di Gioacchino Toni

green_vertigine_coverJulien Green, Vertigine, a cura di Giuseppe Girimonti Greco e Ezio Sinigaglia, Nutrimenti, Roma, 2017, pp. 232, € 17,00

Julien Green (1900-1998), nato a Parigi da famiglia americana, è autore di racconti, drammi, saggi, romanzi. Fra i suoi romanzi più celebri, anche in Italia, ricordiamo Mont-Cinère (1926), Adrienne Mesurat (1927), Leviatan (1929; tradotto nel 1946 da Vittorio Sereni), Il visionario (1934), Varuna, (1940; uscito in Italia nel 1953 nella traduzione di Camillo Sbarbaro), Moira (1950). Di grande interesse la sua opera autobiografica, suddivisa in diversi volets, e la sterminata produzione diaristica, che occupa ben sedici volumi.

Nel 2015 l’editore Andrea Palombi (Nutrimenti) e Filippo Tuena (all’epoca direttore della collana “Tusitala”) hanno affidato a Giuseppe Girimonti Greco la curatela della raccolta Viaggiatore in terra (il cui titolo deriva da quello del primo racconto, già uscito nel 1959 nella “Biblioteca delle Silerchie” del Saggiatore, nella traduzione di Leonardo Sinisgalli e con un’importante nota di Giacomo Debenedetti); per tradurre questi cinque racconti – tutti scritti o concepiti quando Green era poco più che ventenne, ma che presentano una certa varietà di tono e atmosfera: dalla ghost story al bozzetto naturalistico-melodrammatico – si è scelto di far dialogare due traduttori letterari ‘puri’ (il curatore e Francesca Scala) e due scrittori-traduttori (Ezio Sinigaglia e Filippo Tuena). In appendice figurano cinque ampie note ai testi firmate dai singoli traduttori.

Se questa prima esperienza di traduzione a più mani aveva offerto al lettore italiano la possibilità di apprezzare ben tre racconti ancora inediti nel nostro paese – Le chiavi della morte, Maggie Moonshine, Leviatano o L’inutile traversata (da non confondersi con il romanzo) –, interamente inedita in Italia è la raccolta di venti racconti Vertigine (titolo originale: Histoires de vertige), uscita, sempre per Nutrimenti, nel marzo di quest’anno. L’équipe di traduttori si è arricchita per l’occasione di una quinta voce, quella di Lorenza Di Lella, che si è fatta interprete dei testi più apertamente fantastico-meravigliosi della silloge. I testi di Vertigine appartengono a diverse stagioni (si va dagli anni Venti alla metà degli anni Cinquanta), il che spiega, anche qui, la varietà di toni e atmosfere; è tuttavia possibile individuare due filoni principali, all’interno della raccolta, che rimandano a due numerose famiglie di personaggi, peraltro tipicamente greeniani: i bambini tiranneggiati dagli adulti e le donne sole.

[I due curatori – Girimonti Greco e Sinigaglia – firmano una Nota ai testi che dà conto, in una serie di brevi paragrafi, dei temi, dei motivi ricorrenti, degli stilemi e delle personali ossessioni di Green, molte delle quali di matrice autobiografica. Presentiamo qui di seguito il paragrafo relativo alla Bella provinciale, preceduto da un breve estratto del racconto – Ringraziamo l’editore per la gentile concessione – ght]


La bella provinciale [estratto]

[…]

Attraversò il cortile come in sogno e sospinse una porta dai vetri multicolori. Sulle scale l’aspettava l’odore umido e austero che ben conosceva, un odore di convento sotto il quale trapelava il profumo ingenuo del vaso di garofani che stava sul davanzale di una finestra. Stéphanie si chiedeva talvolta se non fosse per via di quelle scale che veniva a trovare Marcelline, o di quel cortile che pure le metteva voglia di morire. Ma oggi veniva a trovare Marcelline per lei stessa, perché aveva qualcosa da dirle e qualcosa da ascoltare da lei. Ma che cosa, dunque? Stéphanie avrebbe preferito non darsi una risposta: si affidava all’ispirazione, avrebbe deciso sul momento… ma salendo i lunghi gradini che si dispiegavano come un ventaglio aperto a metà si figurò la noia delle frasi che sarebbe stato necessario scambiarsi. Rimpianse allora di non potersi attardare per le scale, sedersi su un gradino e andarsene dopo aver continuato a fantasticare ancora un po’; ma Marcelline ormai l’aspettava e non avrebbe capito, e c’era inoltre quella strana angoscia la cui morsa già si allentava un poco a così breve distanza dalla persona irrequieta e positiva che, a dieci metri da lei, dietro un paio di pareti e di porte, stava disponendo in un piatto i biscotti da offrirle, e progettando nel frattempo le sue astute domande.

