di Roberto Sturm
Simone Brioni, J. G. Ballard, il futuro quotidiano, Prospettiva Editrice, Siena, 2011, pp. 154, € 14,00.
James Graham Ballard continua a essere, a due anni dalla sua scomparsa, uno degli autori contemporanei più celebrati, uno scrittore di riferimento per un pubblico che vuole approfondire come la modernità abbia condizionato le psicogeografie dell’individuo. Autore di rottura, ha sovvertito i canoni della fantascienza tradizionale nei primi anni ’60.
Il suo testo “Quale la strada per lo spazio interiore?” del 1962 viene adottato dalla New Wave, un gruppo di autori inglesi che ha rinnovato profondamente il genere, come manifesto di intenti.
Non ci sono alieni né astronavi nei racconti e romanzi di Ballard.
“Le trasformazioni più importanti” — afferma Ballard — “che avverranno nell’immediato futuro non avverranno sulla Luna o su Marte, ma sulla Terra. E’ lo spazio interno — e non quello esterno — che necessita di essere esplorato. L’unico pianeta veramente straniero è la Terra.”
Le opere di Ballard — oltre a parecchi romanzi, la sua produzione di racconti è sterminata e raccolta dalla Fanucci in tre volumi — sondano il rimodellamento dell’inner space (lo spazio interno) rispetto ai cambiamenti della società, all’avvento delle trasformazioni tecnologiche, alla trasformazione del paesaggio esterno. E’ la psiche individuale che si adatta ai cambiamenti epocali della società, è l’uomo che (non) affronta l’alienazione causata dalla sovrapposizione della fiction alla realtà, che non comunica più direttamente con i suoi simili.
Il saggio di Simone Brioni, attento conoscitore dello scrittore britannico, porta il lettore dentro le tematiche ballardiane analizzando in modo acuto e professionale The atrocity exhibition (La mostra delle atrocità) del 1970, un testo che insieme a Crash può essere considerato il punto espressivo e artistico più alto della prima parte della carriera dell’autore britannico.
E’ un compito ingrato parlare di Ballard perché, nonostante uno studio approfondito della sua non certo esigua produzione, risulta pressoché impossibile comprendere tutte le sue peculiarità in un unico saggio, e proprio per questo la scelta di Simone Brioni di partire da un solo testo (arricchito nel seguito da altre opere, analizzate sempre però abbastanza marginalmente) risulta particolarmente azzeccata.
Lo stile di Brioni è lineare e piacevole, la sua analisi precisa e facile da seguire e i concetti che esprime nella maggior parte condivisibili.
Il saggio si apre enunciando i maggiori meriti di Ballard: “Il primo è quello di aver concentrato l’attenzione della letteratura fantascientifica sul presente piuttosto che sul futuro, a ricordare che qualsiasi forma di posteriorità passa dai cambiamenti attualmente in corso.”
“Il secondo pregio dell’opera di Ballard è quello di aver mostrato quanto la tecnologia sia penetrata nel quotidiano e abbia trasformato l’umano in un territorio di sperimentazione e manipolazione.”
“… gli esseri umani sono il risultato di ibridazioni tra tecnologia (o ambiente) e materia organica: la corporeità e la psiche non sono inalterabili ma variano a seconda del contesto storico e sociale.”
“… Ballard descrive come gli spazi personificati dell’alienazione moderna non favoriscano l’interazione sociale né permettano che si sviluppi un dialogo tra gli individui e con la storia.”
Questi, però, non sono che i punti focali di un discorso che comprende più ampiamente i temi ballardiani.
Assolutamente profetico l’episodio “Ecco perché vorrei fottere Ronald Reagan” (scritto nel 1967, quando Reagan era governatore della California), dove Ballard preconizza l’importanza della tv sulla politica e ipotizza la supremazia della fiction anche sul versante politico.
Del resto, come Ballard aveva affermato in tempi non sospetti e ricordato da Brioni in una recente intervista apparsa sul sito di Prospettiva Editrice “la peggior cosa che potrà succedere è che l’Italia venga trasformata in un gigantesco telequiz, che banalizzi tutto”. Cosa che si è puntualmente avverata.
Nell’ultima parte del saggio, Simone Brioni e Maria Vaccarella fanno un’incursione sui “non luoghi nell’opera di James Graham Ballard.”
Luoghi che “si configurano come trasposizioni spaziali delle problematiche sociali dell’era postmoderna, poiché la loro natura effimera promuove un’individualità solitaria e alienata”.
Per fare questo, gli autori si rifanno a opere della seconda parte della carriera artistica di Ballard, ad eccezione di High rise (Il condominio), 1975. Millennium People (2004), Running wild (Un gioco da bambini) 1988, Cocaine nights (1996) e Super Cannes (2000) sono romanzi in cui Ballard lascia la sua fantascienza per addentrarsi in città fortezze, enclave, condomini fortificati e autosufficienti dove la gente cura i propri malesseri con massicce dosi di psicopatologia.
E’ il ceto medio, la borghesia che comincia le rivoluzioni per mantenere i privilegi ottenuti.
Questo saggio è utilissimo sia per chi già conosce Ballard ma soprattutto per chi volesse farsi una prima idea sulle potenzialità eversive di questo autore che ha affermato: “Più invecchio e più divento di sinistra”.
Il suo testamento letterario, Regno a venire, mette in guardia tutti noi da come il consumismo, le sue nuove cattedrali (i centri commerciali), la ricerca ossessiva del benessere, i club di tifosi che marciano per le strade con gli emblemi della propria squadra possano facilmente trasformarsi in un non troppo strisciante fascismo.
E con i tempi che corrono non mi sembra poco.