di Franco Ricciardiello
Una ragazza si reca dall’omeopata per trovare un rimedio all’emicrania che la tormenta, ma appena il medico tenta di indagarne le cause lei offre una resistenza inconscia. Quando ha avuto origine il disturbo? “Da quando frequento le prostitute.” Le prostitute? L’omeopata si incuriosisce, scava più a fondo finché quello che sembra imbarazzo si rivela piuttosto paura. La giovane partecipa a un progetto di assistenza lungo le strade di Milano: i volontari del servizio Bassa soglia/Segnavia percorrono le strade di periferia, distribuiscono tè caldo alle ragazze, offrono ascolto a chi vuole parlare, e assistenza nei rari casi in cui le più disperate decidono di uscire dalla loro condizione. Ma l’esperienza con il mondo dietro l’angolo, quello che possiamo permetterci di non vedere, può fare vacillare qualsiasi sicurezza. “Lo ammetto, avevo paura; non so bene di che cosa. Se è colpa delle ragazze, dei genitori, dei loro o dei miei, della chiesa, della scuola, della società.”
La prostituzione raccontata al mio omeopata, in scena finora a Milano (ma sono previste date a Mantova e Roma) nasce dall’esperienza diretta dell’autrice, Laura Tassi, diplomata alla Scuola d’arte drammatica, che davvero ha partecipato in prima persona al progetto Segnavia. Tutti i testi sono adattati da dialoghi, sfoghi e confessioni di giovani straniere attirate in Italia con il miraggio di un lavoro e poi gettate sulla strada. A differenza di altre pièces simili, Laura Tassi non tenta di toccare la coscienza dello spettatore con la cruda rappresentazione dello sfruttamento — nonostante ciò, ci tocca proprio perché le sue protagoniste si ribellano allo stereotipo volgare al quale il “mercato” costringe le ragazze.
La voce narrante, interpretata da Nastassia Calia, è palesemente l’alter-ego dell’autrice. Vorrebbe uscire dallo studio omeopatico per sfuggire alla realtà, ma le parole del medico la costringono a confrontarsi con i ricordi, che come incubi emergono dal buio alle sue spalle: sono le giovani di strada che nell’attesa tra un cliente e l’altro, inanellate in una collana di sfruttamento, lasciano affiorare un’umanità offesa e compressa dalla violenza dei trafficanti. Queste voci sembrano solo attendere chi è disposto a ascoltarle, fosse pure nel buio complice e nella finzione di un teatro. I ricordi invadono inesorabilmente il palcoscenico, mentre Nastassia si ritira nel buio. Lo spettatore entra nel cuore della notte, forse sorpreso di non assistere alla relazione prostituta/cliente, perché lo spettacolo porta in scena le ragazze negli intervalli del “lavoro” — all’autrice non interessa un’indagine sociologica vista già mille volte, bensì quella zona d’ombra in cui la prostituta pensa a sé come donna-soggetto invece che donna-oggetto: la sacrificata umanità di ragazze che per tutti sono puttane, ma che si considerano soprattutto figlie, sorelle, fidanzate.
“Avevo paura,” ripete più volte Nastassia al suo omeopata, come se fosse rimasta anche lei là fuori sulla strada, nella notte, per sempre. Ha accettato di seguire gli operatori di Segnavia per raccogliere materiale destinato al suo spettacolo, ma rimane completamente travolta. L’insicurezza, la degradazione sono contagiose, sulla strada si vive nella paura. Le parole ascoltate nelle notti, accanto ai fuochi di copertoni diventano il testo della pièce. “Cosa sognavi di fare quando eri piccola? Credevi nelle favole?… Cosa farai ora? Cosa vuoi fare ora?”
Anche le altre tre giovani attrici sono diplomate alla scuola “Paolo Grassi”: Alice Protto (che di recente è stata Mariana nell’Avaro di Molière, rivisitato dal Teatro delle Albe di Ravenna) interpreta una rumena che dopo un battibecco con la vicina di marciapiede è costretta a fingere, durante una telefonata con i genitori, di lavorare come cameriera: mamma sto bene, baci, ah la macchina di papà non funziona più? se lei riuscisse a inviare a casa altri soldi… Non c’è possibilità di uscire da questa vita, se si accetta il meccanismo dello sfruttamento.
Oltre a una giovane bulgara, Gabriella Italiano interpreta una sudamericana così sola da sfogarsi con l’unico compagno della notte — un pipistrello, al quale racconta le sue ambizioni di rivincita: visto che una puttana è arrivata fino al consiglio regionale lombardo, perché non potrebbe candidarsi anche lei? Non riesce però a fare breccia nelle altre ragazze, che si suppone dovrebbero votarla: nessuna di loro crede in una possibilità di riscatto, né collettivo né individuale.
Nello struggente monologo finale Martina Galletta (che ha recitato nel film I baci mai dati di Roberta Torre), in piedi a mani giunte intorno a un rosario, dà voce a una nigeriana, la più sfruttata tra le sfruttate, che con ingenua buona volontà prega Dio anche per l’anima di tutti coloro che la dissanguano — la “maman”, il protettore/fidanzato, i clienti violenti — perché è fermamente convinta che sia sua dovere cristiano porgere l’altra guancia. Significativo che entrambi i monologhi vedano le protagoniste con gli occhi al cielo, nei due diversi angoli del palcoscenico, rivolte a un pipistrello e a Dio, come se le probabilità di essere ascoltate fossero le stesse: l’importante è il valore terapeutico della parola.
Non c’è dunque speranza? Nessuna redenzione, lo sappiamo, ma almeno una possibilità di scelta? Eppure La prostituzione raccontata al mio omeopata vorrebbe testimoniare che un cambiamento è possibile — però la dignità necessaria richiede un atto di ribellione esplicita che poche, pochissime sono disposte a compiere.
Il forte segno di novità di questo testo teatrale di Laura Tassi è il fatto che rimane in secondo piano il rapporto oppressa/oppressori, da una parte la ragazza e dall’altra tutti gli altri — clienti, protettori/fidanzati, familiari, persino spettatori — perché dello sfruttamento va in scena il rumore di fondo: la preghiera terribile e desolata della nigeriana; la solitudine tragicomica di chi alla compagnia degli uomini preferisce quella di una creatura notturna come lei; il battibecco infantile e solo apparentemente superficiale delle due slave vicine di marciapiede — da notare a questo proposito il significativo taglio di capelli della rumena interpretata da Alice Protto, che apparentemente fa il verso a Uma Thurman in Pulp Fiction. In realtà entrambe si richiamano al medesimo modello: l’attrice Tura Satana, che non è solo specializzata in ruoli da prostituta (Irma la dolce di Wilder), ma soprattutto ha interpretato Varla, la protagonista del road-movie Faster, Pussycat! Kill! Kill! (1965), la spogliarellista lesbica e feroce che ha sempre la meglio sugli uomini, e perciò diventa un’icona per il nascente movimento femminista.
E questa ha tutta l’aria di un’impercettibile, segreta vendetta della piccola rumena di La prostituzione raccontata al mio omeopata.