di Mauro Baldrati
Melissa — la donna che cambiò la storia — Newton Compton 2012, pagine 313 € 9,90
Valter Binaghi è un personaggio molto conosciuto sul web. Ha partecipato a discussioni campali, esprimendo le sue idee a muso duro, talvolta portando a casa rancori e permali. Prova fastidio per tutte le pose, o almeno quelle che lui considera tali, ed è allergico a tutto ciò che a suo avviso odora di radical chic. Si può dire che non è “un tipo facile”. Il femminismo, come lui lo vede, è un argomento controverso: la donna non è “uguale” all’uomo, sostiene Binaghi, ma diversa, e nella diversità sta la sua forza, perché “diversa” non significa “da meno”. Mentre ciò che lo irrita del femminismo (soprattutto il movimento anni Settanta, che vede come dogmatico, rigido) è proprio la sottovalutazione di questa diversità in nome della parità.
Ora questo polemista, questo “cattolico col bazooka”, come una volta definì se stesso, ha scritto uno straordinario romanzo storico-filosofico che ha al centro una donna. L’autore la segue durante la sua lunga vita, accompagnandola nelle avventure, le gioie, le avversità, e soprattutto nella ricerca spirituale.
E, come spesso avviene in letteratura (come deve avvenire?), la calma, il senso della misura, la compassione del Narratore prendono il sopravvento sull’attitudine alla polemica dell’uomo. E’ come se l’emisfero nord, il Super-Io, si inchinasse e cedesse il passo al sud: l’Io, il nucleo centrale dal quale, con molta ricerca e un po’ di fortuna, sgorga la “vera” scrittura.
Melissa vive nei territori della Magna Grecia, a Crotone. Siamo nel 509 a.c., la città è amministrata da una classe aristocratica che fa capo a Pitagora e alla sua scuola. I maggiorenti della comunità, che si sentono limitati perché i pitagorici cercano soprattutto i valori antichi quali la spiritualità, la bellezza, l’armonia, a scapito degli affari, decidono di fare irruzione nei locali della scuola per sterminarli tutti, e prendere così il potere. Melissa, che ha avuto il privilegio di essere ammessa alla scuola e quindi di attingere agli insegnamenti direttamente dalla bocca del maestro, viene fatta prigioniera. E’ tutto organizzato, uno dei capi della rivolta, Liseo, è follemente innamorato di lei e vuole rapirla. Tutti i pitagorici devono morire, meno lei.
Una volta fatta prigioniera Melissa viene “preparata”, ricoperta di attenzioni, di onori, di profumi, ma rifiuta di cedere alle proposte di Liseo. Non è quel tipo di donna. Peraltro sarebbe tutto nelle regole: rapimento, eventuale stupro, matrimonio. Sono le prerogative dell’uomo, il signore e padrone del mondo. Ma si verifica solo lo stupro, con Liseo reso furioso dal rifiuto ostinato della donna. Poi, viene venduta come schiava.
E qui l’autore, senza una riga di compiacimento o di descrizioni particolarmente efferate, come impone il romanzo storico mainstream, la segue nel mercato degli schiavi, poi durante il viaggio verso un villaggio di Sanniti, popolo fiero, bellicoso, dedito soprattutto alla pastorizia, che vive sugli appennini campani. L’inizio è atroce: la nuova schiava è giovane, forte, particolarmente adatta alla “monta”. Così si fa, gli schiavi devono riprodursi, per fornire nuove braccia. Viene inviato alla sua cella lo schiavo più prestante, uno stallone di pura razza che fornirà un seme robusto per generare bambini forti e sani. Ma non hanno fatto i conti con Melissa, donna decisa e coraggiosa. Lo schiavo salva la pelle per un soffio.
Poi la sua grande cultura, le sue qualità terapeutiche, acquisite dagli insegnamenti olistici di Pitagora, dove tutto era conoscenza, la musica, la filosofia, la matematica, presto emergeranno e Melissa diventerà una donna rispettata, da taluni venerata, che la faranno salire addirittura la ruolo di alter-Meddix (il capo/monarca/giudice del villaggio sannita). Melissa sembra consapevole del limite della sua epoca, “sa” che il mondo è configurato dal maschio, con la sua impronta di violenza, di sopraffazione, di emarginazione della donna. Sa che la donna è “diversa” dall’uomo. Sa che questa diversità non può essere accettata dal pensiero dominante. Svela l’ipocrisia del potere, fa intravedere un tempo antico nel quale l’Archetipo della Grande Madre dispensatrice di fertilità e amore era l’unica divinità.
E’ una sorta di tempo pre-moderno quello fatto rivivere da Binaghi attraverso la sua navigatrice. Il villaggio è una comunità, con le sue contraddizioni, le sue violenze, ma il modello è quello di un gruppo che vive secondo leggi semplici ed eque, guidato da un pastore che si prende cura del grande e del piccolo, del veloce e del lento, del forte e del debole, e ognuno contribuisce come può. Siamo cinque secoli prima di Cristo, quindi non si può parlare di comunità di base evangelica, ma sembra che nel racconto tutte le liturgie e le dottrine vengano superate: c’è qualcosa di primitivo, di primordiale nel tempo degli Antichi dove tutto ebbe inizio, dove si nasconde il mistero originario della creazione che i filosofi greci, i druidi, tutti i guru e gli shibumi della storia hanno cercato di scoprire. La pitagorica Melissa sembra alla ricerca di una sapienza unica, primigenia, dalla quale hanno attinto nei secoli tutte le filosofie e tutte le religioni.
Ed è un tempo che sembra perduto, perché incombe la svolta capitalistica e imperialista dei romani, che dopo poco più di un secolo spazzeranno via i Sanniti, dopo tre dure guerre, e il mondo diventerà impero, conquista, sfruttamento, parassitismo, in nome della “civiltà”.
Su tutto si staglia la figura epica di Melissa, in un testo che, senza scadere nella didascalia né in facili suggestioni commerciali, non si fa mancare l’avventura, il fascino dei luoghi, incursioni nella mistica pura con frequenti dialoghi filosofici, e si guadagna, non sappiamo con quanto gradimento dell’autore, la qualifica di “romanzo femminista”.