di Alberto Prunetti
Dimentichiamo per un attimo il palio moderno, quello con gli anglo-arabi-sardi e la corsa in un minuto e qualcosa. Torniamo indietro di parecchi anni, quando per fare tre giri del campo ci volevano tre minuti e passa. Quando correvano i cavalli maremmani, col loro zoccolo grosso e il baricentro basso, il profilo montonino e il manto morello, bestioni che la curva di San Martino la facevano tranquilli, abituati ai dirupi delle macchie, senza slogarsi un osso. Allora a farsi male, tra una rissa e l’altra, erano solo i bipedi. Ecco, pensiamo allora a quando c’era già la terra di tufo in campo, e i figuranti in costume avevano appena cominciato la loro processione tra le bandiere lanciate in aria e le chianine possenti con lo zoccolo vaccino pesante e il solleone di Provenzano che dava alla testa al popolo in piazza, meno ai signori dell’alta borghesia, ai magnati e ai capitani d’industria, ai politici e agli agrari, che questi, allora come ieri, si affittavano un palchetto d’onore e si affacciavano a riparo di un qualche ombrellino. Proprio in quel momento appunto, prima che il canapo sia stretto e i cavalli entrino in piazza, un signore distinto viene aggredito vicino alla Loggia della Mercanzia.
Non è una cosa di contrada, non è il nicchio contro il montone. E non è neanche Siena contro il resto del mondo, non è il “noi senesi” contro “chi non capisce le nostre tradizioni”. È un evento che la gente non intende bene. Aggrediscono questo signore distinto, poi arriva una macchina e le forze dell’ordine lo fanno portare via, lui e la moglie, tra l’imbarazzo generale. Il signore distinto viene condotto, si saprà in seguito, in una vicina stazione ferroviaria e poi rispedito a Roma. Ma chi è questo signore, e che cosa è successo?
No, non è una cosa proprio senese. È una cosa italiana. Anzi italianissima. Vale a dire fascista. E anche questo lo vedremo tra poche righe. Siena sì, in fondo fa la stessa vita di sempre. Sonnecchia in provincia, tra le crete e le vigne, all’ombra della torre del Mangia e del Monte dei Paschi, rincorre le scadenze del Palio e lotta per tenere in vita un’università che a Roma vorrebbero sopprimere o perlomeno declassare. Un po’ come oggi. Ma questo è un palio speciale. Perché c’è un invitato d’onore e tutto deve filare liscio. L’invitato d’onore è il ministro dell’istruzione, un filosofo importante, uno che ha visto l’idea farsi istituzione attraverso il manganello: Giovanni Gentile. A lui si deve far capire che l’Università per Siena è importante, perché tiene in piedi gli affari di tutti quegli affittacamere che hanno bisogno degli studenti per arrotondare. Studenti che in effetti ogni tanto combinano troppo casino e bisognerebbe insegnar loro le buone creanze. Ma i loro soldi, quelli sì, sono i benvenuti. Un po’ come oggi, appunto. Ma non è oggi. È il 2 luglio 1923, palio di Provenzano. E poi non è solo questione di soldi, è anche affare di prestigio. Rimanere senza università significherebbe perdere smalto rispetto a Firenze, ipotesi che qui non piace a nessuno. L’idea è di accogliere il Ministro con la banda e il tricolore, farlo mangiar bene, fargli visitare l’orto botanico e i Fisiocritici e il Teatro dei Rozzi e poi il Palio. Il ministro ovviamente è l’ospite “buono”.
L’ospite “cattivo” viaggia in incognito, perché per lui è pericoloso anche andare a giro, nella nuova Italia dei nerocamiciati. E infatti appena lo riconoscono lo aggrediscono. Succede nei pressi della Loggia della Mercanzia, a pochi metri dal Campo. Lui è il deputato socialista Giacomo Matteotti, uno dei pochi parlamentari, forse l’unico, che non abbassa la testa di fronte a Benito Mussolini.
Chi sono gli aggressori? Non si sa. Sono coperti dalle autorità… Probabile che siano fascisti dell’ultim’ora, che cercano di farsi belli e di dare dimostrazione di maschia intolleranza agli occhi del nuovo regime. O forse sono gli stessi squadristi della vecchia guardia, quelli che hanno distrutto la Casa del popolo e l’hanno data alle fiamme, perché sulle sue rovine venisse costruito un locale di lusso. Squadristi duri e puri, insomma, camerati dello storico Chiurco e del martire fascista Dino Raus, studente nazionalista impallinato a Grosseto dai sovversivi maremmani.
I giornali del giorno dopo attaccano Matteotti, lo accusano di andare a giro con “eleganti figurine femminili” (la moglie Vanda, per inciso, che lo accompagnava) e di essere un plutocrate (col gergo del fascismo degli inizi, lievemente antiborghese). La stampa fascista locale si inventa con abile gioco dialettico un’incompatibilità tra palio e socialismo. Vanno a scovare un comizio del 1914 del deputato socialista Modigliani, fratello del pittore livornese, che in un congresso di minatori a Siena aveva parlato male del Palio. Per anni le parole di Modigliani furono strumentalizzate dai fascisti senesi per attaccare il socialismo da Modigliani fino a Rosa Luxemburg: tutti erano complottatori-massonico-giudaico-plenipotenziari che volevano introdurre il bolscevismo in Italia per poter cancellare il palio.
Non contenti di infangare l’immagine di Matteotti, i giornali fascisti gli augurano il peggio per il futuro. Lo minacciano e sono profetici. Scrive “La Scure”, giornale della federazione fascista senese: “Ma solo avvertiamo che codesta gente è così profondamente ignorante da non capire ancora in che mondo vive. La verità è che tali esseri sono lasciati provvisoriamente in circolazione, la rivoluzione fascista o prima o dopo li acciufferà e allora alla morte civile seguirà anche quella corporale. E così sia”. E così fu: neanche un anno dopo, il 10 giugno 1924, avendo continuato a combattere i soprusi del regime fascista, Matteotti viene rapito a Roma. Il suo cadavere sarà trovato molti giorni dopo, ad agosto.
E l’ospite “buono”? Il ministro Gentile si godrà il palio e non cancellerà l’Università di Siena, galeotto fu il piatto di pici e il vinsanto coi cantuccini. Andrà avanti per un ventennio a tessere le lodi di Hitler e dell’idealismo. Si spegnerà dopo una disputa filosofica con Bruno Fanciullacci.
Quanto a Matteotti, i senesi – toltisi i fascisti dalla groppa – gli intestarono tardivamente una delle piazze più importanti, Piazza Matteotti. Di solito chi passa da quelle parti, venendo da Banchi di sopra e andando a prendere il tram, come si dice qui, in Piazza Gramsci, non sa niente di quanto se la sia vista brutta Matteotti a Siena, dell’anticipo senese di un dramma che si realizzerà in seguito a Roma. È sempre un po’ provinciale, la lupa senese, rispetto a quella romana. Ah, a proposito. Per la cronaca, vinse proprio la Lupa col fantino Pirulino.
[Su quest’episodio è disponibile un interessante opuscolo di Paolo Leoncini, “Giacomo Matteotti al Palio”, pubblicato dall’Archivio Storico del Movimento Operaio di Siena, reperibile presso la sede di questo istituto.] A.P.