di Gioacchino Toni
Boris Battaglia, Corto. Sulle rotte del disincanto prattiano, Armillaria edizioni, 2017, pp. 200, € 12,00
“Adesso”, “disincanto” e “ambiguità” sono le tre parole chiave con cui Boris Battaglia ci trascina in un affascinante viaggio critico attorno/insieme al personaggio di Corto Maltese creato da Hugo Pratt.
Il saggio parte, apparentemente, da lontano, tanto che si apre con alcune riflessioni sulla geometria euclidea utili allo studioso per sottolineare come i «personaggi dei fumetti non sono che figure geometriche le cui ‘relazioni spaziali’ con altre figure geometriche sono rappresentate nel sistema di riferimento cartesiano costituito dalla tavola» (p. 8). Visto che un sistema cartesiano è composto da un certo numero di rette ortogonali capaci di rappresentare il modello di realtà preso a riferimento e che al fumetto è concesso di rifarsi anche a realtà inesistenti, quando lo leggiamo «facciamo un esercizio di interpretazione di tutte queste n misure impossibili. In una storia a fumetti non ha particolare rilevanza chi fa cosa e dove la fa, ma quando la fa» (p. 9). Il fumetto, allora, sottolinea Battaglia, non è arte sequenziale ma potenzialità isometrica.
Riprendendo Umberto Eco (I limiti dell’interpretazione, 1990) che distingue tra mondi possibili, impossibili, concepibili ed inconcepibili, Battaglia trattiene per il suo studio la categoria dei mondi inconcepibili mirabilmente concretizzati a livello visivo dalle opere dell’olandese Maurits Cornelis Escher. Ebbene, nel fumetto «l’inconcepibile costruisce continuamente le coordinate della propria possibilità» (p. 10).
A differenza dei linguaggi verbali che non prescindono dalla linearità temporale, nel fumetto una vignetta si offre allo sguardo mostrando i segni tanto a livello spaziale che temporale nello stesso momento; nel fumetto «la mappa è il territorio» (p. 10). Nel fumetto, caratterizzato com’è dal “disordine probabilistico”, dalla mancanza di rigore sequenziale, non è per forza di cose il passato a determinare il futuro. A tal proposito Battaglia riprende le riflessioni di Ludwig Boltzmann (Fisica e probabilità) che vedono nel tempo una linea priva di direzione. «La direzione del tempo è dettata dal racconto che ne facciamo. Il fumetto potrebbe quindi essere un complesso sistema cartesiano di n ‘adesso’ organizzati arbitrariamente dall’autore/lettore» (p. 10).
Dunque, «anche quando una storia a fumetti è raccontata concatenando i suoi eventi in progressione lineare, non c’è nessun vincolo ineluttabile tra quegli eventi […] i segni e i fatti che la raccontano sono irreversibili, ma non c’è nulla di inevitabile nelle storie, né di temporalmente determinato» (pp. 14-15). E in Pratt, come mostra lo studioso, a volte, è il futuro a determinare il passato. «Parafrasando Godard: ogni storia a fumetti non ha un inizio, non ha un centro e non ha una fine, non necessariamente in quest’ordine. Ogni fumetto è un periplo» (p. 15).
Un periplo, dunque una circumnavigazione, ma anche una modalità scientifica di descrizione nautica e geografica che nulla ha a che vedere con la magia, il misticismo ed il romanticismo. È per questo motivo che Battaglia rifiuta l’idea di collocare Corto all’interno di categorie che hanno a che fare con il fantastico ed il romantico. «C’è tanto di immaginario, di ideale e di irrazionale, nell’opera di Pratt, ma non c’è nulla di romantico. Basterebbe leggerli, per rendersi conto che non è l’incantamento la ragione d’essere dei suoi fumetti» (p. 16). I fumetti di Pratt hanno a che fare, piuttosto, sottolinea Battaglia, con l’azione.
A questo punto lo studioso riprende le riflessioni del biologo libertario Henri Laborit in L’elogio della fuga (1976), ove si sostiene che l’unica ragion d’essere di una struttura vivente è essere, vivere. L’essere umano, a differenza di altri esseri viventi, quando si trova impedito all’azione, può rifugiarsi nell’immaginazione e ciò gli «permette, attraverso il moto di deriva della narrazione, di giungere ai limiti estremi di rottura della realtà senza muoversi dal proprio divano» (p. 17). Ed è questo che traspare, secondo Battaglia, dai fumetti di Pratt «persino quando i suoi protagonisti […] sembrano sospesi nei tempi morti delle attese e delle convalescenze, la retorica narrativa prattiana non ci permette mai di dimenticare che quel momento di pausa è possibile solo grazie alla sua causa prima: l’avventura. Accanto al pensiero c’è sempre l’azione» (p. 17).
