di Fabrizio Lorusso
La lettura di alcuni articoli del Corriere della Sera sulla visita del Papa in Messico del 24-26 marzo mi ha spinto a scrivere questo pezzo per mostrare e chiarire alcuni elementi tralasciati, del tutto o in parte, dai media italiani. Il tour papale, una visita di stato oltre che pastorale, ha avuto solo due tappe, le città di León e Guanajuato nello stato centro-settentrionale e cattolicissimo di Guanajuato. Quanto visto e sentito in televisione o su alcuni giornali in Italia riflette poco il dibattito in corso qui, oltreoceano, dove molte controversie sulla Chiesa messicana e sul Vaticano hanno avuto una rilevanza mediatica e pubblica fondamentale. Questo viaggio di Ratzinger è stato presentato in Italia con poche e vaghe sfumature, quasi si trattasse semplicemente di una visita apostolica, una gita disinteressata e amorevole coronata dal solito bagno di folla. Alcuni, primo tra tutti il poeta messicano Javier Sicilia del Movimento per la Pace, avevano immaginato un Papa che va a Ciudad Juarez a trovare le vittime del femminicidio (il correttore di word sottolinea ancora questa parola col rosso, come un errore, una cosa che non esiste…), un pontefice che parla ai narcos e ai corrotti nelle istituzioni, un padre che apre ai poveri e alla società reale, ai migranti e ai loro carnefici quotidiani, al di là delle etichette e delle demagogie, insomma un Papa che spiega come mai per 50 anni la Chiesa ha coperto i crimini dei pedofili e che, anche in America Latina, propone una riconciliazione e un dialogo. Sono stati delusi.
Gli articoli del Corriere cui mi riferirò sono un buon esempio, un campione dei media italiani, dei pezzi che non “sentono l’altra campana” e riproducono la versione ufficiale della presidenza messicana e delle gerarchie vaticane quasi per filo e per segno, acriticamente. Il Messico sta vivendo uno dei periodi più difficili della sua storia e merita uno sforzo di comprensione in più.
I preliminari. Il 23 marzo la redazione firma un articolo che è una cronaca dettagliata della partenza del Papa: in aeroporto “tra gli altri erano presenti il presidente di Alitalia Roberto Colaninno e l’Amministratore Delegato di Aeroporti di Roma, Lorenzo Lo Presti”. Utilissimo e fondamentale sottolineare l’uso del bastone in pubblico da parte del santo padre, i messaggi e auguri di Napolitano, il fatto che Ratzinger sappia scendere da solo la scaletta del Boing (“senza impacci”) e il suo pensiero sul marxismo.
“È evidente che al giorno d’oggi l’ideologia marxista come era concepita non corrisponde più alla realtà e così non può costituire una società -ha detto- devono trovarsi nuovi modelli con pazienza e in modo costruttivo. Questo processo richiede pazienza e decisione e vogliamo aiutarlo con spirito di dialogo per evitare traumi”. Oltre un secolo di dibattiti risolti in una frase, questa sì che è capacità di sintesi. Ad ogni modo col Messico c’entrava poco, si nota da subito che il vero campo da gioco sarà Cuba e la terra azteca sarà solo un bel trampolino di lancio mediatico, uno scalo tecnico in cui le forme prevaricano i contenuti, molto più del solito.
Climax. Il 24 marzo il tema centrale di un altro redazionale è la sicurezza per l’arrivo di Benedetto XVI, “Papamovil e 13 mila uomini armati fino ai denti per accogliere il Pontefice. Sono le misure di sicurezza predisposte per la tappa messicana del viaggio apostolico di Benedetto XVI”. E ancora, sempre più interessante (!), le caratteristiche tecniche della “Bestia”, l’auto papale blindata.
“COME LA BESTIA – Il mezzo blindato scelto per gli spostamenti è dotato di un sistema di blindaggio simile a quello dalla limousine chiamata la bestia e utilizzata nell’ultima visita nel paese dal presidente Usa Barack Obama. Il Papamovil pesa cinque tonnellate e viaggia a circa 20 chilometri orari per permettere alla folla presente di scattare fotografie”, e così via per un paragrafo intero, senza tregua e senza informazione.
A chi vive in Messico viene subito in mente qualcosa di meno tecnico e avveniristico, la bestia: così si chiama il treno dei migranti che carica speranze e umanità su dal Chiapas al nord del Messico, il treno dei centroamericani che vengono rapinati, stuprati, mutilati e deportati su quei binari di abusi e dolore, violentati dalle autorità messicane, la famosa polizia migratoria e vari corpi di agenti federali e locali, e dalle gang di narcos e di mara salvatrucha, anch’essi centroamericani passati alla delinquenza organizzata, che lucrano sulla disperazione e su questa vera e propria tratta degli schiavi postmoderna.
