taxi alle sette di mattina, poi di nuovo in taxi alle sette o alle otto di sera. “Mah, al giorno dieci, dodici. Anche quattordici.”
“E stavi bene?”
“Sì” mentì, a testa bassa. Ricordò le starlettes che ingoiava ogni giorno, per tenersi su. E la febbre alta che arrivava quando doveva smettere, per disintossicarsi.
“Ora se ne lavorano trenta alla settimana. Ma nel giro di uno-due anni il governo conta di portarle a venticinque. Perché tutti lavoriamo, non esiste più la legge del profitto capitalista nelle fabbriche nazionalizzate. Si lavora per produrre il necessario. Potresti avere tempo per te. E una casa, uno stipendio. Per il resto dipenderà da te.”
Già, una casa. Un monolocale, probabilmente. Magari il soggiorno del suo appartamento, mentre intorno c’erano famiglie di zoticoni che calpestavano il suo parquet di ciliegio giapponese. E uno stipendio di trecento euro al mese. Quelle erano le cifre. Un dirigente poteva guadagnarne al massimo seicento, perché c’era una legge, così la chiamavano, che impediva a qualunque funzionario o presidente di guadagnare più del doppio di un operaio.
Una legge! Ancora non riusciva a crederci.
la scelta
“Bene, amico” disse l’uomo, alzandosi in piedi. “Ora ascoltami. Vedi quel cartello, al di là della strada? E’ la fermata dell’autobus. Ora io attraverserò la carreggiata e lo aspetterò. Poi salirò a bordo e tornerò a Milano. Se vuoi, seguimi. Forse mi sbaglio, ma qualcosa si sta muovendo in te. Ti accompagnerò al posto di polizia. Cercherò di aiutarti, di parlare col tuo giudice. Ti verrà data la pena minima di punitivo, vedrai. Se invece non è vero, se intendi fuggire di nuovo, pazienza. Tua è la vita.”
Restò ancora qualche secondo immobile al suo fianco, mentre Max Martirio si teneva la testa tra le mani. Poi si mosse, lo sentì che camminava verso la fermata dell’autobus.
Le automobiline passavano, silenziose, irreali.
Max Martirio guardò l’uomo che si allontanava, guardò il canale, l’acqua con le rane verdi, di nuovo l’uomo, di nuovo il canale, mentre le automobiline scivolavano come sospese su un cuscino d’aria.
La testa gli girò, gli venne da vomitare. E vomitò.
Poi riuscì ad alzarsi in piedi.
Pensò a quella dannata sveglia delle cinque del mattino, il piantone che lo scuoteva. E quella stramaledetta fila per la colazione. E quei libri schifosi.
Guardò l’uomo, il clochard-non-clochard consigliere del collettivo qualcosa.
Lo stava salutando con la mano.
[Le foto, nell’ordine: Weegee, Vivian Maier, Salgado]