[…]

Oltrepassarono insieme le tenebre di un ingresso dove si inciampava in pile di scatoloni e si trovarono quindi al centro di una stanza le cui finestre oscurate da tende di tulle giallo lasciavano filtrare una luce incerta. Nell’angolo più oscuro un divano di reps nascondeva come vergognandosene le sue forme di dubbio gusto, affiancato a destra da un tavolo con i piedi a zampa di rospo e a sinistra da una bassa poltrona, che una mente calcolatrice aveva piazzato là come opere di fortificazione. Si disegnava così una specie di rettangolo, in un intento che Marcelline credeva segreto ma la cui evidenza saltava agli occhi anche dei più ingenui.


La bella provinciale [Nota al testo]

Julien_Green_1929_Come di consueto, alla fine di questo racconto rimane al lettore una curiosità insoddisfatta, una domanda formulata fin dalla prima pagina e cui nessuno ha dato risposta: perché è in lutto, in lutto stretto, Stéphanie? Tuttavia si deve riconoscere che non ha nessuna importanza saperlo. Quel che conta è che la narrazione colga “la bella rossa” a una svolta decisiva della sua vita. Che abbia perso prematuramente il marito o che sia in lutto, com’è assai più probabile, per la morte del padre, Stéphanie si trova ad avere più libertà di quanta ne avesse prima. A differenza di quello stuolo di donne abbandonate alla loro solitudine che costituiscono forse la popolazione di personaggi più numerosa di Vertigine, Stéphanie è ancora padrona del proprio destino. La chiave del racconto sembra situarsi in quell’immagine di sofferenza che il finestrino del taxi, come uno specchio di fortuna, le rimanda all’improvviso. È in quel momento che Stéphanie capisce l’importanza della sua scelta di andare a trovare Marcelline, la sola persona con cui possa parlare, la sola a cui possa rivelare il nome dell’uomo che è entrato da poco nella sua vita (e il fatto che si chiami Fabien, come il ragazzo dalla “bellezza pagana” spiato nella sua stanza dal cuginetto innamorato molte pagine prima, può risultare – a seconda delle sensibilità – più spiegabile o più inquietante se si pensa che i due racconti sono stati scritti a una sola settimana di distanza l’uno dall’altro: il 22 settembre 1944 quello, il 29 questo). Così Stéphanie va da Marcelline a chiedere consiglio, e ci va come andrebbe da uno psicanalista: attraversa un cortile gonfio di ricordi, sale rampe di scale dagli odori ben noti, sente placarsi l’angoscia al semplice pensiero delle “astute domande” che le saranno rivolte e, nello stesso tempo, è insofferente dei noiosi preliminari che l’aspettano. Poi, entrata in casa, viene accompagnata al “quadrilatero”, protetto da adeguate “opere di fortificazione”, all’interno del quale Marcelline esercita le sue “doti strategiche” (pp. 190-191). In un curioso ma efficace capovolgimento, se non dei ruoli, delle posizioni relative, la paziente Stéphanie siede in poltrona mentre l’analista Marcelline si allunga “come una nuotatrice nelle profondità del divano”, che ben rappresentano quelle dell’inconscio altrui. I toni insolitamente umoristici della seconda parte del racconto e soprattutto del finale si direbbero di buon auspicio per il futuro della bella provinciale.


Julien Green, Vertigine – Traduzione di Lorenza Di Lella, Giuseppe Girimonti Greco, Francesca Scala, Ezio Sinigaglia, Filippo Tuena