Dall’articolo dell’inviato Gian Guido Vecchi del 25 marzo leggiamo: “Il Papa in Messico: «Proteggete i bambini». Benedetto XVI a Guanajuato: «Miei piccoli amici, non siete soli». E agli adulti: «Non spegnete il loro sorriso». «Miei piccoli amici», li chiama. «Cari bambini, sono felice, molto felice di potervi incontrare e di vedere i vostri volti allegri che riempiono questa bella piazza. Voi occupate un posto molto importante nel cuore del Papa». Perché se già gli adulti sono calorosi, da queste parti, i bambini e i ragazzini che affollano a migliaia Plaza de la Paz, a Guanajuato, gli riservano un’accoglienza fantastica, tra bandierine e coriandoli e grida a squarciagola, a un certo punto tutti quanti intonano «Cielito lindo» e in omaggio a Ratzinger la banda abbozza pure una (spaventosa, va detto) versione della Quinta di Beethoven, alla fine pure la Nona”. L’accoglienza da star nel cuore cattolico del Messico e la riscoperta del folclore locale erano un elemento scontato, ma forse il tempo disponibile poteva essere utilizzato meglio, magari aprendo spazi di dialogo con le vittime messicane della pedofilia e della narcoviolenza.
Forse ad alcuni suona un po’ populista dirlo, ma chi ha spento molti sorrisi dei bambini messicani è stata proprio la Chiesa di Roma. Durante i tre giorni di visita in Messico Benedetto XVI non ha incontrato, come invece ha fatto in altri paesi, le vittime di pedofilia, in particolare quelle del celebre padre Marcial Maciel, noto pedofilo e fondatore della potente congregazione dei Legionari di Cristo.
Riporto da L’Unità del 24 marzo 2012 una parte di un mio articolo: “Proprio in questi giorni è uscito il libro “La volontà di non sapere”, dei ricercatori messicani Barba, Athié e González che ripercorrono la vicenda di Marcial Maciel, fondatore a Città del Messico della congregazione dei Legionari di Cristo e colpevole di pedofilia. A sei anni dalla presa di distanza del Vaticano e a quattro dalla sua morte, gli studiosi mostrano ora i documenti che spiegano come a Roma già dagli anni quaranta fossero noti i comportamenti deviati del sacerdote”. Ecco la differenza tra i bei discorsi sui bambini e la realtà, un gap che si chiama populismo papale, cioè sapere, coprire e tacere. Il problema non è circoscritto ai crimini di Maciel, ma si è allargato a molti altri membri del clero messicano tra cardinali e alti prelati che tentano di “lavare i panni sporchi in famiglia” salvo poi fare carriera ed essere invitati dal Papa alle sue cerimonie.
La rivista messicana Proceso, numero 1848, approfondisce vari casi di abusi sessuali e coperture citando, tra queste, quelle del cardinale Norberto Rivera, arcivescovo di Città del Messico, e di José Guadalupe Martín Rábago, arcivescovo di León e anfitrione di questa visita. Mi chiedo anche come sia possibile non menzionare il fatto che Guanajuato è uno degli stati più conservatori, nel senso di retrogradi, del paese e che qui le donne che interrompono la gravidanza per qualunque motivo vanno incontro a processi penali. Come reazione alla legalizzazione dell’aborto a Città del Messico, governata da una coalizione progressista dal 1997, diciassette stati del Messico hanno deciso di applicare questo tipo di sanzione (penale) nei loro territori e la candidata presidenziale Josefina Vazquez Mota, del Partido Accion Nacional, la formazione politica dell’attuale presidente Felipe Calderon, aspira a uniformare in senso restrittivo i diritti delle donne a livello nazionale e, quindi, a fare vari passi indietro rispetto al tanto ammirato “primo mondo”.
Anche per colpa di scandali come quello di Maciel, un sacerdote con sei figli sparsi per il mondo, impune per oltre 50 anni e fino alla morte, la Chiesa cattolica ha perso nettamente terreno rispetto alle altre fedi. Cito di nuovo il mio pezzo, non me ne abbiate, i dati son questi: “L’arrivo del Papa assume una rilevanza speciale per il momento politico del Messico e per la stessa Chiesa che qui affronta una costante emorragia di fedeli. “Il Papa viene a saldare un debito”, sostiene il cardinale di Guadalajara, Juan Sandoval, alludendo all’abbandono dell’America Latina che ha favorito l’espansione di protestanti, evangelici e pentecostali: in Brasile la percentuale di cattolici è scesa al 68%, in El Salvador e Nicaragua è al 50%, in Messico è al minimo storico, l’82,7%. Su 7688 associazioni religiose, oltre 4000 non sono cattoliche e hanno ben 41.000 sacerdoti su un totale di 70.000. Il fenomeno è fortissimo nel sud del paese, dal Chiapas allo Yucatan, mentre nel centro il cattolicesimo ha mantenuto percentuali superiori al 90%”. Un altro problema sottolineato dai media messicani e ignorato all’estero sono le spese della visite per l’erario: oltre 100 milioni di dollari. Ci starebbe forse per una visita di stato, ma non si era dihiarato che era una visita pastorale e basta?
