di Stefano Felici
Lenti spesse, omologate per la battitura a macchina. Crepitio metallico e solenne. Franco n.3 si rimbocca le maniche della camicia, poi si asciuga la fronte con il polso.
– Caldo infame.
– Non dimenticare i caporali, te.
– Non li dimentico.
– Fa proprio caldo, boia d’un cane.
– E silenzio, su!
Franco n.4 termina la prima stesura. Sistema i fogli nel vano di plastica blu e torna subito a battere sui tasti.
– Seconda stesura.
– Di già?
– Di già.
Appeso al soffitto, perpendicolare al centro della sala, un gigantesco cubo di grafite nero segna le tre del pomeriggio con le sue bianche stanghette tubolari. Franco n.5 sfila gli occhiali e comincia a massaggiarsi le tempie.
– Che caldo, eh?
– Caldo caldo.
– Boia ladro, se fa caldo.
– E zitti, su!
Il Caporeparto passeggia fra i tavoli. Gronda sudore dalla fronte e tiene le mani dietro la schiena.
– Caldo, vero?
– Vero, vero.
Franco n.5 inforca gli occhiali e si rimette a lavoro.
– Forza, su, non battiamo la fiacca.
– No, no, macché, eccomi. Pronto.
– Bene.
Marchese n.2, dal fondo della sala, alza il braccio.
– Al bagno?
– Sì, è urgente.
– A che punto sei?
– Terzo capitolo, penultimo paragrafo.
-Vai.
– Grazie.
Quindici e trenta in punto. L’Editor n.5 entra nella sala con in mano un plico di colore celeste.
– Correzioni per Franco. Il numero tre.
– Grazie. Gliele porto subito.
– Prego.
Il Caporeparto accompagna L’Editor n.5 alla porta, lo saluta, quindi va a consegnare il plico appena preso a Franco n.3.
– Correzioni?
– Esatto. Ma sono pochi fogli, come vedi.
– Buon per me.
– Già. Vedi, vedi: la stiamo assimilando questa linea, piano piano.
– Vero. Cioè, spero di sì.
– Ma è così. Lo vedo, fidati.
– Be’, sono contento. Grazie.
Alle quindici e quarantuno tutte le prime stesure sono terminate. Il Caporeparto è soddisfatto. Si asciuga la fronte con un fazzoletto di carta, strizzando gli occhi con forza per qualche secondo.
– Facciamo una pausa.
Un mormorio grave e liberatorio, scandito da secchi colpi di tosse; poco a poco riemergono voci sottili e distese. In fila ordinata, si esce dalla sala attraverso l’unica grande porta che dà sul lungo corridoio pitturato di verde pistacchio.
Nel cortile ci sono quindici uomini, tutti sui quaranta. Capelli tirati all’indietro, occhiali neri dalla montatura spessa, camicia bianca con maniche rimboccate. C’è chi porta degli straccali, chi una cintura in pelle; tutti indossano pantaloni di velluto e scarpe scure.
Marchese n.4 e Franco n.2 sono gli unici a fumare. Se ne stanno appartati, vicino a un alberello recintato da sassi appuntiti. Parlano in tutta tranquillità, concedendosi ogni tanto qualche gesto lezioso con la sigaretta in mano.
Marchese n.1, Palazzi n.3 e Palazzi n.4 passeggiano in circolo con le mani in tasca. Franco n.4, in piedi vicino a una fazzoletto d’erba, mangia una banana fissando l’altro lato della strada. Franco n.3 se ne sta appoggiato sul muretto che cinge il cortile.
– Allora? Che scrivi oggi?
– Disagio sociale. Saggio breve. Tu?
– Romanzo. Amore.
– Ah! E come sta venendo fuori?
– Non male. Mi aspetto giusto un paio di correzioni degli Editor, verso sera.
– Be’, be’, normale. I primi tempi.
– Già.
– Se ti serve qualche dritta, chiedi pure. Qualche anno fa scrissi un romanzo d’amore di Franco, sai? Uno dei primi.
– Bene.
– Lo so che è cambiato un po’ lo stile, lo so, però tu chiedi pure, se vuoi, chiedi, chiedi.
– Lo farò, lo farò.
– Sai quando lo faranno uscire?
