di Valerio Evangelisti
[Questo racconto è compreso nell’antologia, a cura di Paola Staccioli, Per sempre ragazzo. Racconti e poesie a dieci anni dall’uccisione di Carlo Giuliani, Tropea editore, 2011, pp. 125, € 10,00. E’ stato pubblicato anche da “L’Humanité” del 20 luglio 2011, tradotto da Thomas Lemahieu.]
Il vicequestore si accorse di essere ripreso da una telecamera. «L’hai ucciso tu! L’hai ucciso tu, bastardo! Tu l’hai ucciso, con il tuo sasso!Pezzo di merda!» urlò in direzione di un manifestante. Fece finta di corrergli dietro. Quello smise di gridare «Assassini!» e si dileguò.
Il vicequestore percorse pochi metri, poi rallentò il passo e raggiunse con calma i colleghi, raccolti a cerchio attorno al caduto.
Erano tutti più agitati di lui. Eppure il cuore gli batteva forte. Quel morto poteva rappresentare la fine di una carriera promettente.
«Un sasso può essere una buona idea» disse il più anziano dei subordinati. «Qui attorno ce ne sono parecchi. Raccoglietene uno.»
«Si vedrà lo stesso il buco della pallottola» osservò concitato uno dei presenti. Non era un poliziotto, ma il giornalista di una testata amica.
«Il ministro ha promesso di coprirci» spiegò il vicequestore, mentre riprendeva fiato. «Ho appena parlato con lui. Gli serve solo una versione alternativa… Allora, questo sasso?»
Un agente più giovane ne raccolse uno, un grosso ciottolo di forma irregolare. «Ecco.»
Il poliziotto anziano si scansò. «Fai tu. Un colpo preciso, in piena fronte. Tanto da spezzargli il cranio.»
Intervenne un carabiniere. «Non servirà a niente. Il buco della pallottola si vede.»
«Scemo» replicò il vicequestore. «Quanto più complichiamo la scena del delitto, tanto più facile sarà trovare delle scuse. Magari è stato ucciso da una sassata, poi l’ha raggiunto una pallottola vagante.»
«Non regge.» Il carabiniere scosse il capo. Aveva attorno altri dell’Arma, che lo spalleggiavano. «La scena del delitto. Hai vistotroppi telefilm.»
Il vicequestore reagì. La tensione accumulata aveva bisogno di uno sfogo. Marciò verso il carabiniere e, con una manata sul petto, lo respinse. «Allora sei proprio stronzo. È stato uno dei vostri ad ammazzare quel ratto. Stiamo cercando di proteggervi, lo capisci o no?»
I carabinieri si strinsero attorno al collega, ma non osarono reagire. Vi furono solo degli spintoni.
Disgustato, il vicequestore tornò accanto al corpo riverso. Disse al giovane agente: «Esegui. Un colpo secco tra la fronte e il naso. Che schizzi sangue, se ne ha ancora.»
L’interpellato alzò la pietra, poi l’abbassò. «Sembra ancora vivo.»
«Che dici?»
«Mi è parso di vederlo respirare.»
«Cos’è, hai le traveggole?» Il vicequestore era al culmine dell’esasperazione.
«Non perdere tempo. Picchia. Picchia forte.»
L’agente eseguì. Si udì un crack leggero. Uscì poco sangue.
«Ottimo» commentò il vicequestore, curvo per esaminare l’operazione. «Adesso lascia il sasso vicino alla testa. Un poco più a destra. Deve sembrare che, dopo l’impatto, sia rimbalzato a breve distanza.» D’improvviso si raddrizzò. «Ehi, ma cosa succede? Ho sentito un click! Chi è l’idiota che scatta fotografie?»
Il giornalista amico, detto Bonsai, indicò un collega poco distante, con una Hasselblad fra le mani. «È quel francese là! L’ho visto io!»
Il vicequestore fu addosso allo straniero. Lo schiaffeggiò. «Adesso mi dai il rullino, pezzo di merda!»
Il francese sembrò più stupito che addolorato. Fece segno di no. Cercò di nascondere la macchina fotografica.
«Guarda che te la rompo» ringhiò il vicequestore.