Anche Corto, come Odisseo, fugge da una Calipso, così come ha la sua Penelope ma non vi è alcuna nostalgia che lo guida nelle diverse avventure; secondo Battaglia è lo stesso sistema narrativo del fumetto ad impedire cedimenti nostalgici. «La nostalgia è legata al senso di mancanza per qualcosa che se n’è andato o da cui si è andati via, collocato in un tempo precedente in cui si desidera tornare. Nel fumetto non esiste un tempo precedente e uno futuro, ma solo una più o meno lunga catena di adesso. Una storia è in continua evoluzione a seconda di come lo sguardo interpreta l’asse temporale» (pp. 115-116).
Viaggiatore, dunque straniero, estraneo, migrante, nemico, diverso, Corto non appartiene, per scelta, a nessuna comunità ed anche quando prova nostalgia non desidera alcun ritorno. «Fin dal suo primo apparire Corto Maltese si colloca in questa linea di ambiguità nomadica, caricata però di un’eccezionalità prometeica a sua volta così assolutamente ambigua da sconfinare in una normalità epimeteica. E sul mito di Prometeo e di Epimeteo ci torniamo per forza, appena cominciamo a parlare della Ballata del mare salato. La messa in crisi del discorso mitologico in Pratt è fondativa di tutta la sua opera» (pp. 21-22).
È da tali riflessioni che Battaglia giunge alle tre parole chiave indicate in apertura: “Adesso”, “disincanto” e “ambiguità”, ed è da queste che inizia il suo viaggio critico all’interno del mondo prattiano.
Il 1967 segna l’uscita di Una ballata del mare salato, si tratta di un momento importante per la storia del fumetto. Nata inizialmente come storia a sé, senza aver previsto una serie, il personaggio di Corto Maltese appare soltanto alla sesta tavola, quando sono già comparsi tutti gli altri personaggi principali, senza che il lettore conosca granché di lui, così come, a dire il vero, degli altri personaggi. Al momento in cui compare Corto questo ha la medesima rilevanza degli altri personaggi ma, sottolinea Battaglia, nelle cinque tavole precedenti si sono poste le basi per gli accadimenti futuri. «La storia si apre con una tavola intera in cui è riportata la lettera di un certo Raul Obregon Carrenza […], sedicente nipote di Cain Groovesnore, che sostiene di avere affidato all’autore i diari di suo zio affinché Pratt ne raccontasse la storia. Un espediente narrativo abusato, da Cervantes passando per Scott fino a Manzoni; solo che Pratt lo usa in modo assolutamente originale rispetto ai suoi modelli» (p. 52).
Qua il manoscritto serve all’autore per neutralizzarsi, per impedirsi commenti di carattere morale. Ciò che c’è da sapere è scritto in quella lettera; non vi sarà una voce narrante giudicante nelle tavole successive. Nel momento in cui la storia prende il via la voce narrante è quella dell’oceano, una voce indifferente.
La prima vignetta, quella in cui l’Oceano Pacifico comincia il suo racconto in prima persona, è costruita in modo da far coincidere il nostro sguardo con quello della voce narrante: guardiamo da lontano con la stessa indifferenza con cui il mare, prima in tempesta, ha spazzato isole e navi, e con cui ora accarezza in tranquillità la carena del catamarano che a quella tempesta è scampato. Guardiamo da lontano e ci sentiamo al sicuro, sia dalla tempesta, sia da qualsiasi responsabilità per ciò che accadrà. E ciò che accade è già nella seconda vignetta. Lo sguardo del mare, sulla cui direttrice ancora ci appoggiamo, ci mostra i marinai del catamarano che avvistano e recuperano un relitto con due naufraghi. Due giovani, maschio e femmina. Ancora vivi.
A questo punto scatta la trappola.
Neanche ce ne accorgiamo, quasi, ma nel giro delle ultime due vignette il nostro sguardo viene ribaltato nella semi-soggettiva del capitano Rasputin. Accompagnati dal movimento dei flutti ci ritroviamo alle sue spalle a guardare ciò che vede lui.
