di Sacha Biazzo
[Il 4 maggio scorso un giro di vite repressivo ha colpito alcune realtà fiorentine, perlopiù collettivi studenteschi libertari. Si sono registrati 22 perquisizioni, 17 obblighi di firma, 5 arresti domiciliari e 78 indagati. Il 21 maggio un corteo di mille persone è sceso in strada nel capoluogo toscano per dichiarare piena solidarietà agli arrestati. Il 13 giugno sono state arrestate 7 persone, 6 sono ai domiciliari e una si trova in carcere a San Vittore a Milano, mentre ad altre 9 è stato imposto l’obbligo di firma. Per saperne di più visitate questo blog]
Tic.
Non è il mio orologio, ma la suoneria del cellulare, “c’è la polizia, ha bussato per mezz’ora, dice che non entreranno finché non ci sarai tu, devono perquisire, hanno un mucchio di carte”. È Annamaria. Sono le sei di mattina, sono al parcheggio, sul ponte, vicino al fiume, si fa colazione con le zanzare e poi si parte. Gli altri parlano tra di loro e non ci capisco niente, sento solo le risate, nemmeno i nomi riesco a pronunciare, meglio così, non avrei niente da dirgli, anche se parlassero italiano. Oggi si costruisce nelle periferie, nelle metropoli senza fine nate da altre periferie, nei posti più stronzi, sotto gli aeroporti, sotto le frane, e si parte presto, senza traffico, senza caldo, nel Fiorino, in sei a cascione, ma non posso andare, gli vado a dire, affacciato al finestrino del furgone, devo tornare a casa, gli dico, c’ho la polizia, no, questo non glielo dico.
Ho la voce spaventata di quelli che chiamano l’ambulanza e cercano apposta di trasmettere terrore sperando che i soccorsi arrivino il prima possibile. Quello che guida cerca il mio nome nella lista e ci passa una linea sopra, a penna, con la calma di quelli che rispondono al 118, la disgrazia è il loro pane, sai che gliene fotte, mi rimpiazzano facile, è una busta in meno a fine giornata. “Devi tornare subito casa”. Mi ha detto Annamaria e ha riattaccato che non ha neanche i soldi. Sono le sei di mattina, no, adesso non sono le sei di mattina, ma mi hanno detto di usare il presente così vi sembra che stia succedendo adesso, e che stia succedendo a voi, ma in realtà è successo un po’ di tempo fa e non è successo a voi.
Tic
tac.
Quest’estate sarei andato a Berlino con Annamaria negli squat dove c’è un amico che l’ultima volta ci dette un materassino e dormimmo in due sotto un termosifone e infatti il secondo giorno il materassino esplose, saltammo tutti in piedi e scoppiammo a ridere, è un bell’ambiente, nessuno ti chiede niente, infatti gliel’ho detto ad Annamaria “vacci lo stesso a Berlino”, ma lei ha detto che mi sarebbe stata vicino finché questa stronzata non fosse finita, che ogni settimana mi avrebbe accompagnato in questura a mettere la firma e che con lei sarebbero venuti pure gli altri, tutti i compagni, “se non la puoi lasciare tu la città, non la lascerà nessuno, vedrai, il processo è solo una bolla di sapone, è nato per creare stupore e finire dopo un po’ a scoppiare nel vuoto”, però si vedeva che era preoccupata, era anche più preoccupata di me, “se ti dovessero arrestare”, mi disse una notte mentre tratteneva il pianto, “io minaccio la strage, io ti vengo a liberare, io ti faccio evadere come Mara Cagol con Renato Curcio”, e io pensai che Mara Cagol dopo poco la giustiziarono a freddo, ma questo non glielo dissi, mi tappai il naso e nascosi gli occhi sotto il suo mento.
Tic
tac.
Quando arrivo al portone di casa gli sbirri sono davanti la porta, stanno aspettando me, non inizieranno la perquisizione se non in mia presenza, c’è una legge su queste cose, c’è una legge anche per quelle cose per cui ora mi fanno la perquisizione e lo scoprirò presto. Faccio come nei film. Mi faccia vedere il mandato, dico al più grosso, che è grosso e calabrese, svogliato e buonista, lo fa per lavoro, potrebbe fare il commesso alla Coop, passare le patatine e i surgelati alla cassa, e invece entra in camera mia, apre i cassetti e tira via le robe, pure i calzini sporchi si va a spiluccare, lento, svogliato e buonista. Non cercano niente e non trovano niente, qualche libro sul sabotaggio, uno su Marx che non ho mai letto, e un coltello, lo prendono con i guanti di lattice come nei film, era di mio padre, non l’ho mai levato dal cassetto, mi ricorda lui, mio padre, e mia madre che metteva a tutti due posate tranne a lui, al suo posto solo la forchetta, quando c’era da tagliare qualcosa lui usava quel coltello, lo puliva prima di sedersi a tavola, ci sbucciava pure la frutta, ma per loro adesso quella è l’arma del delitto, prova indiziaria, “quale delitto” gli chiedo, gli chiedo “quale reato”, ma questo gliel’ho chiesto prima, sulla porta, “associazione a delinquere per scopi eversivi, danneggiamento aggravato, oltraggio a pubblico ufficiale”, c’è scritto sulle carte, “se ti va bene sono sei anni, deve seguirci in questura, giovane”, mi dicono, giovane? Mantengo la calma, non è successo niente, ma Annamaria non mi guarda, fissa gli sbirri negli occhi, sono loro gli intrusi, glielo fa capire, solo quando sono girato riesco a sentire i suoi occhi, appiccicati alla mia nuca, preoccupati, cercano delle risposte che non saprei dare e allora li cerco di nuovo ma loro sfuggono, dico che torno dopo, mi risponde un pollice alzato, muto, significa OK, Annamaria lo fa sempre, tutti i suoi amici dell’università fanno quel gesto.
