berluscaspiegel.jpgelpais.jpgUn bel riassunto che vale un noir e invece è politica allo stato puro. Nonostante le lamentazioni del Cavaliere, che accusa la stampa internazionale di avere ordito una campagna denigratoria, le cose non stanno esattamente come dice Berlusconi (è sempre così: le cose non stanno come dice lui): da anni le più prestigiose testate europee denunciano gli aspetti più tragici della presenza di Re Silvio nelle istituzioni. Una materia ricca: talmente ricca da diventare confusa. Conflitto d’interesse, iscrizione alla loggia P2, appartenenza a lobby sospette, un patrimonio accumulato in forza di finanziamenti ambigui di origine non controllata, rapporti con mafiosi, un clan criminogeno – insomma, c’è di che perdere la testa. Per chiarire un panorama tanto affollato di malaffare e labirinti penali, ci soccorre proprio un autorevole quotidiano straniero: lo spagnolo El Pais, che nel maggio 2001 pubblicava un dossier sui legami tra Berlusconi e la mafia – una sintesi perfetta, un magistrale riassunto, che i DS milanesi hanno tradotto. Ecco lo sconcertante rapporto che il giornalista Hermann Tertsch ha pubblicato sul più importante giornale di Madrid.

EL PAÍS, DOMENICA, 20 MAGGIO 2001

LE INDAGINI SUL “CAVALIERE”
Le testimonianze che legano Silvio Berlusconi alla Mafia

I procuratori di Palermo riuniscono le testimonianze sui legami del “Cavaliere” con Cosa Nostra

HERMANN TERTSCH / Madrid

berluscaelpais.jpgLa scelta alla guida del governo di Silvio Berlusconi , nelle scorse elezioni del 13 maggio in Italia, è stata preceduta da grandi polemiche per i contrasti giudiziari a cui da anni ha dovuto far fronte e che ancora lo circondano. Alcuni dei problemi che Berlusconi ha con la giustizia sono connessi alle sue supposte relazioni con la Mafia.. I giudici procuratori di Palermo stanno raccogliendo testimonianze volte a provare questi legami. Alcune di queste appaiono qui, per la prima volta, organicamente compendiate. La stretta giudiziaria intorno a Berlusconi è in grado di compromettere l’alleanza desiderata dal presidente del Consiglio spagnolo, José María Aznar, uno dei primi a congratularsi con lui per la vittoria.

“Incontrai per la seconda volta (Marcello) Dell’Utri a Milano. A metà degli anni settanta, se non ricordo male… Eravamo a cena con Tanino Cinà, Nino Grado, Mimmo Teresi e Stefano Bontade (membro del triumvirato che a quel tempo governava Cosa Nostra)”, racconta Francesco di Carlo, uno dei testimoni finora comparsi alla Procura della Repubblica. “Erano tutti molto eleganti e alle mie domande risposero che dovevano incontrare un grande industriale milanese amico di Tanino Cinà e di Marcello Dell’Utri. Mi invitarono ad andare con loro ed accettai ben volentieri. Salimmo in un ufficio in centro. Dopo un quarto d’ora arrivò Silvio Berlusconi. Bontade prese a invitare Berlusconi a fare investimenti in Sicilia. Ma lui gli rispose che aveva paura dei siciliani, che su al nord non lo lasciavano in pace. Bontade, in macchina, mi aveva già messo sull’avviso che Berlusconi temeva di poter essere sequestrato”. Agli inizi degli anni settanta l’industria dei sequestri era molto fiorente in Italia e chiunque facesse mostra di palesi segnali di ricchezza, come già era il caso di Berlusconi, aveva tutto da temere per la sicurezza sua e della sua famiglia. “Bontade disse a Berlusconi che, vista la sua vicinanza con Marcello Dell’Utri, non doveva aver nulla da temere ma che, a scanso di equivoci, gli avrebbe mandato uno dei suoi perché non si verificasse più alcun problema con i siciliani. Più tardi mi disse che la persona mandata per stare vicino a Berlusconi era Vittorio Mangano, a quel tempo agli ordini di Bontade, e che ogni contatto con Berlusconi doveva essere filtrato da Mangano. Mi ricordo anche che Berlusconi, alla fine dell’incontro, disse testualmente che ‘era a nostra disposizione per qualsiasi cosa’. Stefano Bontade, da parte sua, gli garantì la stessa cosa.