Quando, girata la pagina (nel fumetto è importantissimo il ritmo del girare le pagine), guardiamo la tavola successiva, è come se anche noi ci fossimo girati. Adesso siamo di fronte al capitano Rasputin. Diventiamo oggetto del suo sguardo, e della sua rabbia. La nave si è fermata per raccogliere i naufraghi senza un suo ordine, e questo lo ha fatto infuriare: per lui è una perdita di tempo. Invece, per noi lettori è l’inizio della storia, il motivo per cui non smetteremo di leggere (pp. 54-55).
Così, in poche tavole, lo sguardo del lettore da indifferente diviene implicato. «L’incontro tra il catamarano di Rasputin e la scialuppa dei naufraghi è necessario alla storia che l’Oceano ci sta raccontando. È il nostro sguardo, quindi, in buona sostanza, la causa di quanto accade» (p. 55).
Dunque, sottolinea lo studioso, Pratt in primo luogo ci presenta Rasputin definendo il suo carattere, la sua visione amorale in cui non vi è nulla di giusto ed ingiusto, è l’istinto a suggerire come agire in base all’utilità immediata. In secondo luogo Pratt conduce lo sguardo del lettore in una direzione desiderante; scopriamo ciò che lo sguardo di Rasputin desidera: Pandora Groovesnore.
Circa i riferimenti al mito di cui è costellata la narrazione prattiana, sostiene lo studioso, occorre dire che esso «non interessa a Pratt in quanto forma definita e particolare di pensiero […] quanto piuttosto quale struttura articolata di organizzazione della casualità. In altre parole, quello che interessa a Pratt dei miti è la loro necessità narrativa, che si manifesta nel continuo tentativo di sottomettere l’hybris all’ethos al fine di dare ordine alla casualità delle vicende umane. Tutta la Ballata non è che la cronaca di questo tentativo reiterato» (p. 59).
Corto compare sulle tavole legato ad una struttura ad X, i rimandi al Cristo in croce ed al Prometo incatenato risultano palesi. «Cristologica vittima sacrificale, salva Pandora e viene salvato da Rasputin. L’eroe non salva la fanciulla in pericolo con un’azione mirabolante ma facendo mostra della propria impotenza» (p. 61). Se il fumetto d’avventura fino a questo momento ci presenta eroi che salvano il mondo, Corto non solo non salva il mondo ma non è nemmeno in grado di salvare se stesso, tanto che, nelle diverse storie, verrà salvato da altri in varie circostanze.
Interessante anche la scelta del nome che Pratt assegna al personaggio. Il nome Corto, secondo Battaglia, ha la medesima ambiguità del Nessuno omerico.
Corto è nessuno, quindi è tutti […] è contemporaneamente Abele, Prometeo e Cristo. Eppure, e qui sta l’ambiguità del personaggio, nonostante la costruzione iconica e l’uso di nomi pronti a farcelo pensare, Corto non è nessuno dei tre. Non può deciderlo. Pratt non glielo concede. Corto è continuamente in balia della narrazione, non la controlla mai; al limite può cercare di mettersi in disparte, ma spesso neppure questo gli è concesso. Non fa ma simboleggia delle possibilità, e in quanto vittima sacrificale e innocente – per quattro volte in qualche modo muore e risorge – non le esercita, le subisce.
Chi invece esercita continuamente opzioni sulla simmetria della narrazione (come causa scatenante, come tentatrice, come assassina, poi come innamorata e alla fine con la rinuncia) è Pandora. Potremmo dire che Pandora viene prometeizzata.
Il suo personaggio è il perno su cui Pratt fa ruotare il più radicale ribaltamento ideologico che mai sia stato realizzato nell’ordinata struttura del fumetto e della narrativa d’avventura (p. 62).
Dunque, secondo lo studioso, è attraverso Pandora che Pratt esplicita la volontà di sottrarre la narrazione alla funzione eroico-simbolica, tipica invece del fumetto italiano.
