di Filippo Casaccia
È un momento di grande fermento per l’editoria indipendente: a fronte di una crisi che riduce progressivamente il numero dei lettori assistiamo invece alla nascita e allo sviluppo di tante piccole realtà editoriali che con passione e competenza alimentano il dibattito letterario, coltivano delle comunità di autori e lettori e sempre più spesso propongono opere di qualità assoluta, facendo un’operazione di scouting che le major sembrano troppo spesso tralasciare. Il recente BookPride di Milano, quest’anno sotto la direzione di Giorgio Vasta, ha dimostrato la vitalità del settore ed è in questa occasione che ho incontrato Giovanni Turi, direttore editoriale di TerraRossa Edizioni, un esempio emblematico di qualità e agilità.
Giovanni, come sei entrato nel mondo dell’editoria?
Mi ero scritto alla Facoltà di Fisica, poi, per colpa di una lezione del professor Marco Marchi alla quale partecipai erroneamente, decisi di passare a Lettere (triennale), cui sono seguiti la laurea specialistica in Editoria e in parallelo un corso di formazione al lavoro editoriale con stage finale.
E quindi abbiamo perso un fisico e guadagnato un editore… ti sei mai pentito?
Me ne pento ogni volta che faccio dei bilanci (non solo economici), ma mi consolo pensando che probabilmente sarei stato un fisico mediocre, invece come editore sento di poter provare a essere almeno discreto.
Quando hai deciso di diventare editore?
In realtà io avevo deciso di diventare editor di narrativa, ossia di seguire la valutazione e la successiva gestazione dei testi con i rispettivi autori, e solo di questo mi sarei dovuto occupare anche per TerraRossa Edizioni. Quando però mi sono accorto che occorreva assumersi anche le responsabilità amministrative e gestionali, da incosciente quale evidentemente sono, ho accettato la sfida. L’aspirazione è quella di dare voce a chi abbia qualcosa da raccontare e sappia farlo in modo originale, (ri)aprire uno spazio letterario che sembra sempre più angusto: quello della narrativa che si ponga come obiettivo non solo l’intrattenimento, ma anche la sperimentazione stilistica e l’indagine sul nostro tempo.
Cosa intendi per indagine sul nostro tempo?
Sembra una frase a effetto buttata lì, se però mi costringi a ragionarci su… intendo una letteratura che parli agli uomini e alle donne che vivono in un mondo i cui confini sono esplosi nella virtualità, che avvertono come sempre più marcato il divario tra aspirazioni e possibilità, i cui riferimenti culturali, spirituali e politici sono sempre più confusi. Insomma, una narrazione che possa scalfire la solitudine e costringere a guardare oltre tutti gli schermi.
A livello di poetica – visto che sei anche editor – quali sono le prove letterarie che recentemente ti hanno convinto di più?
Ciò che contraddistingue i veri scrittori, secondo me, sono tre doti: la capacità di osservare il reale attraverso un’angolatura inedita, l’abilità nel narrare una storia (non necessariamente chiusa o lineare), la reinvenzione del linguaggio; fermo restando che ogni opera di qualità è anche capace di dialogare con il lettore, di ampliare il suo orizzonte e di irretirlo senza indisporlo o farlo sentire inadeguato. Con troppa frequenza invece si confondono banalità e immediatezza o masturbazioni linguistiche e letterarietà. Dunque, per fare un esempio, relativamente alla letteratura italiana contemporanea, nominerei Works di Vitaliano Trevisan: un romanzo che non solo attraversa la società italiana e le sue ipocrisie, ma soprattutto è dotato di uno stile personalissimo, che travalica continuamente i limiti dei singoli periodi narrativi senza mai dare l’impressione di deragliare. O anche Il giardino delle mosche di Andrea Tarabbia che, a seguito di un accurato studio di documenti e atti processuali, esplora la biografia del serial killer Čikatilo, attraverso l’uso potente della prima persona.
Come editore indipendente quali sono le difficoltà che incontri più spesso?
Le difficoltà principali sono due e non riguardano solo gli indipendenti: la scarsità di lettori (ancor più di quelli che sappiano confrontarsi con qualcosa di diverso dal solito) e il fatto che l’editore è paradossalmente l’attore più penalizzato di tutta la filiera editoriale (librerie e distribuzione possono arrivare a sottrarre il 60% del prezzo di copertina; tasse, stampa, diritti d’autore e collaboratori, se le vendite sono scarse, anche più del restante 40%). In più per le piccole case editrici c’è la difficoltà di trovare spazio nelle librerie e sui media di proprietà dei grandi gruppi editoriali, ma anche di disporre di budget adeguati per la promozione.
Com’è gestito il lavoro editoriale?
