Sul Manifesto del 22.9.1999, il grande autore noir Massimo Carlotto impartì una memorabile lezione a proposito di cosa sia il rapporto tra vita e letteratura, e anche su cosa significhi davvero scrivere di libri. Riproduciamo l’articolo di Carlotto, pubblicato sul suo sito ufficiale.
Memorie di un rivoluzionario di Victor Serge mi capitò per caso tra le mani una ventina di anni fa. Mi trovavo a Parigi nascosto e protetto da altri fuggiaschi, sopravvissuti di rivoluzioni fallite e di dittature riuscite. Un ambiente solidale ma allo stesso tempo profondamente diviso dalle certezze rivoluzionarie di gruppi e partitini. Allora anch’io ero un professionista della certezza. Avevo militato molto giovane nella gioventù del PCD’I linea rossa, poi ero rinsavito per un certo periodo aderendo a Lotta Continua ma in carcere avevo riscoperto il gusto dell’infallibilità del partito e delle masse dibattendo, pur non condividendone la strategia, con i numerosi militanti della lotta armata con i quali dividevo la cella nelle strutture di massima sicurezza.
L’incontro con Victor Serge e questo libro mutò profondamente la mia vita e ne determinò il percorso futuro. Crollarono le certezze e al loro posto subentrò la consapevolezza della necessità del pensiero critico e di una tolleranza che non avevo mai conosciuto. Senza dubbio tutto ciò fu dovuto alla scoperta di una storia che nessuno mi aveva mai raccontato. “L’altra storia”, quella che un certo tipo di cultura comunista aveva sempre occultato sotto una montagna di accuse mostruose quanto false. E’ incredibile come un libro possa cambiare il corso un’esistenza ma forse è proprio questa la forza della letteratura. Un’improvvisa lucidità mi fece comprendere l’ineluttabilità della sconfitta, generazionale, personale e politica. Nonostante questo decisi di partire per il Messico, dove l’autore aveva trovato rifugio agli inizi della seconda guerra mondiale e dove era morto nel ’47, spinto dal bisogno di partecipare alla sorte comune, condividendo con Serge l’idea che questa partecipazione debba essere uno dei moventi profondi dell’esistenza.
Il risultato fu disastroso ma ancora oggi sono convinto della giustezza di quella scelta. Come Serge spiega già dalle prime righe delle sue memorie, la mia non era altro che una doverosa battaglia “per un’evasione impossibile in un mondo senza evasione possibile”. Rileggendo oggi il testo per scrivere queste note mi sono reso conto che, al di là del valore politico e di documentazione storica, è una grande opera letteraria. Serge decise di diventare scrittore alla fine del 1928 dopo essere stato liberato da una prigione sovietica; sulla linea degli scrittori russi concepiva la letteratura “come un mezzo di esprimere per gli uomini ciò che i più vivono senza sapere esprimere, come un mezzo di comunione, come una testimonianza sulla vasta vita che fugge attraverso di noi e di cui dobbiamo tentare di fissare gli aspetti essenziali per coloro che verranno dopo di noi”.
Scrisse una ventina di libri di successo dei quali amo ricordare E’ mezzanotte nel secolo sulla spiritualità del confino (Edizioni e/o, pp.160, £.12.000) e La città conquistata sull’assedio di Pietroburgo del 1919 (Manifesto libri 1994, pp.174).
Memorie di un rivoluzionario che oggi le Edizioni e/o ristampano, restituendolo finalmente al pubblico dopo anni di assenza davvero ingiustificata (l’ultima edizione de La Nuova Italia risale al ’68!), è senza dubbio la sua opera letterariamente più valida.
Narra la vita straordinaria di un uomo che attraversò la storia della prima metà del secolo incontrando donne e uomini e luoghi altrettanto straordinari.
Victor Serge era la firma letteraria, in realtà si chiamava Kibalcic. Nacque “per caso” a Bruxelles nel 1890, figlio di esuli russi militanti del partito clandestino della Volontà del popolo. Trascorse l’infanzia girovagando per l’Europa, vivendo in case modeste dova, alle pareti, erano appesi ritratti di impiccati e i discorsi degli adulti si riferivano sempre a processi, deportazioni in Siberia e a grandi idee rimesse sempre in discussione. A causa dell’attività e delle discordie dei genitori conobbe la solitudine dall’età di tredici anni, condizione che contraddistinse la sua esistenza fino alla morte e raccontata nel libro con discrezione e pudore. A sedici anni aderì alle Giovani guardie socialiste ma ben presto entrò in conflitto con la burocrazia maneggiona del partito e si avvicinò al movimento libertario erede della sconfitta di Ravachol, Vaillant e Caserio.
“L’anarchismo ci prendeva per intero perché ci chiedeva tutto, ci offriva tutto: non c’era un solo angolo della vita che non rischiarasse, almeno così ci sembrava”.
La prima parte del libro racconta un mondo sconosciuto e generoso fino all’estremo di anarchici vegetariani e pacifisti e di anarchici fuorilegge, rapinatori di banche. Coinvolto nel processo contro la banda Bonnot che sancì la seconda pesante sconfitta dell’anarchismo, Serge fu incarcerato alla vigilia della prima guerra mondiale.
Nel ’17 si recò a Barcellona per partecipare all’insurrezione catalana. Altra sconfitta. Serge tornò a Parigi. Qualche tempo dopo entrò in Russia attraversando di notte il confine finlandese. Vi rimase diciassette anni. Non rinunciò mai al senso critico, rifiutò facili carriere e non si iscrisse mai al partito bolscevico. Ma era tale il suo valore che difese Pietroburgo con alte responsabilità nello stato maggiore e Zinov’ev gli affidò l’esecutivo della terza internazionale. Correva ovunque ci fosse bisogno di difendere la rivoluzione, armato del suo rigore e vestito con un cappotto liso da disoccupato occidentale e calcato in testa un grosso berretto di montone. Serge correva sempre e correva anche la storia. Arrivò ben presto l’epoca del comunismo di guerra e della carestia. Arrivò anche la Ceka, rafforzata e con poteri illimitati. Fu l’ora dei complotti, degli abusi, dei delitti e della grande menzogna di Kronstadt. Serge si indignò e fece sentire la sua voce. Si schierò fin dal principio con l’opposizione di sinistra e ne pagò le conseguenze. Non venne fucilato solo per la notorietà di suoi libri in Francia. Dopo il carcere e la Siberia ritornò a Parigi dove continuò a denunciare i crimini della Ghepeù che continuò a perseguitarlo attraverso i propri agenti e la complicità dei comunisti europei fedeli a Mosca. Nel frattempo litigò con Trockji e rimase ancora più isolato. Inascoltato, predisse il bagno di sangue del POUM e degli anarchici in Spagna.
La seconda guerra mondiale lo sorprese in Francia e riuscì a fuggire con il figlio in Messico grazie all’intercessione del presidente Lazaro Cardenas. Questa la storia ma la straordinaria bellezza di questo libro sono le descrizioni dei personaggi. Sono centinaia, descritti con pochi cenni di grande effetto. Si incontrano nomi famosi, da Lenin a Stalin “inquietante e banale come un pugnale del Caucaso”, da Gorcki a Esenin, Da Andrés Nin a Gramsci. E poi c’è una schiera di donne e uomini sconosciuti ma altrettanto importanti. E poi i luoghi. Le descrizioni di Pietroburgo assediata o la fuga da Parigi verso Haiti, Cuba e il Messico sono di rara intensità.
Victor Serge – Memorie di un rivoluzionario – edizioni e/o – postfazione di Goffredo Fofi – 8.26 euro