Questo è il felice esordio di un lungo, fecondo, benché ormai giunto al termine, rapporto d’amicizia fra Mangano, noto uomo di Mafia, e l’attuale nuovo e luccicante primo ministro italiano, Berlusconi: sovrano dei mezzi di comunicazione, dell’industria delle costruzioni e – a stare a quanto diversi mafiosi riconosciuti hanno dichiarato davanti a molti tribunali – di altri affari nelle turbolente, tempestose e impetuose acque italiane della finanza, della speculazione e della criminalità. Lo racconta, nelle sue deposizioni alla Procura di Palermo, il mafioso Di Carlo in un procedimento che si istruisce a carico di Dell’Utri. Il Cavaliere ha un problema. Nei procedimenti aperti contro di lui ha sempre avuto ed ha il diritto di non autoaccusarsi. Ma, come testimone nel procedimento contro Dell’Utri, questo diritto non gli spetta. I procuratori vogliono che deponga come testimone sui suoi rapporti con la Mafia.

Tutti i nomi finora citati in questa storia, tranne Berlusconi, certamente, che oggi usufruisce di una comoda immunità e della leadership del governo di un paese membro del G-7, sono di componenti sospetti o rei confessi della Mafia di Palermo e di Corleone. Dell’Utri, europarlamentare per Forza Italia, si trova sotto processo insieme a Berlusconi per i suoi affari al vertice di Canale 5. In altri procedimenti ancora è imputato per frode e riciclaggio di denaro.

Sono molti i mafiosi di quegli anni che si sono prestati a collaborare con la giustizia e che ciònonostante sono fin’ora riusciti a salvare la pelle. Hanno reso le loro testimonianze in luoghi e momenti diversi e senza alcuna possibilità di impegnarsi sulla parola. Tutti quanti finiscono per concordare sui dati che offrono. Ed è difficile, a questo punto, concepire come tutta una messinscèna – così dice Berlusconi – le accuse sui suoi legami con Cosa Nostra. Colui che, entro due semestri, si mostrerà alla presidenza dell’UE compare una volta dopo l’altra nell’istruttoria della Procura antimafia di Palermo: non come esempio di prerogative democratiche ed europeiste, bensì come socio in affari di Stefano Bontate, uno dei membri del triumvirato che stava ai vertici dela Mafia negli anni settanta. E non soltanto in quel periodo. Dopo la guerra tra le famiglie da cui uscirono trionfanti i ‘corleonesi’, Berlusconi continuò a coltivare le sue amicizie, a quel punto, oramai, con il capo assoluto, il sanguinario Totò Riina. Arrestato nel 1993, quest’ultimo è ora condannato a diversi ergastoli. È provata la sua partecipazione nelle uccisioni di diversi mafiosi e dei giudici Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del capo della polizia Boris Giuliano, degli uomini politici Salvo Lima e Pio La Torre e del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella.

Riina, un uomo dalla carriera certamente inusuale e – a stare ai suoi ex collaboratori – il più efferato criminale a loro noto, ebbe per molti anni la certezza di essere in buona società con Berlusconi tramite Dell’Utri. Il nuovo primo ministro italiano garantisce di non averne mai saputo niente, di non averlo mai conosciuto. Ripete di non aver mai avuto niente a che vedere con la Mafia e che tutto ciò che viene detto in proposito sono soltanto calunnie, che da parte dei giudici venne messa in atto una cospirazione per eliminarlo politicamente. E proprio in questo è stato smentito lo scorso giovedì da un tribunale di Brescia che ha archiviato una denuncia che il leader di Forza Italia aveva sporto contro i giudici di ‘Mani Pulite’.

