di Valerio Evangelisti
Secondo le regole di Carmilla, non dovrei occuparmi del libro di cui tratterò (Aldo Gritti, I custodi della pergamena proibita, ed. Rizzoli, 2012, pp. 420, € 12,50). Riporta infatti, in quarta di copertina, una mia frase elogiativa. Si vedrà però che la mia non è assolutamente un’apologia, e che trascurerò completamente la parte romanzesca.
Voglio occuparmi di questo libro perché, in forma narrativa, svela per la prima volta in maniera persuasiva le chiavi di interpretazione del misteriosissimo manoscritto Voynich, definito spesso il più impenetrabile testo in codice della storia, ne decifra interi brani, spiega il senso di illustrazioni apparentemente enigmatiche, ne smonta la fattura fase per fase, in maniera non solo persuasiva, ma incontrovertibile. Nessuno era riuscito a tanto, fino a oggi.
Perché la scelta di una chiave narrativa, anziché saggistica? Lo spiega la protagonista nelle ultime pagine. Il manoscritto sarebbe quasi ignoto in Italia, e conosciuto solo da un numero limitato di “internauti”. La forma romanzo, e nello specifico quella del thriller, ne divulgherebbe l’esistenza e, tra elementi fantasiosi, offrirebbe gli strumenti per intenderne il senso.
Errore gravissimo, secondo me. Tutto il lavoro di ricerca pluriennale di Aldo Gritti (pseudonimo di un sacerdote, attorniato da un team di collaboratori), rischia di andare perduto proprio per l’adozione di una trama che ricorda Il Codice Da Vinci, e di soffocare negli scaffali già intasati da romanzetti che imitano Dan Brown, alcuni dei quali hanno per oggetto proprio il manoscritto Voynich.
[Un inciso: i libri su Templari, società segrete, vangeli perduti ecc. costituiscono una delle calamità moderne delle librerie, assieme ai noiosissimi e verbosi polizieschi scandinavi, di autori dal nome impronunciabile precursori o imitatori dell’insuperato Stieg Larsson.]
Il lettore comune stenterà a capire cosa ci sia di vero o di falso ne I custodi della pergamena proibita, e solo chi conosca bene il manoscritto e la sua storia potrà destreggiarvisi, non senza difficoltà. Io appartengo un poco al novero, perché anni fa, in un mio romanzo (Magus), inserii sotto altro nome il manoscritto Voynich, proponendone una cifra totalmente di fantasia. Mi divertii anche a disegnare io stesso una pagina mancante dell’originale.
Adesso che del tema si occupa gente più seria, sarebbe necessario e urgente fare uscire un saggio che estrapoli dal romanzo la parte “scientifica”. Non sarà mai un best seller, ma così com’è anche I custodi ha poche probabilità di divenirlo.
Cos’è il manoscritto Voynich? E’ uno scritto di un centinaio di pagine, redatto con lettere curiose ed eleganti da due “amanuensi” diversi. E’ corredato da rozze illustrazioni. Figurazioni astrali, piante sconosciute (a parte un paio) e donnine nude affacciate a balconcini o allineate, congiunte fra loro da quelli che si direbbero organi umani. Il tutto, ben colorato, ha un aspetto al tempo stesso barocco e infantile. La stranezza è tale da provocare un certo turbamento, o almeno sconcerto.
Il manoscritto, oggi conservato presso la Yale University, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, secondo la vulgata fu trovato dal libraio antiquario Wilfrid Michael Voynich (in realtà Wojnicz, 1865-1930) nell’università dei gesuiti di Villa Mondragone, a Frascati, nel 1912, e nel 1951 venduto dalla moglie di Voynich, Ethel (1864-1960) a un altro antiquario di New York, H. P. Kraus. Questi non trovò compratori e lo donò alla Beinecke Library, dove è classificato come MS 408.
Il manoscritto è corredato da una dichiarazione dello stesso Voynich, che lo attribuisce a Ruggero Bacone (1214-1294), e da una lettera di Marcus Marci di Cronland, rettore dell’Università di Praga nel XVII secolo, al celebre gesuita Athanasius Kircher, grande esperto in geroglifici.
Da quando l’esistenza del manoscritto ha iniziato a essere nota, grazie agli sforzi di Voynich, si sono moltiplicati i tentativi di decifrazione. Cominciò negli anni Venti un giovane studioso, William Romaine Newbold, che abbracciò la tesi che l’autore fosse Ruggero Bacone, indicato, sulla base di alcuni disegni, come inventore del microscopio e del telescopio.
