Troppo Pulitzer – Troppo poco Holly-weird
di Alan D. Altieri
Guess what, sucka, life is shit and then you croak. Difatti, quali confortanti compagni di viaggio sono le sempiterne perline di saggezza dello Zio Sam!
O no?
Nella fattispecie: “Indovina un pò, scemo, la vita è una merda, e poi crepi.”
Purtroppo, dalla mega-fame dell’Africa Sub-Sahariana, passando per le fosse comuni del nuovo demoKratiKo IraKKK, vagando per le trincee putride del parimenti nuovo demoKratiKo AfghanistaNNN, transitando per le tintarelle al petrolio del Golfo del Mexico, giù fino alle diskariche in perenne eruzione de noantri, la perlina di cui sopra rimane pur sempre una biblica verità.
Das right, moron, welcome to dying planet earth.
Bene, della medesima biblica verità, nonché di verità peggiori, molto peggiori, gronda The Road (La Strada), il film del 2009 (nulla a che vedere con l’opera di Fellini), da poco arrivato in dvd & blue-ray, basato sul libro del medesimo titolo del cult-Author Cormac McCharty. Prima di arrivare alla strada di celluloide però, è d’obbligo qualche transito sulla strada di carta.
Di Cormac McCarthy, questo maxi-premiato Autore (National Book Award, Pulitzer Prize, etc etc etc), vanno senz’altro rispettati lo zoccolo duro nichilista (letale la sciabolata di Blood Meridian) e lo stile minimalista (al bisturi i dialoghi di No Country for Old Men). A McCarthy interessano molto di più le ombre fuori, ma soprattutto dentro, i personaggi, che non la logica narrativa. Lavora molto di più sull’essenzialità delle parole che non sulle loro implicazioni. È molto più attento alle atmosfere, che non al climax. Non a caso nessuno dei suoi romanzi ha un vero e proprio climax, né un vero e proprio finale. Le sue vicende sostanzialmente si fermano, senza trovare una conclusione narrativa rigorosa. Per contro, è verosimile sia precisamente questa la grandezza intrinseca dell’autore. A quanto sopra non fa eccezione The Road (“La Strada”), romanzo del 2006 che ha portato McCarthy al Pulitzer, pubblicato da Einaudi in una eccellente traduzione di Martina Testa.
Dalla carta, passiamo quindi alla celluloide.
The Road(movie) è quanto di più aderente al materiale originario, The Road(book), che si sia visto sullo schermo da molto tempo. La strada in questione attraversa un mondo ridotto a un unico, immane immondezzaio devastato. Città sventrate, foreste annientate, terre avvelenate. Niente più sole e niente più stelle, solo pioggia fognaria e fumi venefici. Né la pagina né il film sprecano una sola parola/inquadratura per spiegarci COSA abbia scaraventato l’intera baracca all’inferno. La baracca è all’inferno and that’s it.
In questa titanica, cosmica dissoluzione, il Padre (un grandioso Viggo Mortensen), e il Figlio (un delicato Kodi Smith-McPhee) – niente nomi per i personaggi, perduti anche quelli come tutto il resto – sono in disperata marcia verso il mare. Evitano orde di predoni cannibali e dribblano ulteriori disastri ambientali, alla lenta eppure pervicace ricerca di calore e di una improbabile, impossibile(?), salvezza. Raggiunto il mare dopo abbastanza diluvi tossici da liquefare perfino Montecitorio, man, what a loss THAT would be, il padre tira le cuoia sputando sangue e il figlio trova una sorta di second chance incontrando la quintessenziale famigliola affettuosa ma disfunzionale del post-Armageddon. Fine del libro e fine del film.
Folle, gratuita tetraggine? Beh, niente affatto. Girato nell’outback di stati economicamente depressi quali Pennsylvania e Louisiana – So sorry, sucka, we ain’t got no ameriKan dream no more – diretto con impietosa competenza gotica dall’australiano John Hillcoat, annegato in un continuo, strangolante viraggio cromatico al plumbeo, The Road(movie) è uno dei quei tipici film dai quali alcuni di certo vorrebbero uscire dopo dieci minuti ma poi si resta fino all’ultimo fotogramma. Il motivo? Due motivi in realtà, tematico e geofisico:
1) The Road(movie) è una duramente provocatoria, politicamente scorrettissima rivisitazione della Natività. “Cosa ci rende speciali, papà?”, chiede a un certo punto il Figlio. “Quello che portiamo dentro”, risponde il Padre: il fuoco. Esatto, loro portano il fuoco. Della compassione, della pietà, dell’umanità. Non a caso il Padre di The Road(movie) è, nei comportamenti e negli affetti, anche una Madre. Non a caso Figlio è un angelo caduto, in attesa di nuova ascesa verso i cieli;
2) L’orrido mondo che The Road(movie) rappresenta potrebbe non essere poi così lontano dalla realtà. A tutti gli effetti, dovesse esplodere la caldera di Yellowstone – mastodontica area magmatica sub-crostale che copre un terzo dello stato del Wyoming – non solamente tutto il continente Nord-Americano ma anche larga parte del pianeta verrebbero immersi in un apocalittico toxic volcanic winter, inverno vulcanico tossico. By the way, secondo parecchi soloni saremmo già sessantamila anni in ritardo rispetto all’ultima esplosione. In sostanza, facciamo due conti sinistri tenendo bene a mente i paesaggi meta-vangoghiani mostrati in The Road(movie).
D’accordo, The Road(movie) è disarmante, deprimente e disperante. D’accordo, forse ci sarebbero piaciute un po’ più di frescacce botti & spari in piena tradizione Holly-weird. Botti & spari che, ad es., abbondano in The Book of Eli (in itaGLia ridicolmente intitolato “Codice Genesi”), versione western della medesima tematica post-apocalittica. Eppure, per ben due anni The Road(movie) non ha trovato un distributore per le sale, e quand’anche lo ha trovato, è stata una distribuzione limitata sia nel tempo che e nello spazio, what a shock, vuoi mettere con il lodo-belen & pikkolofratelloscemo?
In ogni caso, va decisamente visto questo The Road(movie). È una sirena d’allarme da spaccare i timpani su un’altra di quelle corrosive perline di saggezza dello Zio Sam. La quale azzanna dritta alla carotide della condizione (IN)umana: Beauty is only skin-deep, Ugly goes to the bone.