di Livio Ciappetta
Dall’interrogatorio di Piotr Wenzel-Richlerin al cospetto del giudice delle Cesaree maestà d’Austria.
“Fu l’ultima notte di ottobre. Nascosto tra le prime file degli alberi, li osservai avanzare verso la foresta. Centinaia di torce accese illuminavano il corteo silenzioso, che avanzava lento assieme ai due carri, sui quali erano stati già deposti i corpi. Del macabro rito al cimitero, che aveva preceduto quella lugubre marcia, avevo sentito solo le grida, tenendomi prudentemente lontano. I miei compaesani, accecati dall’orrore e dalla furia, avevano disseppellito ventotto tombe, ad iniziare da quella della mia povera madre, conosciuta come la strega Salingherin, e ritenuta responsabile dell’epidemia di vampiri che si era abbattuta sul nostro villaggio. Una a una, le ventotto bare furono scoperchiate, e ne furono estratti i corpi, trovati di color brunazzo, e di carni tostissime.
Unghie, denti e capelli erano cresciuti, e un fiotto di sangue affiorava sulle labbra gonfie. Furono decapitati, tutti, dopo aver trafitto loro il cuore con un palo. E da tutti i corpi dei vampiri pare che esca un profondo gemito, una volta trafitti. Si fecero avanti poi i vampirizzati, coloro che erano stati soffocati nel sonno, e che per liberarsi dalla maledizione avrebbero dovuto strofinarsi col sangue dei vmpiri, e mangiare terra del loro sepolcro. Una volta mondati dall’infezione, rapidamente caricarono i corpi sui carri per condurli nella foresta. Giunti in una radura poco distante fu appiccato il fuoco, e sulle ceneri del grande rogo fu posta una croce di legno benedetta, inviataci dal capitolo della cattedrale di Olmutz, la nostra diocesi.
La mia casa era stata distrutta e incendiata. La macchia indelebile caduta sulla mia famiglia non poteva abbandonarmi, e feci appena in tempo a fuggire. Viaggiai verso nord per circa una settimana, quando alla fine caddi stremato, sul bordo di un ruscello, dove mi ritrovò e pietosamente mi raccolse l’illustrissimo signor barone, che mi condusse fino a voi. Altro non posso aggiungere, eccetto il chiedere pietosa accoglienza e protezione benigna al cospetto delle Cesaree maestà, che Dio le protegga.”
Dalla relazione del barone Gherard Wan Swieten, Archiatro delle Cesaree Maestà e prefetto della loro biblioteca.
“Un viaggio lungo e disagevole mi ha condotto in quella terra soffocata da fame e miseria, al confine tra la Slesia, la Moravia e l’Ungheria, nella diocesi di Olmutz. Da quando a corte era giunta voce dei moti sanguinosi che agitavano quei luoghi, sua maestà mi aveva manifestato il desiderio che me ne occupassi personalmente. Come custode della biblioteca, avevo scorto tra i volumi in nostro possesso alcuni che mi sarebbero di certo stati utili per discernere tali meraviglie, e ben posso dire che furono fedeli compagni di viaggio. Tra di essi vorrei ricordare anzitutto alle eminenze vostre la lettura del Giovan Battista Della Porta, gran fattucchiere napolitano, che pur tuttavia già 200 anni or sono metteva in guardia dalli brutti sogni che talvolta agitano l’anima umana, e la inducono a credere a quanto di più terrifico e meraviglioso possa accadere. Egli ci acclara come sia possibile, per mezzo di rimedi naturali, a far venire sogni dilettevoli, fastidiosi e paurosi, e sono ben convinto che l’animo di tanti paesani debba ben esser stato agitato, almeno in principio, da cagioni naturali. Altri buoni volumi accompagnarono il viaggio, tra i quali alle eminenze vostre piaccia saggiare le qualità del Viaggio in levante del signor de Tournefort, del Trattato istorico e dogmatico sopra le apparizioni, visioni e rivelazioni particolari, opera dell’ Abate Langlet Dufresnoy, o ancora la buona opera di Carlo Fernando de Scherz, intitolata magia postuma. Ma soprattutto mi fu di gran consolazione il grande ingegno del signor Girolamo Tartarotti, che nel suo gran tomo sul congresso notturno delle Lammie, ci dice in sostanza trattasi di un puro sogno, nascente da apprensione e timore, e null’altro sembra essere tutta quella faccenda dei vampiri. Egli aggiunge sagge riflessioni a riguardo; or poniamo, che per gran ventura il cadavere dell’assalitore defunto siasi trovato incorrotto, con sangue in bocca, con unghie, e capelli cresciuti, e cose simili, che tutte naturalmente accadono; e per la plebe ammiratrice e superstiziosa un fondamento da conchiudere, che i morti mangiano i vivi. Dello stesso parere monsignor abate Calmet, priore dell’abbazia di Senanque ,che pure ebbe la cortesia di inviarmi il suo trattato sulle superstizioni.