– Almeno un anno dopo quello di saggistica sul disagio sociale. Un anno dopo il tuo, insomma.
Il Caporeparto beve tutta d’un fiato una boccetta d’acqua. Continua a grondare sudore. Dopo aver buttato nel cestino una palla umidiccia di fazzoletti di carta, sale sulle scale che portano all’ingresso e fa segno di rientrare.
Il cubo gigante segna le diciotto e venti. Entra L’Editor n.9. Ha un plico di colore arancione.
– Altre correzioni per Franco. Numero tre.
– Ah, però… Tutte queste pagine?
– Sì, purtroppo sì. Abbiamo notato un cambio di stile troppo netto. Controlli anche lei, se vuole: capitoli sette, nove e dieci. Non vanno bene per Franco. Assolutamente.
Il caporeparto prende il plico e lo porta subito a Franco n.3.
– Ci siamo un po’ addormentati, eh? Guarda qua.
– Caspita.
– T’ha dato alla testa il caldo?
– Mi perdoni, non so. Non so.
– Alla svelta, dài, forza. Stavi andando così bene.
– Sì, subito. Mi scusi ancora.
Franco n.1 si ferma e alza il braccio.
– Al bagno?
– No. Problema alla macchina da scrivere. Si sono inceppati dei tasti.
– Che diamine! Più attenzione!
– Mi scusi.
– Sì, sì, mi scusi. Non toccare nulla finché non arriva il tecnico.
Il Tecnico n.2 entra nella sala. Si dirige immediatamente verso la scrivania di Franco n.1.
– Una sciocchezza. Tasti inceppati.
– Risolvo subito.
Franco n.1 osserva il tecnico alle prese con la macchina da scrivere.
– Oh, ti ho già visto. Ti conosco.
– Scusa?
– Ti ho già visto qua dentro. Ma non in divisa da tecnico.
– Ah. Può darsi.
– Che altro hai fatto da queste parti?
– Non so se posso dirtelo.
– Avanti, dimmelo. Sai che segreto.
– Vero. Be’, ero Marchese. Il numero tre.
– Ecco. Marchese numero tre. Non mi ero accorto che non ci fossi più.
– Non se n’è accorto nessuno.
Franco n.1 prende a grattarsi la nuca.
– E come mai ti hanno declassato?
– Troppe correzioni degli Editor.
– Capito. Ho presente.
– Già.
– Già… Ma mica vi capisco.
– Che cose c’è da capire?
Il Tecnico n.2. prende ad armeggiare con la macchina da scrivere con ancor più impegno, ed è costretto a dare le spalle a Franco n.1
– Non vi capisco, a voi. Voi, secondo me, lo fate di proposito.
– A fare di proposito che?
– Di testa vostra. Prendete a scrivere come vi pare. Mica tutto a un tratto perdete il mestiere.
– Ah. Be’, è vero. Ma questo si sa.
– E lo vedi. Ma non capisco. Non capisco perché lo fate. Tanto lo sapete che fine si fa a far così.
Il Tecnico n.2 si passa il dorso della mano sulla fronte. Poi sospira.
– Guarda, se non ci arrivi da solo è inutile parlarne. Davvero.
– Sempre così rispondete. Vi conosco. Vi credete grandi artisti.
– Non ci conosci abbastanza, evidentemente.
– Ma meglio così. Io ci tengo al mio posto. Alla stabilità. Tu no? Non ci tenevi, alla stabilità?
– Tengo di più ad altre cose.
– E quali?
– Boh? Ora così, sue due piedi, mentre ti sto riparando la macchina da scrivere…
– Ora pure il sarcasmo da due soldi. Guarda che lo so che idee avete. Ma allo stesso tempo credo che il vostro sia poco più che un gioco.
– Forse, forse. E non lo so, si vedrà.
Franco n.1 si avvicina al Tecnico n.2, abbassando il tono della voce.
– Mi dici che hai combinato per farti ricollocare addirittura come tecnico?
– Ho scritto un intero capitolo senza usare verbi.
– Ma è una scemenza inaudita.
– Ma mi andava di farla!
Il cubo gigante segna le diciannove e quarantasette. In molti hanno finito le ultime stesure. Qualcuno già sistema la borsa e si prepara per tornare a casa.
