di Murat Cinar

Hrant_Dink3.jpg[Quasi in coincidenza con l’anniversario della sua morte, pubblichiamo una memoria del giornalista di origini armene Hrant Dink, assassinato con tre colpi di pistola alla gola il 19 gennaio 2007 a Istanbul] A.P.

Hrant Dink ha sempre avuto la volontà di fermarsi a parlare, a studiare la storia con lo scopo di conoscerla, per poter riabbracciare i popoli del territorio anatolico. Dink ha sempre e soltanto immaginato che fosse possibile creare in Turchia un futuro diverso in cui i popoli potessero guardarsi in faccia e chiedersi scusa, ammettendo gli errori del passato: popoli turchi, curdi, armeni oppure europei.

Quando nel 2006 ha ricevuto il Premio Internazionale di Henri Nannen in Germania per aver promosso la libertà di stampa disse: “Soltanto i Turchi sono responsabili per quello che è accaduto? Non sono anche gli Europei a doversi chiedere se sono responsabili? Secondo me sì, e solo facendo così, oggi, potremo capire cosa si riesca a fare per il futuro”. Senz’altro con queste parole Dink si riferiva ai Governi europei che, dalla fine dell’Impero Ottomano, hanno sistematicamente ignorato, per via delle alleanze militari, ideologiche oppure economiche, quasi tutto quello che hanno vissuto i cittadini ottomani e turchi di origini armene nel territorio anatolico. Nel suo appello durante la serata della premiazione, chiese ai Ministri, ai Parlamentari ed ai giornalisti presenti in sala di non isolare e non “lasciare soli” i popoli della Turchia e dell’Armenia.


Hrant Dink era un giornalista, lavorava per il giornale armeno più grande della Turchia, Agos, di cui era il capo-redattore. Dink non era un giornalista rinchiuso nel suo ufficio: oltre scrivere e/ investigare per il suo giornale organizzava conferenze e partecipava a programmi radiofonici e televisivi con lo scopo di farsi “porta voce” di un popolo e della sua storia. Grazie alle dichiarazioni rilasciate durante una conferenza nella città di Urfa nel 2002 (Dink aveva dichiarato di non essere un Turco, bensì un cittadino turco ed armeno) fu processato fino al 2006 ed infine assolto. Ovviamente non smise mai di difendere le proprie idee così, nel 2004 e nel 2005, furono avviate due altre cause contro di lui perché, secondo i giudici, “offendeva l’identità turca” nelle sue dichiarazioni pubbliche in cui sosteneva che la figlia adottiva del fondatore della Repubblica turca (Mustafa Kemal Ataturk) fosse in realtà una ragazza armena. Fu inoltre processato perché, nel 2006, in un’intervista rilasciata all’Agenzia di stampa Reuters, definì “genocidio” ciò che accadde nel 1915. Infine, nel 2007, a causa di un suo articolo, lui e due altri giornalisti dell’Agos furono accusati di “offendere l’identità turca”: questa volta Dink finì nel mirino per aver scritto: “Il sangue pulito che sostituirà il sangue avvelenato che verserà il Turco, scorre nelle vene che l’Armeno costruirà in Armenia”. Nel suo articolo criticava apertamente il Governo armeno di allora per non essere in grado di assumersi le giuste responsabilità nei confronti degli Armeni residenti nel resto del mondo, lasciandoli soli.

Da quel punto in poi, in Turchia, prese piede una campagna nazionale forte, creata e portata avanti da una grossa parte dei media e dei partiti politici contro di lui. Mentre si svolgeva la caccia all’uomo a livello politico, mediatico e giuridico, il 19 Gennaio del 2007, un diciassettenne fece fuoco per ben tre volte su Hrant Dink, uccidendolo in uno dei centrali quartieri di Istanbul, proprio all’ingresso del palazzo nel quale aveva la propria sede il giornale Agos. La sera stessa, l’assassino fu arrestato. I media iniziarono a ricevere un filmato che mostrava l’assassino, in caserma, con due poliziotti intenti ad elogiarlo, in posa davanti alla bandiera turca. In pochi giorni si iniziarono a scoprire piccole incongruenze che fanno sì che il processo per l’omicidio di Dink prosegua tuttora: sotto accusa sono giudici, avvocati, poliziotti, parlamentari, giornalisti, politici e militari. Tutti elementi che dimostrano che non si sia trattato semplicemente di un omicidio ad opera di un adolescente impazzito.