Pandora è il vettore di senso che permette l’articolazione del testo della Ballata. È attorno al suo corpo, e in particolare attorno al suo volto, che Pratt costruisce il campo figurativo che determina il racconto e l’esistenza degli altri personaggi. Il racconto è la trasformazione di Pandora, il suo personaggio è il luogo della coerenza logica della narrazione. La sua trasformazione grafica è continua, è il personaggio più instabile da questo punto di vista, perché questa instabilità […] è dosata da Pratt per mantenere l’analogia tra la rappresentazione grafica di Pandora e il suo carattere morale. La novità non sta nella trasformazione etica del personaggio, da rampolla viziata di una ricca famiglia a personaggio consapevole del proprio statuto narrativo, ma nel fatto che Pratt di questa consapevolezza ce ne dia certezza grafica usando proprio quella trasformazione grafica come motore delle trasformazioni narrative (p. 66).
In Una ballata del mare salato a compiere realmente il “viaggio dell’eroe” è lo sguardo del lettore.
Se nell’inverno del 1969 la rivista “Sgt. Kirk” pubblica l’ultima puntata della Ballata, storia nata non per aprire una serie, la svolta si ha nella primavera del 1970, quando sulla rivista francese “Pif Gadget” appare Il segreto di Tristan Bantam: con questo racconto Corto Maltese diviene un personaggio seriale. Secondo Battaglia se nella Ballata, la hybris di Corto riprende quella di Prometeo e Odisseo, in questo nuovo racconto viene fatto riferimento ad un personaggio storico. Mentre la Ballata si sviluppa in un tempo sospeso, mitico, ora le vicende vengono inserite all’interno di un tempo storico, che però Corto ha la facoltà di sospendere.
Con le storie brevi di Corto Maltese realizzate tra il 1970 e il 1973, Pratt esegue un’operazione sulla narrazione a fumetti che rivoluziona l’idea di avventura per come la si intendeva prima (e in Italia ancora oggi, purtroppo) nell’editoria a fumetti seriale, e – fatto molto più importante – quasi risolve il problema che toglieva il sonno a Sant’Agostino: la differenza fra il testo visto nella mente e il testo pronunciato dalla voce. In …E riparleremo dei gentiluomini di fortuna, dove la storia viene scandita dalle frasi scritte sulle carte dei quattro assi, Pratt dice una cosa che, come tutte le cose evidenti, è rivoluzionaria: il fumetto è guardare le figure e le parole (pp. 79-80).
È certamente l’ambiguità a farla da padrona in …E riparleremo dei gentiluomini di fortuna, visto che, evidenzia lo studioso, Pratt, oltre a giocare con l’ambiguità tra testo e parole, mantiene l’avventura in bilico tra storia e mito. Non a caso uno dei personaggi del racconto si chiama proprio Ambiguità. Nell’opera successiva, Per colpa di un gabbiano, nonostante il tempo mitico prenda decisamente il sopravvento sul tempo storico, l’ambiguità non accenna ad affievolirsi: la perdita di memoria di Corto lo rende «al contempo il personaggio Corto, per noi che leggiamo […] storicamente collocato, sia il prigioniero di Soledad Lokaarth […], novello Odisseo prigioniero di Calipso» (pp. 81-82).
[Ne La laguna dei bei sogni] il paradosso del ricordo giunge a compiutezza: ricordare qui significa morire. Però, non potendo far morire Corto Maltese, Pratt lo relega a meno che spettatore. Non è nemmeno presente mentre si svolgono i fatti. Toccherà al tenente Stuart affrontare la pazzia per recuperare il proprio passato e cambiare le conseguenze degli errori commessi, della propria vigliaccheria e della propria delusione d’amore. Se Corto aveva usato i funghi allucinogeni per ritrovare la memoria, patendo poi la delusione d’amore causata dalla fuga di Soledad, come nella Ballata l’addio di Pandora, il tenente Stuart entra nel delirio della febbre malarica per recuperare l’amore di Evelyn. Riuscendoci, perderà la memoria del presente e troverà conseguentemente la morte; perché, come afferma l’indio che l’ha assistito per tutto il tempo, “noi non abbiamo il diritto di cambiare l’ordine delle cose” (pp. 84-85).
Il tempo lineare ed irreversibile degli avvenimenti è fatto saltare e Pratt, grazie al fumetto, si permette di ripercorrere la linea temporale nella direzione che preferisce a piacimento.
Conquistato il successo in terra francese grazie alla pubblicazione di storie brevi, Pratt viene “arruolato” nel 1972 da “Linus” che inizialmente replica le storie pubblicate da “Pif”. Terminato il sodalizio con la rivista francese, Pratt accetta di realizzare per “Linus”, a partire dal 1974, il racconto Corte Sconta detta Arcana che si protrae, a cadenza variabile, addirittura fino all’estate del 1977.