Tac.
I milanesi hanno il volto coperto con i passamontagna, come a Genova solo che qui non ci sono gli stradoni, siamo in Via Nazionale a Firenze e le banche se le fanno tutte, una ad una, due si mettono ai lati con i fumogeni rosa, poi un colpo secco, un bastone con il piede a cuneo in acciaio da sperone, e il vetro del bancomat va giù, poi si mischiano nella folla, tra gli zaini eastpak delle ragazzine, quegli altri alzano i fumogeni in alto e iniziano a cantare, è un coro contro Pisapia, mi chiedo cosa cazzo c’entri. La polizia guarda, sa, non muove un dito, quella sta lì a fare la passeggiata, è guerriglia con la scorta, quelli che lavorano veramente stanno ancora a casa, iniziano il turno dopo, arrivano in questura, prendono i filmati e salvano i fotogrammi, li stampano, ci mettono un nome a penna dietro e li passano ai colleghi della digos per i riscontri, poi partono altre intercettazioni, e nuovi arresti. Così poi si fanno altre manifestazioni a difesa dei compagni, arrivano quelli di Milano e sfasciano tutto, e la polizia guarda, guarda i filmati e partono altri arresti e allora si fa… “Repressione è prevenzione”, lo diceva qualcuno, ma mi viene in mente solo quel Volontè che ora sta nell’UDC, con Buttiglione.
Tic
tac.
Così hanno fatto a me, un fotogramma, e le ambientali all’assemblee del collettivo alla facoltà di Annamaria, ho detto cose incriminabili, la speranza è in ogni caso criminale. Se ci ripenso, adesso, operai e studenti uniti, io, che un bancomat non l’ho mai visto neanche per prelevare, accusato di danneggiamento aggravato durante una manifestazione non autorizzata. In questura lo sanno chi è stato, è stato un ragazzino di 15 anni delle superiori, e a chi diamo la colpa a un ragazzino? E tu che ci facevi lì? Sei innocente tu? Operai e studenti uniti, siamo tutti criminali, sto cazzo. Siete tutti al mare, ora. E poi quel libro su Marx che non ho mai letto, che di sicuro quelli della digos c’hanno tutti la laurea in economia politica, che io non sono mai riuscito a prendermi, ne capiscono molto più di tutti noi, forse sono gli unici che ne capiscono qualcosa.
Tic.
Non è il suono di un orologio ma di una manetta che si chiude, la parabola di metallo che va a chiudere il cerchio di questo circolo vizioso. Mi si avvicinano quelli del collettivo dell’università, hanno dieci anni meno di me, ad ogni frase mi dicono: “OK?” E fanno quel gesto con la mano: “OK? Non è finita qua, faremo altre dieci cento manifestazioni, non sei solo, vedi, sono venuti anche i compagni da Milano”. Mi volto, sono quelli incappucciati, stanno raccogliendo sanpietrini dalla strada, non sembrano studenti, non sembrano neanche ragazzi. “Ma voi li conoscete questi compagni di Milano?” Gli chiede Annamaria. “Certo, figurati, sono tutti OK. OK?”.
Tac.
Mi si avvicina una signorona alta con due spalle da rugby, pure fica, è di Repubblica, vuole sapere cosa è successo. Racconta tutto, dillo al presente, ti verrà più facile, dici tutto quello che ti passa per la testa. Ecco che mi passa: tic tac, tic tac. Il tempo che passa e le storie che nessuno ricorda, come fanno ad avere un senso? Non significano proprio un bel niente.
Tic
tac.
Come quella canzone in cui lui era in bottega che lavorava e non pensava alla prigione. Ma un brutto giorno, la polizia lo portò via da casa sua. Ma lui furbone prese un bastone e glielo diede sul quel testone. Ma quel testone era un melone e lo mangiò per colazione. La colazione era squisita. E la storiella è già finita.
Tic
tac.