E dunque, confortato da tali letture, non potei che constatarne la veridicità una volta giunto tra quella trista gente.
Sappiano le vostre maestà, che è costume da queste parti seppellire i morti a faccia in giù. Essi, credono, una volta defunti divorerebbero la bara e la terra che la ricopre per poi uscire dal sepolcro; e per ciò li si capovolge nella bara, affinché divorando si dirigano verso il centro della terra.
Pretesi d’essere accompagnato, da alcuni villici e dal curato d’una parrocchia del contado, alla tomba di un sospetto vampiro, e in mia presenza essi compirono il macabro rituale per sbarazzarsi della bestia. Ma il loro sgomento fu ancora più grande, quando mostrai loro le ragioni naturali dell’aspetto e dei gemiti del vampiro. Essi infatti, conficcando violentemente un palo nel petto, producevano una rapida fuoriuscita dell’aria residua nei polmoni, da cui si generava il gemito. Quanto alla crescita dei capelli e delle unghie, è noto che continuano a crescere ancora per diversi giorni dopo la sepoltura; e per i denti sporgenti, si sappia che essi non han accresciuto le loro dimensioni neppure un poco, ma piuttosto sono le gengive, oramai disidratate, a ritirarsi mostrando il dente più lungo. Confesso che rimasi assai stordito, nel vedere che il curato condivideva lo sgomento e l’apprensione con la gente brutale e volgare con cui si accompagnava. Tale parroco, come temo molti altri, compartecipa di tali suggestioni e credulone rie tanto quanto i suoi parrocchiani. La santa madre chiesa avrà il suo bel da fare per allontanare da se il flagello secolare delle superstizioni, di cui pure essa a lungo si è nutrita.
Non potei fare a meno di notare una certa bramosia nei volti di quegli uomini; volti famelici, volti di coloro che spesso si tormentano per la fame che li attanaglia, e le carestie in queste terre non mancano di certo. Mi domando se certe suggestioni, specie notturne, e certi segni sulla pelle ritrovati sui corpi dei vampiri, non si possan piuttosto spiegare con una qualche deficienza dovuta alla magrezza e alla perenne mancanza di buon nutrimento.
Sulla via del ritorno, certo del buon esito della mia missione, intrapresi la scrittura della relattione che le vostre maestà mi faranno l’onore di leggere, e fu a tre giorni di viaggio dall’ultimo villaggio visitato che incontrai quel giovane, ramingo e disperato, in fuga da tanto orrore. Egli, mi disse, aveva patito la sorte d’essere figlio d’una strega; credenza dura a morire, sebbene molti illustri autori abbiano ormai dimostrato che il demonio altro non può se non illudere le menti deboli. Scacciato dal suo villaggio, chiede ora asilo presso questa nostra città, per non dover più patire tante sofferenze.
Che Iddio nostro signore illumini e protegga le vostre maestà, e che vi doni la forza di scacciare per sempre dalle terre dell’impero le tante superstizioni che ancora lo affannano.”
Nota dell’autore
Il barone Gherard Wan Swieten fu effettivamente archiatra e bibliotecario delle cesaree maestà imperiali. Egli redasse il resoconto intitolato Considerazione intorno alla pretesa magia postuma per servire alla storia de Vampiri, tradotto in italiano a Napoli nel 1781 dal libraio Giuseppe Maria Porcelli. Una copia è consultabile presso la biblioteca Casanatense di Roma, VOLMISC.468.7, pp.38. Anche tutti gli altri testi citati sono autentici, e particolarmente accessibile l’opera dell’abate Calmet, consultabile anche on-line al sito Europeana.