Non fu creduto (e Voynich, primo ad avanzare l’ipotesi, prese subito le distanze). Del resto, tra le poche piante riconoscibili nel manoscritto figurano un girasole e la pianta carnivora detta “Venus Acchiappamosche” (Dionaea Muscipula), scoperte nelle Americhe, rispettivamente, nel XVI e XIX secolo.
Seguirono molti altri volonterosi decifratori. Il più bizzarro è forse il medico Leo Levitov, che pubblicò nel 1987 un libro dal titolo promettente: Solution of the Voynich Manuscript, Aegean Park Press. Il manoscritto sarebbe stato un manuale liturgico usato dai catari (cioè più o meno ai tempi di Bacone) durante il rito della “endura”: il suicidio in punto di morte praticato dai loro sacerdoti, i “perfetti”. Peccato che l’esistenza della “endura” sia posta in dubbio dagli storici contemporanei, e che Levitov attribuisca ai catari un culto della dea egiziana Iside. Notizia invero strabiliante.
Lasciando da parte la lunatic fringe, il primo studio serio fu quello di M. E. D’Imperio The Voynich Manuscript. An Elegant Enigma, Aegean Park Press, s. d. ma 1976. Non avanzava ipotesi di traduzione, ma elencava i problemi posti dalla codifica del testo.
Molti altri studi, a volte altrettanto seri, a volte meno, si sono succeduti. Presso l’università di Birmingham un ricercatore di origine uruguaiana, Gabriel Landini, indaga con fondi europei ormai da decenni. Ha anche creato un set di font “voynichiani”, scaricabile da qui e da altri siti. Così ognuno potrà crearsi un manoscritto Voynich in proprio.
Nel febbraio 2011 un gruppo di ricerca dell’Arizona University, grazie al Carbonio 14, ha datato le pergamene su cui è scritto il codice in anni compresi tra il 1404 e il 1438. Sì, ma come la mettiamo con il girasole e la pianta acchiappamosche, importati dall’America?
Tra tanta confusione, è arrivato per fortuna Aldo Gritti.
A questo punto mi trovo in imbarazzo, perché, essendo I custodi un thriller, non voglio e non posso precisare in dettaglio le soluzioni. Mi limiterò a indicare i punti qualificanti della parte del romanzo che si può ritenere frutto della ricerca.
– Aldo Gritti, a differenza di quasi tutti gli altri autori, non si limita a qualificare Voynich un “libraio antiquario”, ma ne indaga la vita. Voynich, ex rivoluzionario populista polacco con un odio particolare per Rosa Luxemburg (raffigurata in caricatura in una delle donnine disegnate nel manoscritto, con tanto di nome e cognome cifrati), divenne spia al servizio di vari committenti, tra cui il socialdemocratico Ebert, fucilatore della Luxemburg. Fu truffatore e, direttamente o indirettamente, sicario (responsabile forse, tra l’altro, della morte dell’anarchico Stepnyak).
– Gritti dimostra la falsificazione della lettera di Marci a Kircher, che pare riferirsi al manoscritto, mentre in origine era relativa a un testo in lingua illirica.
– Gritti – e questa è la cosa più importante – indica il codice complicato usato da Voynich per la stesura del manoscritto, derivante da un manuale di crittografia del napoletano G. B. Porta, e lo usa per decrittare le parti utili del testo, tutte relative a segreti militari (il resto sono orpelli).
– Gritti spiega dove Voynich poté comperare pergamene intonse (che dunque al Carbonio 14 risultano antiche), e come riuscì a fabbricare inchiostri indistinguibili da quelli usati nel passato.
– Gritti spiega il senso di alcune illustrazioni, relative alla biografia del russo-polacco Voynich. Chiarisce anche il perché delle donnine nude e delle piante strane, anch’esse legate a un segreto di ordine militare (però qui sono leggermente più cauto, nel mio consenso: attendo l’auspicabile forma saggistica).
Non vado oltre. Altri avevano giudicato il manoscritto Voynich un falso. I custodi dimostra che in effetti lo è, senza per questo essere privo di senso.
Dopo questo romanzo, il manoscritto è molto meno misterioso, e la strada è aperta per ulteriori ricerche. Spero che il bravo Gabriel Landini non si suicidi.