Battaglia, nel soffermarsi sulla rivoluzione espressiva degli anni Settanta, si focalizza sull’uscita, nel 1975, della rivista francese “Metal Hurlant”, pubblicazione che, sovvertendo il fumetto classico, finisce con l’influenzare la generazione di giovani artisti italiani protagonisti della rivista “Cannibale” pubblicata a partire dall’estate del 1977. «Anche il fumetto popolare non sfugge a questa sovversione. La rivoluzione linguistica del decennio, unita alla rivoluzione tematica (e ideologica) di Pratt, che ha messo la disillusione al centro della sua poetica, reagiscono creando il terreno fertile per la nascita di due personaggi che non possiamo assolutamente trascurare per capire lo sviluppo stesso di Corto Maltese nel decennio successivo: Mister No e Lo Sconosciuto» (p. 121).
Mister No arriva in edicola nel 1975 ed il suo successo è dovuto al fatto che è il fumetto adatto all’epoca; il personaggio «coglie una richiesta del pubblico, soprattutto giovane, ancora inespressa ma che già era nell’aria. La necessità di uno spiraglio narrativo nella compressione ideologica e culturale di quegli anni. Prova ne sia che proprio l’anno dopo uno dei più grandi successi editoriali sarà Porci con le ali, in cui Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera mettevano in forma narrativa le istanze più diffuse della vita reale dei giovani del decennio. Invece, il maggior successo del 1979 sarà Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, in cui la formula narrativa prende addirittura il sopravvento sulla realtà» (p. 126).
Secondo Battaglia Mister No riesce ad inserire tematiche libertarie degli anni Settanta, liberate da un certo conformismo ideologico, innestandole su modalità narrative più classiche.
Dal 1975 al 1982 la narrazione di Mister No […] costruisce – incastrando in storie avventurosissime con una struttura tradizionale temi contestatari come l’antimilitarismo, l’antiautoritarismo, l’egualitarismo – una visione del mondo disincantata come quella prattiana, è vero, ma a differenza di questa molto più consolatoria […]
La grande riuscita poetica, e politica, del Mister No di quegli anni è questa precisa commistione tra piacere e dovere, mentre Corto il dovere lo rifugge. Nella lotta per l’utopia, godersela non è un peccato. E nonostante fosse solo un fumetto a raccontarci questa cosa, lo compravamo e lo leggevamo avidamente proprio per questo (p. 127).
Gli anni Ottanta si aprono con Altri libertini (1980) di Pier Vittorio Tondelli, un esempio di ricerca di una via alternativa ad una stagione, quella degli anni Settanta, ormai esaurita ma, sottolinea lo studioso, senza alcuna pretesa di tracciare una mappa. Se il libro di Tondelli testimonia la fine dello scontro frontale con cui prende il via il nuovo decennio, Mister No è ancora profondamente immerso nella realtà sociale del suo mondo; gli Altri libertini, invece, fuggono da quella realtà.
Sono arrivati gli anni Ottanta e con essi, inevitabilmente, anche Mister No inizia ad essere inattuale. Con il nuovo decennio il linguaggio inizia a ripiegare su se stesso tanto da giungere presto a diventare il luogo totalizzante dell’esperienza della verità ed è così che si arriva, nel 1986, a Dylan Dog «in cui è solo il linguaggio a raccontare sé. Nei fumetti di Sclavi il mondo diventa logos. Esclusivamente linguaggio. Ogni possibilità di verifica razionale della realtà come qualcosa che esiste al di là del linguaggio è abolita. L’unica esperienza possibile della verità per Sclavi è quella dell’appartenenza a un linguaggio, ma non del linguaggio che parliamo, bensì di quello che ci parla» (p. 131).
Con l’uscita nel 1982 della rivista “Orient Express” si giunge, secondo Battaglia, ad un punto nodale per comprendere quanto Pratt abbia influenzato il fumetto italiano. È sulle pagine di questa pubblicazione che compare Lo Sconosciuto: L’uomo che uccise Ernesto Che Guevara di Magnus.
