di Valerio Evangelisti
Riproporre la lettura di un testo intitolato La rivoluzione sessuale potrebbe sembrare superfluo. Molti credono infatti che la rivoluzione sessuale sia già avvenuta, e che dunque la tematica sia oggi trascurabile. Purtroppo non è così, e mi sforzerò di dimostrarlo.
Dal 1992 disponiamo, finalmente, di un’edizione del lavoro di Reich davvero integrale (W. Reich, La rivoluzione sessuale, ed. Erre Emme, oggi rintracciabile nei remainders) . Non lo erano quelle proposte a suo tempo da Feltrinelli: incompleta la prima, del 1963; fuorviante, a causa dei rimaneggiamenti operati dallo stesso Reich durante l’esilio americano, la seconda, del 1974 (ambedue più volte ristampate, da ultimo nel 1987). Invece la ripubblicazione curata dalle edizioni Erre Emme si propone come una ricostruzione filologica molto accurata, in cui il testo originale, del 1930, viene restituito nella sua integrità, mentre tagli e interpolazioni successive sono evidenziati ricorrendo a parentesi e a differenti caratteri tipografici.
E’ bene infatti ricordare – rimandando per i dettagli alle biografie esistenti, non sempre pregevoli – che Wilhelm Reich, capofila e unico esponente davvero coerente della “sinistra freudiana” negli anni ’20 e ’30, fiancheggiatore del partito comunista austriaco e militante delle formazioni armate antifasciste, a partire dagli anni ’40 si spostò su posizioni sempre più distanti dal marxismo, anche se costantemente ispirate a una visione libertaria. Ciò soprattutto per l’incomprensione con cui le sue tesi erano state accolte dalla sinistra austriaca e tedesca, e per la loro evidente incompatibilità con lo stalinismo. Parallelamente, la sua ricerca di una base biologica della “libido”, ipotizzata e poi abbandonata da Freud, lo indusse a studiare una forma di energia diversa da tutte le altre esistenti – da lui chiamata “energia orgonica” – e sostanzialmente a smarrirsi su quel sentiero, anche a causa delle attrezzature imperfette di cui disponeva. A partire dagli anni ’50 fu dunque lo stesso Reich a rimettere mano ai suoi lavori di gioventù, cancellandone i riferimenti marxisti (“democrazia del lavoro” invece di “socialismo”, tanto per fare un esempio) e riempiendoli di riferimenti alla neonata “teoria dell’orgone”. Lo stesso fecero, ancor più pesantemente, i suoi poco brillanti successori.
Comunque, riletta nella versione originaria, La rivoluzione sessuale rivela la grandezza del suo autore e la limpida carica sovversiva delle sue idee. La prima è oggi fuori discussione. Spetta a Reich il merito indiscusso di avere introdotto nella psicologia le tecniche di analisi del carattere, di essere di fatto (molto più di Groddek) l’ideatore della psicosomatica, di avere connesso per primo condizioni sociali e patologie psichiche – in pratica, di avere tatto fare agli studi psicologici un salto di almeno un decennio, con conseguenze che si riverberano ancora oggi su correnti anche molto lontane dalla sua. Ma il Reich innovatore non sarebbe esistito senza il Reich sovversivo, continuatore non solo di Freud, ma anche di Engels nella sua polemica contro l’istituto familiare borghese.
E qui torniamo a La rivoluzione sessuale. Che prende le mosse dall’esperienza clinica di Reich, gestore negli anni ’30, a Vienna, di un “Consultorio di igiene sessuale” gratuito a favore delle classi meno abbienti (mentre Freud, ricordiamo, era stato il teorico della regola degli alti onorar!, tuttora vigente). Nella propria esperienza diretta, Reich si accorge che tutte le patologie psichiche, senza distinzione, derivano da repressione sessuale; e che la maggior parte della popolazione soffre di una patologia o dell’altra.
Anche Freud era partito da posizioni analoghe, ma poi – secondo Reich spaventato dalle implicazioni del proprio discorso – aveva introdotto motivazioni di ordine culturale, culminate nell’infelice concetto di “pulsione di morte” {abbandonato poco dopo la sua formulazione). Altri brillanti psicoanalisti, come Adler e Jung, giungeranno a ridurre enormemente il ruolo della sessualità nella psicopatologia, e comunque a farne una componente tra molte altre. Invece In Reich la sessualità – e meglio ancora la genitalità– resta centrale, e se la contestualizza non è per annacquarne l’impatto, ma per studiarla alla luce della dinamica delle classi in conflitto. Egli nota, infatti, che la gioventù operaia soffre, di regola, di minori inibizioni sessuali di quella borghese, e dunque di patologie meno evidenti. Si tratta dunque, nella sua visione, di allargare questa sfera di libertà, coniugandola con l’emancipazione economica per disegnare un percorso di liberazione che sia davvero globale – individuale e collettivo a un tempo.