Non fece in tempo perché apparve un secondo fotografo, probabilmente italiano. Scattava, si avvicinava, scattava di nuovo.
Era evidente che non c’era nulla da fare. Il vicequestore si sentì chiamare dall’agente più giovane. Lasciò perdere i fotografi e gli si avvicinò. «Che cazzo c’è, ancora?»
«Seguita a respirare. Anche con la testa rotta.»
«Qualcuno ha chiamato un’ambulanza?» Il vicequestore agitò le mani, a uso dei fotografi e di eventuali giornalisti. Arrivava un sacco di gente. Persino la tv. «No, eh? Siete proprio scemi. Cosa aspettate?»
«Ci ho pensato io» disse uno dei carabinieri. «Stanno arrivando.»
«Per fortuna. Uno meno imbecille degli altri.»
Proprio in quell’istante, il veicolo di soccorso arrivò a sirena spiegata. Frenò di colpo. Scesero i barellieri, aprirono la lettiga.
Il vicequestore indicò il corpo sanguinante del ragazzo. «Sembra morto.»
«No, non è morto» disse l’agente giovane. «Il petto si alza e si abbassa un poco.»
«È vero. Lo vedo anch’io, da qui» confermò il carabiniere.
«Be’, è quasi morto. Dopo una sassata come quella…» Il vicequestore osservò il corpo esile che veniva sollevato con precauzione, adagiato sulla barella, introdotto nell’autolettiga. «Ehi, dove lo portate?»
«In ospedale.»
«Quale ospedale?»
«Il più vicino.»
«Ve l’ha detto il ministro?»
I portantini si guardarono sconcertati. «Chi sarebbe questo ministro?»
Il vicequestore stava per replicare, ma non lo fece. Quelli non sapevano niente. Sospirò. Si sentiva stanco. «Prendete la carcassa e portatela via. Prima finiamo con questa storia e meglio è.»
I portantini non commentarono. Raccolsero il morto, o moribondo, con ogni precauzione. Chiusero gli sportelli. L’ambulanza corse via al suono acuto e modulato della sirena. Le macchine fotografiche scattavano in continuazione. C’era il sole, altrimenti il vicequestore sarebbe rimasto abbagliato dai flash. Si sentiva intontito. Trovò però la lucidità sufficiente a riportarsi presso il tratto di piazza lordo di sangue e ad allontanare il sasso con un calcio. Non serviva più. Inun ospedale qualsiasi il più ingenuo dei medici avrebbe rintracciato il foro della pallottola e avrebbe capito. Il ministro li aveva fregati.
Barcollò qui e là, senza sapere bene cosa fare. Si raddrizzò solo all’arrivo del questore in persona. Stava fendendo la calca, andava verso di lui. Pareva furibondo, spintonava i giornalisti che volevano porgli domande. Quando raggiunse il subordinato, lo trascinò dietro una fila di gipponi.
«Ma cosa mi combini?» gli sibilò in un orecchio. «Cos’è questa idea della sassata?»
Il vicequestore reagì. Dopo tanta tensione, non accettava un rimprovero gratuito. «Il proiettile non è rimasto nel corpo. Ha fatto un buco per entrare e uno per uscire. Buchini piccoli. Il sasso poteva essere un’idea.»
«Credi che non se ne accorgeranno?»
«In un ospedale normale se ne accorgeranno sì. Speravo che il ministro fosse più intelligente.»
Il questore sospirò. «Quelli come lui non lo sono mai.» Batté sulla spalla del suo vice. «Stai tranquillo. Avremo noie ma non conseguenze…» Finalmente sorrise. «Cos’hai da fare, adesso?»
«Niente di speciale. I compiti ordinari.»
«Sapresti fabbricare una bottiglia molotov?»
Il vicequestore fu stupito dalla domanda. «Penso di sì… Non dovrebbe essere difficile.»
«Allora seguimi. Ho la macchina parcheggiata poco lontano.»
Mentre raggiungevano il posteggio, il vicequestore domandò: «Ma il tizio è morto o vivo?»
Ebbe la risposta che avrebbe dovuto aspettarsi. «E chi se ne frega!»
Erano le 19. Su Manama il sole cominciava a calare.