di Girolamo De Michele
Puntuale come la caduta delle foglie in autunno, l’inizio dell’anno scolastico è accompagnato da un rapporto OCSE (“Education at a Glance 2011”) che inchioda il governo della scuola alle proprie responsabilità. E puntuali come come le rondini in primavera, arrivano le bugie del ministro Gelmini a cercare di negare l’evidenza.
Il rapporto OCSE attesta che i nostri insegnanti sono tra i meno pagati (tab. D3.1), e il ministro commenta: «Gli insegnanti italiani infatti sono numerosi, per fare fronte all’elevato numero di ore di insegnamento; questa è una delle cause della loro retribuzione non alta» (comunicato stampa del 13/09, qui).
Ma il rapporto indica chiaramente come il numero degli insegnanti sia in costante calo (basta confrontare le tabelle D2.2 dei diversi rapporti annuali). Se fosse come sostiene il ministro, gli stipendi dovrebbero dunque aumentare: e invece tra il 2000 e il 2009 gli stipendi degli insegnanti italiani sono diminuiti dell’1% mentre nell’area Ocse aumentavano del 7%. La verità è che gli stipendi dei docenti sono bassi perché in primo luogo (tab. B4.1) la spesa per l’istruzione dell’Italia è solo il 4.6% del proprio PIL (la media dell’Europa e OCSE è 5.4%), ossia appena il 9.4% del proprio bilancio (nel 2000 era il 9.8%; la percentuale dell’Europa è 11.7, dell’OCSE 12.9) — ultimi nell’area OCSE! [verifica qui]; e in secondo luogo, perché gli stipendi sono fermi al 2003, anno in cui fu firmato l’ultimo contratto nazionale, e dalla scorsa estate sono stati bloccati anche gli scatti di anzianità e ridotta la rivalutazione dei contributi per la pensione.
Se queste bugie dalle gambe cortissime sono vergognose, ben di peggio bisogna dire delle dichiarazioni del ministro sulle classi-pollaio. Prima di procedere, però, ascolta l’intervista a una maestra d’asilo qui. Ed ora la parola al ministro: «Proprio oggi l’Ocse ha diffuso il suo rapporto sulla scuola, e sa che cosa dice? Che la media OCSE è di 23 alunni per classe, e la media italiana di 22. Io capisco le critiche politiche, ma ci sono dati che non possono essere ribaltati» (intervista a “La Stampa” del 14/09, qui).
A voler celiare, dovremmo sorprenderci di quest’uso disinvolto delle statistiche: è come negare l’esistenza della miseria perché, tra chi digiuna e chi mangia un’aragosta, la media è di mezza aragosta a testa. Ma il ministro usa un dato del 2009 (è scritto in cima alla tab. D2.1) per negare il contenuto del “Regolamento per la razionalizzazione della rete scolastica” (DPR 81/2009, che porta anche la firma di Gelmini) che ha innalzato i limiti minimi e massimi per la formazione delle classi, creando a partire dall’a.s. 2009-2010 classi costituite “di norma” da almeno 27 alunni. E soprattutto, il ministro lascia intendere che quello di “classe-pollaio” è un mero concetto numerico: mentre invece riguarda il rapporto tra il numero di alunni e le dimensioni dell’aula, in base alla legge 626/94 sulla sicurezza. 23 alunni (più l’insegnante) è un numero accettabile se l’aula è di 50 mq, non se l’aula è più piccola. E in Italia raramente ci sono aule più grandi di 50 mq (misura prevista quando furono costruite le nuove scuole e il numero massimo di alunni era 24): per decreto si può aumentare il numero degli alunni, non la metratura dell’aula. Non sono classi-pollaio solo le oltre 2100 classi con più di 30 alunni, ma anche quelle con 27, 28, 29 alunni (più l’insegnante): che sono ormai la norma. Perché quei 3, 4, 5 alunni in più “derogano” ai criteri che indicano 2 mq minimi per ogni persona in ambiente di lavoro. Perché in caso di emergenza ci sono 3, 4, 5 alunni (più l’insegnante) che rischiano di non uscire in tempo dall’aula: dunque sono a rischio infortunio, o peggio. E quando si usa la menzogna per giocare con la sicurezza, la salute e la vita di studenti e docenti l’aggettivo “vergognoso” non basta più, e non ci sono parole adeguate. O meglio: ci sono, ma a noi insegnanti non è consentito pronunciarle.