L’Editor n.9 entra nella sala. In mano ha un plico di colore rosso. Il Caporeparto, appena lo vede, deglutisce emettendo un suono secco e strozzato, serrando le mascelle. Prende il plico senza chiedere spiegazioni, annuendo all’Editor n.9. Si dirige a passi lunghi verso Franco n.3.
– Numero tre, rimarrai qui fino a domattina. C’è da riscrivere tutto. Tutto. Io non ho proprio parole.
– Non capisco.
– Ah, e non capisci. Siamo al colmo. Un Editor viene qui con un plico… rosso. Guardalo bene. Un plico rosso. Non si vede un plico rosso da anni. E dopo aver mandato un plico celeste e uno arancione. E dici di non capire.
– Non credevo di… di aver peggiorato il romanzo così tanto. E poi, scusi, guardi…
L’Editor n.9 si affretta a raggiungere il Caporeparto.
– Mi scusi, il plico non è per Franco numero tre, ma per Franco numero uno.
Il Caporeparto si gira di scatto verso Franco n.1, che siede tre file dietro. Franco n.1 è già in piedi, con la giacca piegata sull’avambraccio e la borsa di pelle nera sulla scrivania.
– Numero uno! Numero uno! Franco! Torna alla tua postazione, immediatamente!
– No, no, non credo.
– Cosa?
Nello stesso istante entra nella sala il Direttore Editoriale n.1, a braccia spalancate, con un sorriso forzato.
– Tutto sotto controllo, non si preoccupi. Da domani il Franco numero uno verrà declassato a Tecnico Apprendista numero otto. Il Caporeparto spalanca la bocca. Una piccola goccia di sudore gli scende dal naso, nonostante la temperatura ora più mite.
– Il numero uno verrà rimpiazzato da un giovane del Reparto Manuali. Davvero molto bravo, non darà problemi. Abbiamo preso la decisione velocemente. Tutto sotto controllo.
– Ma… ne siete sicuri? Avete già deciso? Così, in…
– Mi creda: abbiamo preso la decisione in maniera ponderata. Sono situazioni per cui ormai esiste un protocollo. Non c’è da allarmarsi.
Franco n.1 prende in mano la borsa e se ne va verso l’uscita.
– Arrivederci.
– Arrivederci.
– Arrivederci.
-Arrivederci…
– Ma che ha fatto di tanto grave?
– Ci ha provato.
– Il numero uno. Che era così disciplinato.
– Ma sì, ogni tanto qualcuno lo fa. Anche i più insospettabili.
– La colpa è del tecnico numero due, ci scommetterei.
– La colpa è solo del numero uno. S’è lasciato infinocchiare come uno scemo.
– Mah… Non so.
– Cosa non sai?
– Secondo me quel tecnico numero due è uno di quelli che ti ipnotizza, ti—
– Per cortesia, niente stupidaggini. È pure tardi.
Nell’androne dell’edificio, il nuovo Tecnico Apprendista n.8 è costretto a consegnare gli occhiali da Scrittore a un inserviente.
– Vuol sedersi? Ci vede bene? Pare che le giri la testa.
– No, no, grazie. Va tutto bene.
– Domani dovrà riportare la divisa. Lavata e stirata. La aspetteranno al bancone del magazzino, nell’ala ovest. Vuole che le lasci un promemoria?
– No.
– D’accordo. Dopo aver riconsegnato la divisa, si presenti in accoglienza alle nove in punto. Le verranno date disposizioni sul nuovo impiego.
– Bene.
– Bene. A domani.
– A domani, grazie.
Il cortile è immerso in un tramonto violaceo. Alle spalle del nuovo Tecnico Apprendista n.8 compaiono Palazzi n.1 e Palazzi n.5, entrambi con le giacche piegate sull’avambraccio.
– Contento tu.
– Già. Contento tu.
Il nuovo Tecnico Apprendista n.8 fissa il sole che scompare veloce dietro le mura dell’edificio.
– Non so se sono contento.
– Ah. Andiamo bene. E allora perché l’avresti fatto?
– Già. Perché?
– Non so. Per vedere cosa sarebbe successo.
– E che è successo?
– Cosa pensi sia successo?
Il nuovo Tecnico Apprendista n.8 ci pensa un po’.
– Bah. Niente di quello che credevo. Ma magari ci dormo sopra e domattina cambio idea.