di Valerio Evangelisti
[Pubblico la mia introduzione al bel romanzo di Mario Boffo Femmina strega, ed. Stampa Alternativa, già recensito su Carmilla.]
In un’epoca in cui è diventato tristemente di uso comune il neologismo “femminicidio”, pare opportuno ricordare quel femminicidio di massa che fu la cosiddetta caccia alle streghe, tragedia spaventosa che ebbe luogo tra il XV e il XVIII secolo. Un fenomeno tanto più orrendo in quanto scatenato da chiese (quella cattolica romana, cui si accodarono le protestanti) che asserivano di ispirarsi all’insegnamento caritatevole di Gesù Cristo e dei Vangeli.
Nessuno è riuscito a calcolare quante furono le vittime dell’eccidio. Tanti registri e verbali sono andati persi, spesso distrutti volontariamente da inquisitori e giudici via via che la rivoluzione francese e le sue idee dilagavano e spazzavano dalla storia europea l’oscurantismo. Sta di fatto che decine di migliaia di donne, o forse centinaia di migliaia, furono incarcerate, e sovente martirizzate e uccise, per un crimine che oggi sappiamo inesistente, e dunque per un’imputazione imbecille.
Opere accurate, talora di dimensione enciclopedica (per esempio Pinuccia Di Gesaro, Streghe, Bolzano, 1988; Guy Bechtel, La sorcière et l’Occident, Parigi, 1997), hanno provato a indagare le ragioni di questa follia sanguinaria. Una risposta univoca non è ancora stata data. Certamente pesò il giudizio sprezzante, sul sesso femminile in genere, ereditato dall’ebraismo e iniettato nel cristianesimo da Tertulliano, Agostino, Tommaso d’Aquino e una congerie di padri della Chiesa e teologi di pari o inferiore prestigio. Contarono i timori per la crescita di un edificio ecclesiastico ancora fragile, che aborriva il riaffacciarsi, dietro la moltiplicazione delle eresie, di un paganesimo mai completamente debellato. Giocò l’antica scissione, di origini largamente pre-cristiane, tra corpo, involucro di miseria e peccato, e anima e spirito. Corpo di cui la donna era padrona e (per gli indagatori) succube, più dell’uomo.
Tutti questi fattori, uniti a necessità politiche e di controllo sociale contingenti, condussero i presunti seguaci di Cristo all’omicidio di massa. In forme ancor più feroci quando, stabilito da Paolo II nel 1468 che la stregoneria era crimen exceptum, il compito di sradicarla cessò di essere prerogativa dell’Inquisizione e fu esteso ai tribunali civili. Lì non esisteva più il divieto di versare sangue imposto ai religiosi. Ci si sbizzarrì, in alcune zone d’Europa, nell’inventare congegni di tortura complicati e crudeli, a volte espressamente modellati sulla fisiologia femminile. Mentre i capi d’accusa, indimostrabili, restavano affidati ai torbidi manuali di ecclesiastici (Heinrich Kramer / Institoris, Antoine Martin Del Rio, Francesco Maria Guaccio) e di giuristi cattolici (Nicolas Rémy) che scambiavano per fatti accertati bizzarre fantasie popolari.
E’ un peccato che Sigmund Freud non abbia mai portato a termine l’indagine (preannunciata in una lettera a Wilhelm Reich) che si proponeva sul Malleus maleficarum di Institoris e Spector, il trattato sulla stregoneria che imperversò con decine di edizioni nell’arco di tre secoli, guidando mani e strumenti dei carnefici. Forse avrebbe aiutato a far luce sulle radici inconsce di un crimine di dimensioni mai viste fino a quel momento. Una parte del suo compito fu per fortuna assolto dalla letteratura.
Non parlo, qui, della narrativa popolare di genere fantastico, che alla stregoneria ha legittimamente dedicato centinaia di titoli, in parallelo con il cinema. Mi riferisco invece a opere classificabili nella categoria del romanzo storico fondato su solide basi documentarie. Tralasciando gli studi di Michelet e Huxley, in bilico tra il saggistico e il letterario, è in Italia che troviamo esempi di narrazione dotati di attendibilità e grande dignità stilistica.
Penso in particolare a tre romanzi relativamente recenti: La chimera, di Sebastiano Vassalli, 1990; il troppo trascurato Strega, di Remo Guerrini, 1991; e il presente Femmina strega di Mario Boffo, originariamente pubblicato nel 2004. Ambientati in zone diverse (il Novarese, l’Imperiese e il Beneventano), raccontano storie analoghe, di giovani donne cadute nel perverso ingranaggio del sospetto e della delazione; fino a una sorte tragica in Vassalli, e a una paradossalmente benigna negli altri due autori.
Boffo è il solo a individuare senza mezzi termini nella repressione della femminilità la sostanza della persecuzione delle “malefiche”, e a sostenerla in un corposo saggio (in appendice a questa edizione), sulle tracce di Michelet. In effetti, le altre cause di vari secoli di follia omicida appaiono collaterali, rispetto a quel movente. Basta accostarlo a un’opera del già citato Guy Bechtel, divulgatore allievo di Le Roy Ladurie: Les quatre femmes de Dieu. La putain, la sorcière, la sainte et Bécassine (Parigi, 2000). Vi si documenta un’avversione nei confronti della donna, da parte delle confessioni cristiane (e, aggiungo io, delle grandi religioni monoteiste), non circoscritta al caso estremo delle streghe, bensì estesa a ogni aspetto del quotidiano femminile. In particolare, a tutto ciò che ha a che vedere con la fertilità, la gravidanza e il parto.
Non solo le “malefiche” sono sospettate, al pari dell’antica Lilith ripetutamente evocata da Boffo, di minacciare la vita dei neonati. E’ sulle donne nel loro assieme che grava il sospetto di aspirare, una volta scatenata la loro innata lussuria, a cercare un godimento senza parto, quando la procreazione è l’unica funzione loro assegnata, assieme a un pugno di mansioni servili. Colpa estesa agli uomini che si facciano complici di tale desiderio. Solo che agli uomini il piacere non è negato del tutto, alle donne sì. Fino alle mutilazioni sessuali tuttora presenti in alcune società, ma anche fino ai veli imposti per nascondere i capelli e il corpo. Anche dal cristianesimo, non più tardi dell’inizio del XX secolo, almeno nelle campagne.
Sotto questo profilo, la caccia alle streghe appare come un monito, una punizione esemplare inflitta a titolo preventivo alle femmine più disobbedienti. Per preservare una società che si vuole ordinata e gerarchizzata come il Formicarius (1437), il formicaio del domenicano Johann Nider, antesignano della strage a venire. In tutto ciò, il diavolo c’entra poco. Non a caso, con qualche traccia di anacronismo, l’inquisitore di Boffo è scettico al riguardo. E’ al servizio di un progetto di più ampie ambizioni. Oggi in parte sconfitto, ma portato avanti per più di un millennio con implacabile e sadico rigore. Questo sì realmente infernale.