Ma c’è di più. Secondo la documentazione della Procura di Palermo a cui EL PAÍS ha potuto accedere, l’intermediario tra Berlusconi e i suoi sanguinari soci si trova ad essere sempre più compromesso dalle deposizioni dei pentiti di Cosa Nostra. Tale intermediario era il suddetto Dell’Utri, braccio destro del magnate alla Fininvest e nel suo stesso partito, Forza Italia, che ora se l’è portato al potere. Già allora Dell’Utri era un personaggio molto potente e temuto. Ma qualcuno lo era più di lui: senza andar lontano, Berlusconi. Il mafioso Gaspare Mutolo spiega in questo modo il perché, in una prima deposizione, non avesse voluto ammettere i suoi contatti con il fedele scudiero del magnate: “A parlare di Dell’Utri avrei finito col parlare di Berlusconi, che era una persona ancora più potente e potenzialmente pericolosa per me… Per quello che sapevo di lui, ero in condizione di riconoscerne la pericolosità per chi, come me, aveva preso le distanze da Cosa Nostra”. Dell’Utri viene assunto alle proprie dipendenze da Berlusconi negli anni settanta.

In quel periodo era già cominciato l’avvicinamento del Cavaliere alla Loggia massonica P2 di Licio Gelli, a sua volta intimo di Totò Riina. E Cosa Nostra, come lo stesso Berlusconi, cerca di accostarsi ad un uomo politico che avrebbe poi rappresentato la chiave d’espansione del suo raggio d’influenza e del balzo definitivo di Silvio Berlusconi nell’olimpo dei media: il socialista Bettino Craxi.

In quegli anni, dopo l’affollato incontro con Berlusconi a Milano, il mafioso Mangano, uomo d’onore della famiglia di Porta Nuova, si installa ad Arcore, nella lussuosa villa del padrone della Fininvest. Secondo la Procura, Mangano ‘già allora era molto di più di un semplice soldato’ di Cosa Nostra e agiva nel settore delle estorsioni e del racket (tangenti sulla sicurezza) delle corse ippiche. ‘Con interessi nel traffico internazionale degli stupefacenti e nel lavaggio del denaro, Vittorio Mangano era un uomo chiave nella cosiddetta Milano Connection‘, asserisce l’accusa in un’istruttoria aperta a carico di Dell’Utri. Ebbene, Berlusconi afferma che Mangano lavorava in casa sua come stalliere ‘dato che avevo intenzione di aprire un allevamento di cavalli, attività che poi non realizzammo’, secondo quanto ebbe a dichiarare a un giudice a Milano il 26 giugno del 1997.

Ma presto saltò fuori qualcuno a cui la presenza di Mangano intorno a Berlusconi dava fastidio. Così dichiarava il mafioso Salvatore Cangemi alla Procura di Caltanissetta il 18 febbraio del 1994. Cangemi, membro di Cosa Nostra, si era consegnato alla giustizia nel 1993 e aveva confessato di aver partecipato all’assassinio del giudice Falcone. All’inizio di quest’anno ha collaborato nel processo per l’uccisione del magistrato antimafia Paolo Borsellino e ha mantenuto la sua dichiarazione secondo la quale quella morte venne ordinata da Berlusconi e da Dell’Utri.

