di Franco Ricciardiello
Il 13 novembre il Teatro della Tosse di Genova (La Claque) ha ospitato l’anteprima nazionale dello spettacolo “Verso un’altra fiamma”, tratto dall’autobiografia che lo scrittore greco-rumeno Panaït Istrati scrisse al termine di un viaggio nell’Urss di Stalin. Il giovane e bravo regista Vlad Eremia Scolari porta sulle scene una toccante riduzione di un testo che, anche se non scritto espressamente per il teatro, assume sul palcoscenico tutta la forza di una denuncia politica formidabile proprio perché inattuale (o meglio, collocata in prospettiva storica dal crollo del “socialismo reale”). Il comunista Istrati visita l’Unione Sovietica prima dei grandi processi degli anni Trenta, ma in tempo per testimoniare l’immobilismo burocratico, la sottomissione della classe lavoratrice invece della sbandierata “dittatura del proletariato”, e la repressione della vecchia guardia bolscevica che si trasformerà presto in sterminio di massa.
Ben prima che la comprensione maturi nella coscienza dei comunisti occidentali, Panaït Istrati rivela la trasformazione dell’Unione Sovietica da terra promessa del socialismo reale in un aberrante stato di polizia, dove operai e contadini non hanno altra scelta che adeguarsi alla linea di Stalin: precede dunque non solo gli scrittori di “The God that Failed” (André Gide, Ignazio Silone, Arthur Koestler), ma anche George Orwell.
Istrati (nato Gherasim Istrate) lascia la Romania per avere organizzato uno sciopero nella città natale, Brăila; in Francia, dopo un tentativo di suicidio, si fa notare dal Nobel Romain Rolland che patrocina la pubblicazione dei suoi romanzi, in particolare i tredici volumi del ciclo “Adrien Zograffi”, inaugurati da “Kyra Kyralina” (1923, una delle prime opere narrative — insieme a “Alla ricerca del tempo perduto” — in cui compaia l’omosessualità) che nel ’28 diventa un film muto sovietico. Protetto e aiutato dal partito comunista francese, nel ’27 un Istrati entusiasta del bolscevismo arriva in Urss insieme all’ambasciatore Rakovskij; incontra Victor Serge (futuro biografo di Trockij), esprime il desiderio di ottenere la cittadinanza sovietica e scrive con fervore a Stalin. La disillusione arriverà l’anno seguente durante il secondo viaggio, molto più lungo e approfondito, insieme a Nikos Kazantzakis (Rakovskij, accusato di trozkismo, è già in disgrazia).
In 70 minuti di spettacolo intenso, amaro, aggressivo, il regista italo-rumeno Vlad Scolari (che interpreta Istrati) e l’attrice Alice Protto, accompagnati da musiche dal vivo e effetti sonori di Federico Branca Bonelli, mettono in scena la disillusione di un comunista faccia a faccia con la degenerazione autoritaria del bolscevismo. Il tempo della rappresentazione si curva, insegue le aporie del personaggio; lo spettacolo inizia con un’intervista rilasciata da Istrati al ritorno dall’Urss, pretesto per rievocare a ritroso la sua vita: lo sciopero dei portuali rumeni, l’espulsione dalla Grecia, la delusione dell’incontro con l’idealizzata civiltà francese a Parigi, il viaggio nel paese dei Soviet. Sul palco la narrazione procede per accumulazione, a strati: incontri con figure storiche del bolscevismo (Trockij, Serge, Rakovskij) e con anonimi lavoratori schiacciati dal peso di uno Stato sempre più distante, disumano, assassino. Un viaggio nella desolazione di una terra immensa, una crudele discesa nell’inconscio di classe. Lo spettatore, specialmente se ha il cuore a sinistra, si vede trascinato in un’odissea allucinante: in nome della libertà di critica, Istrati denuda senza pietà l’ingiustizia di un sistema che annienta l’individuo.
Lo spettacolo ha un allestimento minimale, pochi elementi scenografici per valorizzare il testo letterario. Vlad Scolari evita il rischio di un monologo a senso unico; il palcoscenico, arredato con due sedie e un tavolo, è minacciato dalle continue incursioni di Alice Protto, giovane attrice diplomata alla Paolo Grassi e cantante eccellente, che trascina il protagonista in un “voyage au bout de la nuit” del comunismo con l’interpretazione di personaggi-meteora: contadine ciniche, cocottes, proletari disillusi, funzionari dell’immobilismo. Nell’acre, bruciante climax, l’attrice legge a raffica in un megafono i titoli di giornali d’epoca, come un’arma automatica che scaraventa sugli spettatori una squallida realtà di abusi di potere e miseria ideologica.
Con il progredire dello spettacolo, la disillusione di Istrati cresce. La sua denuncia del totalitarismo si scontra con l’incredulità dei compagni, perché pubblica quello che nessun comunista in Occidente vuole sentire: Stalin ha tradito la rivoluzione; i bolscevichi della prima ora si sono adeguati alla linea oppure sono stati fucilati; i nuovi Soviet sono una casta che vive sulle spalle degli operai e dei contadini. Lontana dall’utopia del socialismo reale, l’Urss è lo Stato dove la classe operaia soffre maggiormente.
Tornato in patria, Istrati è accusato di trozkismo dai comunisti, sorvegliato dalla polizia segreta (Siguranţa Statului) e oggetto di aggressioni e minacce da parte della Garda de Fier, i fascisti rumeni di Corneliu Codreanu; muore nel 1935 nel sanatorio di Bucarest, nella solitudine cui l’ha condannato il proprio anticonformismo. Resta “Verso l’altra fiamma” (sottotitolo, “Confessioni di un perdente”), testimonianza di una vita tormentata e coerente (“Sparerò sempre al petto o alle spalle di coloro che portano la gente alla fame e poi la fucilano”), che lo spettacolo di Vlad Scolari riesce a rendere con dolente perfezione; a noi restano anche i suggestivi entracte di quattro canzoni che danno il ritmo alla recita, interpretate con voce struggente da Alice Protto accompagnata da Federico Branca: “La petite Tonkinoise” lanciata da Josephine Baker , “Imnul Minerilor”, l’inno dei minatori rumeni, “Va las cantecele mele” (Vi lascio le mie canzoni) di Tatiana Stepa, e soprattutto la dolente “Cine iubeste si lasa” (Chi ama e abbandona) recuperata dal patrimonio folk rumeno.