Foto e testi di Nicola Barraco

NBarraco36.jpg“Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti”.
Così Calvino descriveva gli epifanici varchi delle città invisibili, luoghi rivelatori di passati dimenticati.
Se fosse ancora vivo ci avrebbe parlato anche della Transnistria, uno stato invisibile congelato in un passato aroma “Grande Madre Russia”. Nelle strade di Tiraspol, capitale Invisibile, si vive in un’apnea lunga sessant’anni, che agli occhi occidentali si tramuta in sincope storica. La componente umana è semplicemente un suppellettile della “struttura”, intesa sia marxianamente sia come contenitore materiale. Infatti qui edifici, strade, autovetture e tutto ciò che è inanimato sembra possedere più memoria storica di qualunque essere animato, ridotto ad un asettico personaggio spettatore.


E’ la “struttura” che forma la “sovrastruttura” e non viceversa, e così in Transnistria gli uomini sono degli specchi di ciò che li circonda, le enormi strade vacanti riflettono la desolazione imperante negli sguardi dei transnistri, la fredda quadratura edile plasma d’angoli aguzzi la loro socialità. Gli unici sorrisi si scorgono sulle labbra dei nostalgici russi, che qui hanno finalmente ritrovato “l’estraneità di ciò che non sono più” cristallizzata in una crono-bolla a falce e martello…

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