L’ostacolo che sì pone su questo cammino è l’istituto familiare. Contro di esso la polemica di Releh è durissima:
“La famiglia costituisce l’apparato educativo per il quale deve passare, quasi senza eccezione, ogni membro della società borghese (quindi anche la classe operaia, n.d.r.), fin dal suo primo respiro. Influenza il bambino in direzione di una mentalità borghese, non solo come istituzione di tipo borghese, ma anche – e io vedremo tra breve – in forza della sua stessa struttura; fa da intermediario tra la struttura economica della società borghese e la sua sovrastruttura ideologica; è pregna di atmosfera borghese che, per forza di cose, si imprime indelebilmente in ciascuno dei suoi membri.”
Il ripetuto impiego dell’aggettivo “borghese” non ha in Reich un significato solo politico, ma anche e soprattutto storico. In una delle sue opere più brillanti (L’irruzione della morale sessuale coercitiva) egli si era sforzato, sulla scorta di Malinowski, di individuare antropologicamente il momento in cui il modello familiare repressivo si era imposto, e di studiare modelli di famiglia privi di quel connotato, e dunque non ostili alla felicità sessuale dei suoi componenti.. La polemica non è quindi rivolta contro il concetto generale di “famiglia”, ma contro la sua espressione storica in epoca capitalistica, allorché si assiste alla distruzione della piccola economia familiare di matrice contadina.
Ciò che deriva da questa distruzione è un modello di famiglia “triangolare”, in cui il bambino è sottoposto alla tirannia – indiscutibile e sacralizzata – dei genitori, che da lui pretendono amore assoluto e devozione assoluta. In sostanza, ciò che i genitori reclamano è non solo l’obbedienza, ma il monopolio delle pulsioni sessuali del bambino, che sono legittime solo se sono rivolte – in forma di affetto smisurato – a essi stessi.
“Il bambino è dunque stretto nella morsa familiare, e quindi produce una fissazione ai genitori in senso sessuale e autoritario. Già per il fatto d’esser piccolo fisicamente viene soffocato dall’autorità dei genitori, sia essa rigida o no. L’attaccamento di tipo autoritario sommerge ben presto quello sessuale, lo sospinge in uno stato di esistenza inconscia; e più tardi, quando è tempo che gli interessi sessuali si rivolgano alla vita extrafamiliare, esso si colloca nuovamente tra l’interesse sessuale e la realtà, come un potente macigno inibitore. (…) Ha poca importanza che l’attaccamento inconscio all’autorità dei genitori trovi spesso espressione nel suo opposto, la ribellione nevrotica; anche così non riesce a permettere che gli interessi sessuali si sviluppino, se non sotto forma di azioni sessuali puìsionali e non controllate, patologici compromessi tra la sessualità e il senso di colpa. Il futuro distacco da tale attaccamento ai genitori è il presupposto per una sana vita sessuale.
Secondo Reich i bambini hanno diritto a stare tra loro, e tra loro sviluppare liberamente la propria sessualità – ciò che lo porterà a stilare, negli anni della maturità, un vero e proprio progetto educativo per l’infanzia (I bambini del futuro). Invece, non solo la famiglia borghese nega una vita sessuale nei bambini (in realtà per farla propria e assorbirla), ma limita la sessualità dei propri stessi componenti adulti, per i quali l’affetto del bambino diviene un surrogato, e talora l’unico cemento del matrimonio. L’istituzione familiare quale sì configura nel capitalismo è dunque in sé patogena, e solo il suo dissolvimento (quale parzialmente attuato in Russia nei primi anni dopo la rivoluzione d’ottobre, con l’adozione di una serie di misure accuratamente descritte nella seconda parte del volume), di concerto col dissolvimento del sistema, può prevenire il diffondersi delle nevrosi a livello di massa. Così come previene la riproposizione di un modello autoritario collettivamente introiettato, analogo a quello che, nel sistema capitalistico, trova nella posizione subordinata del bambino all’interno della “famiglia triangolare” la propria matrice.