Per TerraRossa Edizioni spettano a me selezione degli inediti, editing, spedizioni, scartoffie e coordinare il lavoro degli altri collaboratori: Elena Manzari si occupa dell’ufficio stampa e dei social network, Tiziana Giudice della correzione di bozze, Stefano Savella dell’impaginazione, Francesco Dezio delle illustrazioni; ma ci sono anche altri amici e professionisti che mi danno una mano in vario modo (vorrei nominare almeno Marianna Carabellese e il resto dello staff della Stilo Editrice).
C’è una routine quotidiana?
Non esiste una giornata tipo, anche perché per 4-5 mesi l’anno la mia prima occupazione è quella di guida turistica: come la gran parte degli editori, ho un secondo lavoro, visto che dalla vendita di libri ormai non sopravvive quasi nessuno (e allora occorre inventarsi corsi di formazione e mille altri impieghi).
Quanti libri fate all’anno? Come li scegli?
L’intenzione è quella di pubblicare quattro libri l’anno, in modo da poterli selezionare accuratamente e poi promuovere con dedizione. Li scelgo valutando gli inediti che mi vengono proposti, ovviamente, o sondando cassetti e scrivanie di autori che già conosco e apprezzo.
Finito il lavoro, ti rimane tempo per leggere per il tuo piacere?
Poco in realtà, se non soffrissi di insonnia. Da quando ho preso in gestione TerraRossa, sono comunque sceso da 10-11 libri editi al mese a 5-6: spesso li seleziono tra quelli che mi vengono proposti da autori e addetti stampa per una recensione sul mio blog, Vita da editor, oppure li scelgo in base ai consigli di alcuni amici (reali e virtuali) che stimo, o ai suggerimenti dei rari critici letterari che hanno mantenuto una certa onestà di fondo.
Quali sono le strade per arrivare alla pubblicazione? Cosa consigli a un esordiente?
Considerando la gran mole di testi che vengono proposti, affidarsi a un buon agente letterario può comportare un notevole vantaggio sia per l’autore sia per l’editore, ma chi ritiene che gli inediti spediti alle case editrici non vengano presi in considerazione, si sbaglia. Occorre tempo e se ne ha sempre poco, però; per cui il primo consiglio che potrei dare a un esordiente è di trovarsi un buon agente o comunque di non aver fretta. Se ciò che ha scritto merita, troverà chi lo apprezzi.
Visto il momento di crisi – che sembra ormai una costante – come potrebbe essere aiutata l’editoria?
Se si fosse evitata la costituzione dei grandi potentati editoriali prima e poi l’acquisizione o la costituzione da parte loro dei principali distributori e delle catene di librerie, forse oggi la situazione per gli editori indipendenti sarebbe meno complessa, ma qualcosa a riguardo si potrebbe ancora fare.
Se si incentivassero gli insegnanti a leggere, piuttosto che a compilare moduli e a rispettare desueti programmi ministeriali, forse potrebbero proporre ai propri alunni testi nuovi e più vicini alla loro sensibilità, restituendo alla lettura il suo carattere sovversivo.
Se autori ed editori ricominciassero a credere nelle potenzialità della letteratura, forse in giro si vedrebbero meno parallelepipedi di carta e più libri interessanti.
Cosa invidi alle major dell’editoria? E che cosa gli rimproveri?
Per rispondere devo un po’ generalizzare e semplificare, non amo farlo, ma ci provo. Invidio la possibilità che ciascun loro impiegato ha di occuparsi di ciò che gli compete (e il fatto che percepisca uno stipendio più o meno adeguato), nella piccola e media editoria invece ognuno deve ricoprire più ruoli disperdendo tempo ed energie (e spesso senza alcun ritorno economico). Invidio la loro capacità di influenzare i principali premi letterari e gli spazi di promozione, di dirottare ingenti risorse finanziarie al loro interno, la loro riconoscibilità presso i lettori generici e il loro appeal sugli autori. Rimprovero però la frequente mancanza di un progetto culturale, sostituito spesso dall’idea di presidiare una determinata fetta di mercato. Detto questo, ci sono professionisti capaci, attenti e appassionati anche (se non soprattutto) nelle grandi case editrici.
Quali titoli rappresentano la tua casa editrice? Quali sono le prossime uscite?
Tutti i titoli che abbiamo in catalogo e che pubblicheremo sono e saranno rappresentativi: non mi interessa seguire mode e tendenze, né dare alle stampe testi che immagino si possano vendere ma che non sono coerenti con la mia idea di letteratura. Dunque inviterei a leggerne uno qualunque tra quelli pubblicati da TerraRossa e mi limito a nominare solo l’ultimo: La gente per bene di Francesco Dezio che racconta l’Italia odierna con coraggio e caustica ironia, che denuncia senza mezzi termini l’inadeguatezza della nostra classe imprenditoriale e politica, che sa dialogare con autori come Bianciardi, Volponi, Trevisan.