“In Messico non basta essere innocenti per essere liberi”. Accusato d’omicidio senza alcuna prova, Antonio (Toño) è stato condannato a vent’anni di prigione che comincia a scontare nel reclusorio oriente di Città del Messico. Due giovani avvocati, dottorandi in legge negli Usa, decidono di riaprire il caso ed è così che comincia una lotta eroica per la libertà che non ha precedenti in Messico. In un paese dove il sistema giudiziario fa acqua da tutte le parti, la corruzione è endemica nei vari livelli dell’amministrazione della giustizia e il 41% dei 232mila detenuti resta in attesa di giudizio per mesi e mesi, un documentario reality che, con la camera a mano, mostra alla gente cosa succede veramente nei tribunali e nelle prigioni non poteva non suscitare un immenso scalpore e un sano e diffuso sentimento d’indignazione popolare. Presunto Culpable (Presunto Colpevole), diretto da Roberto Hernàndez e Layda Negrete, viene a confermare la percezione e la realtà di un sistema che premia la menzogna e la mazzetta sulla verità e la giustizia e in cui il principio della presunzione d’innocenza, sebbene ribadito da una recente riforma costituzionale, è sempre stato disatteso, se non del tutto ignorato, dalla giurisprudenza e dalla prassi delle autorità competenti a tutti i livelli.
Per questo si parla spesso in Messico di una “presunzione di colpevolezza” che implica l’esistenza di un onere della prova d’innocenza dell’imputato a carico dei suoi difensori. Insomma l’accusa vince e dimostra la colpevolezza del cittadino di default, a priori, e intanto gli anni in prigione passano tra stenti e soprusi dato che quasi tutti i detenuti devono ricorrere a risorse e aiuti esterni per sopravvivere con tutte le irregolarità e disparità che così si producono. I poliziotti sono premiati in base al numero di arresti e accuse portati a termine. Inoltre l’eccesso di popolazione carceraria è stimato in oltre 60mila unità, quasi il 40% del totale dei detenuti.
Oltre il 90% degli indagati e processati non vedrà mai il proprio giudice e sarà incarcerato solo in base a testimonianze di terzi, spesso raccolte in condizioni inaccettabili, cioè con pressioni fisiche e psicologiche, uso della tortura, fabbricazione di prove e cooptazione di testimoni. Il 95% delle sentenze in Messico è di condanna. Ciononostante l’impunità dei delitti arriva al 96% a livello nazionale, il che significa che quei pochi che vengono presi sono condannati con estrema facilità anche perché, nel contesto della cosiddetta “guerra al narcotraffico” che ha fatto 34mila morti in 4 anni e 3 mesi, le autorità hanno bisogno di cifre positive su arresti e condanne per recuperare una minima credibilità agli occhi dell’opinione pubblica. Alla Facoltà di Giurisprudenza della Unam (Universidad Nacional Autonoma de Mexico), l’ateneo più grande del mondo, tutti conoscono la freddura che ribadisce che in Messico “un bicchier d’acqua e un ordine d’incarcerazione non si negano mai a nessuno”, alludendo alla celebre ospitalità del popolo messicano ma anche alla facilità con cui si può finire in galera a tempo indeterminato. Una volta dentro, se non hai un bel po’ di quattrini o amici influenti, ci resti. Anzi ci restano soprattutto i più poveri, le persone più “sospette” e frequentemente gli appartenenti alle etnie indigene che magari non parlano lo spagnolo e non possono difendersi adeguatamente.
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La pellicola dimostra addirittura la presenza di avvocati con tesserini falsi per l’esercizio della professione e lo scandalo di un giudizio completamente viziato all’origine che viene rifatto e riassegnato allo stesso giudice che l’aveva iniziato. Il film è molto attento a riprendere le scene dei processi lasciando che lo spettatore si faccia un’opinione basata su fatti rilevanti e comunque dimostrabili con la relativa documentazione. Nulla viene lasciato alla speculazione o all’immaginazione, tutto è registrato con una videocamera mentre succede. Non si possono quindi mostrare al pubblico i numerosissimi abusi che normalmente vengono commessi durante la cattura e l’interrogatorio dei sospettati e dei testimoni e nemmeno gli atti di corruzione che quotidianamente vengono commessi per cui in carcere finiscono quasi sempre solo i più poveri.
Ciononostante l’impatto nella società messicana è stato dirompente con 500mila biglietti venduti dal 18 febbraio, data d’uscita del documentario, che è stato lanciato e promosso nelle sale dal gigante della distribuzione cinematografica Cinepolis. Puro interesse commerciale o vera responsabilità sociale? Su richiesta della famiglia dell’ucciso, cugino dell’unico testimone, Blanca Lobo, una giudice di Città del Messico, ha emanato un’ordinanza di sospensione della proiezione del film che è stata applicata quelche giorno fa. Vi si sono opposti sia il direttore della catena Cinepolis, che ha fatto ricorso per vedere tutelati i suoi diritti di distribuzione, sia il Ministero degli Interni, che ha giudicato l’ordinanza “confusa”, sia molti giornalisti e una parte della società civile. I ricorsi interposti mirano a impugnare la decisione del magistrato e a bloccare questa “grave forma di censura”, come l’hanno descritta i media messicani e il presidente della Commissione Nazionale per i Diritti Umani. Intanto Presunto Colpevole potrebbe tornare presto nelle sale e beneficiare di una settimana di pubblicità gratuita.
Ci sono versioni contrastanti su come viene gestita la questione: il film è una spada di Damocle per il sistema giudiziario ma anche per le famiglie della vittima e del testimone che vogliono veder tutelata la loro privacy e dignità e che già dall’inizio di febbraio avevano chiesto di non apparire in video. Insomma la decisione del giudice pare legittima ma si dovrà decidere quale interesse prevarrà, probabilmente il diritto dell’intera società a conoscere la situazione e a vedere il film così com’è. Altre pressioni forti e meno “nobili” arrivano sicuramente dagli enormi interessi economici della multinazionale Cinepolis e, inoltre, alcuni giornalisti molto noti stanno usando il caso come cavallo di troia per proporre false panacee: per esempio l’introduzione a livello nazionale del cosiddetto “giudizio orale”, già in vigore nello stato di Chihuahua e foriero di distorsioni e problemi ancor più gravi se non si modifica tutto il contesto in cui la giustizia opera in Messico. Si tende a spostare quindi il nucleo del dibattito dalla corruzione e inefficienza della magistratura e della polizia verso questioni tecniche e procedurali forse meno utili in questo momento. La critica del documentario è più radicale e le proposte concrete che avanza sono diverse e riguardano l’introduzione di telecamenre e garanzie maggiori per accusati e testimoni, non altri provvedimenti di riforma che avrebbero invece bisogno di lunghe e attente discussioni, non di provvedimenti fast track a furor di popolo.
Comunque ecco il Teaser:
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