In questo fumetto Magnus tende a concedere molto spazio al testo rispetto alle immagini;
Il primo passo verso l’abbandono del classico modo di realizzare fumetti è segnalato da Magnus mettendo da parte Lo Sconosciuto. Egli, pur con tutta la sua peculiarità, può ben simboleggiare l’eroe tipico del fumetto seriale e in questa avventura la sua presenza è poco più che marginale. Però, pur comunicandoci la sua intenzione di cambiare registro, Magnus non vuole rinnegare niente del proprio passato di fumettaro ed è la partecipazione alla storia – in un ruolo non principale, ma comunque chiave – di quella ragazza che Lo Sconosciuto aveva conosciuto a Marrakech, a testimoniarlo. L’esperienza precedente è servita a Magnus per arrivare a questo punto, che è solo la base per costruire una nuova opera (pp. 134-135).
Lo studioso si sofferma sul personaggio detto El Lugubre evidenziando come questo sia un uomo che vive di ricordi ed illusioni artificiali, ossia fuggendo nelle immagini ed il suo riscatto lo si ha nel momento in cui diviene consapevole della vacuità di queste. «Esse cominciano a vacillargli davanti agli occhi, a sfocarsi, finché El Lugubre le rifiuta completamente attraverso un gesto simbolico e liberatorio: strappa il manifestino (Bolivia no serà otra Cuba) dal muro. Da questo momento diviene un altro personaggio, non è più El Lugubre ma diventa il comandante Inti. Rifiutando le immagini comincia ad agire» (p. 135).
Se Mister No e Lo Sconosciuto riportano «l’ambigua forza dell’immagine, e dell’immaginazione, dalla confusione libertaria delle ‘storie a forma di farfalla’ nel canone della narrazione a fumetti classica. In questo canone ciò che ha la supremazia è la parola» (p.136), Pratt prende invece la strada opposta, quella che concede tutto lo spazio del senso alle immagini.
Nel 1980 Pratt pubblica la seconda parte di Fort Wheeling su “Metal Hurlant” e l’anno successivo prende il via la pubblicazione sul quotidiano francese “Le Matin” di La Giovinezza, storia incentrata sulla fuga. «Corto, Rasputin, Jack London sono personaggi liberati dalla necessità, propria di quasi tutti gli altri personaggi seriali, di avere illusioni. Per questo fuggono, ognuno a suo modo. Rasputin cambiando continuamente divisa; Corto lasciando continuamente Venezia, la sua Itaca; Jack London navigando sullo Snark e raggiungendo, in altri fumetti realizzati da altri, luoghi in cui in realtà non è mai stato. Cosa che nel fumetto si può» (p. 163).
Ne Le Elvetiche, avventura pubblicata nel 1987 sulla rivista “Corto Maltese”, secondo Battaglia non si tratta di «un’esoterica affermazione dell’immortalità del personaggio Corto, quanto una divertita […] demistificazione del concetto di ‘letteratura disegnata’. In fondo, quando esce questa storia, sono esattamente vent’anni che Pratt non fa altro che affermare, attraverso Corto, la superiorità narrativa dell’immagine rispetto alla parola» (pp. 173-174).
Siamo così giunti, con qualche inevitabile salto rispetto alla puntuale analisi proposta dal libro di Battaglia, a Mu la città perduta, ultima avventura di Corto realizzata tra il 1988 ed il 1991 e pubblicata a puntate sempre su “Corto Maltese”. «Mu è un esperimento complesso in cui Pratt tenta, riprendendo il discorso cominciato con Le Elvetiche, di realizzare con i suoi fumetti un testo filosofico e teorico in cui rimettere in discussione, attraverso la storia del proprio personaggio (col serrato sovrapporsi di tanti personaggi passati e di situazioni topiche dell’intera saga di Corto Maltese), quella di tutta l’ermeneutica occidentale a partire dalle idee di Platone. Ma come lo farebbe ogni rispettabile flâneur, divagando» (p. 180).
Concludendo il volume lo studioso auspica di essere riuscito nell’intento di dimostrare come in Corto non vi siano né desideri di ritorno, né nostalgie per luoghi o tempi perduti. «Corto non è un eroe romantico, non è una rilettura prometeica, perché l’eroe rifiuta di rassegnarsi a circostanze a cui è impossibile rimediare nonostante il coraggio e l’intelligenza; Corto è piuttosto un eroe rassegnato, il cui continuo desiderio di andare è frustrato dal fatto che, nel fumetto, non c’è alcun luogo dove andare perché il fumetto è una struttura fatta di attimi continuamente presenti» (p. 184).