Anticlimax. Dall’inviato Vecchi, il 25 marzo: Il Papa: «La Chiesa smascheri il male». L’incontro con i parenti dei desaparecidos. «È una grande responsabilità quella di educare le coscienze». Vediamo: “Il pontefice ha parlato con la madre di un poliziotto desaparecido, un’altra madre che ha visto sparire i suoi quattro figli, la sorella di un sequestrato, il fratello di una studentessa uccisa per caso durante una sparatoria, e ancora tra gli altri la madre di una delle 15 persone, compresi donne e bambini, massacrate dai narcos nella strage di Villas de Salvarcar, il 30 gennaio”. Il resto dell’articolo, e anche dei precedenti, riporta quasi interamente le dichiarazioni del pontefice con un contesto ridotto a folclore e poche nozioni. Qual è il problema?
Il Papa non ha ricevuto né ha dialogato con le vittime del narcotraffico o coi parenti dei desaparecidos, ma li ha incontrati di sfuggita, salutandoli, in uno strascico di tempo rubato all’agenda.
Non ha dato risposte concrete al Movimento per la Pace, uno degli interlocutori sociali più importanti del paese in questo momento che da un anno a questa parte rende visibili quelle vittime che il governo cercava di occultare e considerava “collaterali”, cioè i 16mila desaparecidos (in genere fatti sparire dai narcos e/o dalle autorità colluse con gli stessi criminali) e i 60mila morti della guerra al narcotraffico cominciata dal presidente Calderón.
Mentre Benedetto XVI si divertiva coi mariachi e i canti, nei pochi tempi morti della sua “intensa agenda”, le vittime di Maciel denunciavano l’assenza totale di risposte alle loro richieste d’incontro con il santo padre che negli USA nel 2008, a Malta e in Gran Bretagna nel 2010 e in Germania nel 2011 aveva tenuto dei dialoghi più o meno lunghi con le vittime. L’incontro con i parenti dei desaparecidos, sbandierato dal titolo dell’articolo, è stato brevissimo, un saluto fulmineo programmato all’ultimo minuto proprio per poterne parlare un po’ e sviare l’attenzione dalla mancanza di proposte e contenuti del massimo rappresentante dei cattolici, un incontro che ha un senso solo per la propaganda e la forma.
O meglio, i contenuti c’erano, ma poco avevano a che vedere con la gente. I tre candidati alla presidenza Repubblica (Josefina Vazquez Mota, destra, Enrique Peña Nieto, dell’ex partito egemonico e trasformista, il PRI, e Andres Manuel Lopez Obrador del Partido Revolucion Democratica) sono stati invitati e hanno partecipato alla messa (non a un incontro politico o di stato) del Papa, indipendentemente dalla loro fede (uno, Andrès Manuel Lòpez Obrador, non è nemmeno cattolico romano) e hanno cercato così di accattivarsi l’elettorato cattolico e partecipare a un atto di pre-campagna elettorale. E’ anche probabile che Lopez Obrador abbia voluto fare atto di presenza (sempre per opportunità politica, come gli altri due) per non distanziarsi molto dai rivali, infatti la visita papale in un bastione del conservatorismo messicano è stata interpretata da molti opinionisti sin dall’inizio come una mossa dal sapore elettorale orchestrata dai partiti di governo.
La campagna è cominciata il 1 aprile, ufficialmente, e un’apparizione mediatica di massa come questa non poteva essere ignorata dai tre moschettieri. Ma la visita è arrivata anche quando era in fase di approvazione una riforma importante della Costituzione messicana che è stata modificata più volte perché se, da una parte, voleva ribadire e precisare il concetto di libertà religiosa e quello di Stato laico, dall’altra, cercava anche (su proposta del partito PAN di Felipe Calderòn) di concedere radio e Tv alla Chiesa e di aprire all’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, cosa che in Messico, diversamente da quanto succede in Italia, è proibita. La riforma non è stata approvata prima della visita di Ratzinger, ma le speculazioni mediatiche parlavano di un eventuale regalo della politica per il Papa che, però, non è stato consegnato in tempo. Il tema è stato comunque oggetto dei dialoghi tra il presidente e il capo dello stato vaticano e viene visto come un primo passo verso aperture successive contro la laicità dello stato dai critici della riforma.