Già questo schematico riassunto di alcune tesi centrali de La rivoluzione sessuale, che non può dare che una pallida idea dell’estrema ricchezza dell’opera, dovrebbe far comprendere come il sovvertimento preconizzato da Reich sia lungi dall’essere attuato. Lasciamo stare i residui paesi a “socialismo reale”: dopo i coraggiosi esperimenti tentati da Lenin e da Aleksandra Kollontaj, nell’Unione Sovietica tornò in breve tempo a essere imposta una concezione sacrale e conservatrice della famiglia (indispensabile all’edificazione di una società, dopo Lenin, sempre più autocratica). Concezione poi fatta propria dall’intero movimento operalo internazionale. Quanto a una personalità sessuale dei bambini essa non fu mai accettata, in nome del timore di una “contaminazione” dell’Infanzia che negava la radice naturale della sessualità, e ne relegava l’affermazione alle “degenerazioni borghesi” (del resto, la psicoanalisi è tuttora al bando in quello che rimane dell’area “socialista”).
Restiamo ai paesi occidentali, in cui, come dicevo all’inizio, secondo molti la rivoluzione sessuale sarebbe già avvenuta. In realtà, l’istituzione familiare è rimasta quella che Reich descriveva. Intorno, certo, il contesto è cambiato: gli adolescenti accedono al sesso più facilmente, le problematiche relative non sono più taciute, la “genitalità” è proposta non come matrice di peccato, ma come fonte più o meno lecita di felicità, la masturbazione è ammessa, l’omosessualità parzialmente tollerata. Ma il fatto che l’architrave del sistema sia rimasto intatto ha impedito la prevenzione su scala di massa delle nevrosi; anzi, ne ha create di nuove.
Certe aberrazioni della pornografia (quelle che vedono uno dei partners umiliato), la violenza carnale, le varie forme di deviazione che oggi vengono proposte al consumo privato – purché, nelle loro forme più malate, lontane dagli sguardi – non sono altro che il sintomo di una repressione sessuale che continua a operare. Repressione che, inibendo al bambini (ma anche agli adulti) la fruizione di una genitalità spontanea e priva di complessi di colpa, continua ad ammantare il sesso di un senso di trasgressione che, se praticato davvero in piena libertà, non dovrebbe possedere. La “libertà sessuale” corrente non è altro che quel “patologico compromesso tra sessualità e senso di colpa” di cui parlava Reich quale frutto perverso di un’emancipazione imperfetta e di una “ribellione nevrotica” alla morale corrente. Morale che non è affatto mutata, ma che mantiene nella “sacralità” della famiglia e nella subordinazione all’autorità – in primo luogo paterna – i propri cardini indiscutibili.
Altro che rivoluzione sessuale! Il sesso è ancora oggetto di risatine o, in falsa alternativa, di supersiti rossori. Ciò che è cambiato rispetto al passato è semmai la sostituzione della risatina con la risata sguaiata, e l’adozione collettiva di comportamenti e di modi di pensare da caserma (espressione linguistica legata non a caso alla più repressiva e autoritaria delle istituzioni totali) quale surrogato alla manifestazione di una genitalità finalmente libera dal marchio del peccato. Ma quel marchio resterà indelebile finché gli adulti deterranno il monopolio della sessualità infantile, dosandola (spesso a seconda del sesso del figlio), accaparrandola inconsciamente quale succedaneo alle proprie frustrazioni o, nei casi più patologici, usandola apertamente e sordidamente quale valvola di sfogo pulsionale.
Reich è stato il preconizzatore di una rivoluzione ancora tutta da costruire. Senza l’apporto del suo pensiero, una sinistra autenticamente libertaria non potrà mai rinascere. Quante volte la scelta “comunista” ha nascosto (e nasconde ancora oggi) una vocazione all’ordine, alla gerarchia, alla repressione – agli altri pseudovalori che hanno nell’istituto familiare la loro prima concretizzazione? Da impostazioni simili non possono nascere che società autoritarie e repressive, impregnate della cultura borghese che avrebbero dovuto eliminare. La dissoluzione della famiglia è invece consustanziale a un percorso di liberazione almeno quanto l’estinzione dello Stato. Lo aveva detto Engels, Lenin si è per un poco sforzato di attuarlo, Reich ha dato al discorso la necessaria veste scientifica.
Tratto da Progetto Memoria A. IX n. 17, 1996