Dopo l’esecuzione di Dink, sia come protesta spontanea sia durante il funerale, in diverse città della Turchia si sono svolte le manifestazioni di massa. Da quando è iniziato il processo, in ogni udienza, sia dentro che fuori dal tribunale, sono migliaia le persone che si ritrovano per dimostrare alla famiglia Dink che non è sola.

Hrant Dink aveva sempre detto che voleva vivere in una Turchia democratica e desiderava un Paese in cui tutti i pareri potessero essere enunciati, un Paese con libertà di espressione. Hrant Dink è stato sempre definito “traditore della patria”. Adesso lui, nella sua tomba, e la sua famiglia su questa terra, insieme ai suoi amici, parenti, conoscenti, colleghi e sostenitori, aspettano giustizia. Il tempo scorre come ha fatto per centinaia e migliaia di cittadini turchi ed ottomani di origini armene che da tempo aspettano quel giorno in cui potranno vivere in Anatolia insieme a tutti i popoli, in pace.

Qui riporto un articolo di Hrant Dink che mi sta nel cuore e che ho tradotto con l’ausilio di Gepi Scapparone, mia moglie.

“Un signore anziano di un qualche paese vicino a Sivas mi telefonò e disse: ‘Figlio mio, ti stavamo cercando: qui c’è una donna vecchia… credo sia una di voi. Dio l’ha presa con sé. Se trovate qualche suo parente, mandatelo qui da noi, così potrà prenderla e portarla via, altrimenti faremo il nostro rito religioso e la sepelliremo. ‘Va bene’ ho risposto ‘Mi informerò’.

Mi ha detto che la signora si chiamava Beatris ed aveva 70 anni. Veniva dalla Francia, per visitare la città. Ho fatto un po’ di chiamate e, in 10 minuti, ho trovato un indirizzo. Noi siamo pochi, ci conosciamo tutti. Sono andato al negozio che mi avevano indicato ed ho chiesto se conoscessero questa persona. Ho fatto il suo nome. Una signora non più giovane mi disse: ‘è mia madre”. Stupito ho indagato: ‘Beh, scusi, e dove vive sua madre?’ ‘Vive in Francia, fratello mio, viene in Turchia 3-4 volte all’anno ma non si ferma mai ad Istanbul. Va direttamente nel villaggio che lasciammo anni fa’. Allora le spiegai tutto e dissi di andare al villaggio.

Il giorno dopo, qualcuno mi chiamò. La signora aveva trovato sua madre e l’aveva identificata. Si mise a piangere per telefono. Le chiesi ‘Allora cosa fa? Porterà qui la salma?’ e lei mi disse; ‘Fratello mio… la porterei via ma qui c’è un signore che…’ fu interrotta dal suo pianto. La esortai a passarmi quel signore. A lui chiesi: ‘Che state facendo? Perché fate piangere la signora?’ ‘Figlio mio’, rispose ‘Io non le ho detto nulla: le ho detto solo che quella donna è sua madre e che se vuole può seppellirla qui, è come un fiume che ha trovato il proprio letto’. In quel momento mi sono messo a piangere anch’io. Mi sono messo a piangere per questo modo di percepire e rappresentare le cose della gente dell’Anatolia.

Sì, ‘il fiume ha trovato il proprio letto’. E’ proprio così. Infatti, signori: gli armeni hanno delle ‘pretese’ in questo mondo … hanno pretese verso questo Paese, ed un cuore rivolto a queste terre. Lo avevo già scritto e detto anni fa, quando il Presidente Demirel disse ‘Non abbiamo nemmeno un pezzo di pietra da dare agli Armeni’. Allora avevo scritto e raccontato la storia di questa donna. ‘Sì, noi, gli armeni, abbiamo gli nostri occhi puntati su questa terra, ma non preoccupatevi: non è perché vogliamo portarvi via questo territorio, solo vogliamo ritornarci ed entrarci dentro, per poterci vivere per sempre’.”