Risulta poi particolarmente istruttiva la lettura delle testuali parole della deposizione di Cangemi a proposito delle relazioni tra la Fininvest e Riina: ‘Nel 1990 [Totò] Riina mi disse di ordinare a Mangano che doveva smetterla di interferire nelle relazioni che lui stesso aveva stabilito con Dell’Utri, il collaboratore di Berlusconi. Andai a casa di Mangano e gli resi noto l’ordine di Riina. Mangano cercò di giustificarsi dicendo che le relazioni con Dell’Utri le aveva sempre mantenute lui… Io tagliai corto e gli dissi: ‘togliti di mezzo perché adesso le tiene Riina’. (…) Lo feci tacere dicendogli che era inutile che cercasse di convincere me perché doveva limitarsi a rispettare la volontà di Riina, e che diversamente avrebbe pagato con la vita. Ma devo fare un passo indietro per poter spiegare quello che voglio dire. Quando Riina parlò di Dell’Utri e mi disse che era una persona di fiducia di Berlusconi, dando per scontato che Dell’Utri era in contatto con la nostra organizzazione, non rimasi sorpreso perché sapevo fin da prima, attraverso lo stesso Mangano, dell’esistenza di questi rapporti’.

I rapporti tra il braccio destro di Berlusconi e Mangano ‘erano strettissimi’, asserisce Cangemi e aggiunge: ‘Mangano si serviva di Dell’Utri e gli poteva chiedere qualsiasi cosa. Per esempio, Mangano mi raccontò che in una grande e bellissima fattoria nei pressi di Milano – se non ricordo male dalle parti di Monza -, di proprietà o a disposizione di Dell’Utri, erano stati persino nascosti dei latitanti, fra i quali i fratelli Grado. In quell’epoca, all’inizio degli anni settanta, la fattoria era frequentata da gente immischiata nel traffico di droga come i fratelli Grado, appunto’.

Dell’esistenza di quella fattoria hanno parlato anche altri appartenenti alla Mafia. Per esempio Gioacchino Pennino. La sua deposizione fa una certa luce su chi poteva aver messo a disposizione di Dell’Utri questo cascinale per potervi ospitare mafiosi latitanti e grandi trafficanti di droga di passaggio. ‘Mangano era in confidenza con Silvio Berlusconi. Formalmente era alle sue dipendenze come custode di una tenuta appena fuori di Milano o di Monza dove venivano ospitati tutti i latitanti della famiglia mafiosa di Santa Maria del Gesù e forse anche di altre… Il mio interlocutore [l’avvocato Gaetano Zarcone, membro della stessa famiglia] mi spiegò che gli interessi di Berlusconi in Sicilia erano sotto la sorveglianza di Stefano Bontade, capo della famiglia fino a quando non venne assassinato’.

Il denaro proveniente da tanto redditizi traffici di droga doveva essere investito in maniera discreta e poco appariscente, dato l’ingente volume degli affari. Come ricorda nelle sue deposizioni alla Procura di Napoli il pentito Pietro Cozzolino, a volte si creavano dei problemi. ‘Nel 1979 sorse il problema di come investire una settantina di miliardi provenienti dal traffico di morfina dall’Italia verso gli Stati Uniti. Di questi, 25 miliardi rappresentavano la quota che spettava a me e a mio fratello Riccardo. Riccardo giunse ad un accordo… in modo che quei fondi fossero affidati a Vittorio Mangano e a Marcello Dell’Utri, dirigente della Fininvest (…). Riccardo mi disse che valeva la pena di affidare quel denaro ai gruppi mafiosi emergenti a Milano… Fin dal ’79-80 Riccardo mi aveva detto che Dell’Utri gestiva i capitali di Stefano Bontade. Nel 1990, quando ebbi la libertà condizionale, avevo intenzione di risolvere una volta per tutte quel problema. Presi la decisione di ammazzare là a Milano Marcello Dell’Utri perché, visto che tanto non sarei riuscito a riavere quello che mi apparteneva, volevo far capire ai siciliani che non potevano fare quello che volevano e volevo farlo eliminando il loro punto di riferimento nella gestione dei capitali illeciti’.

Erano molti gli uomini di Cosa Nostra che per anni continuarono a ritenere che Mangano – morto lo scorso anno dopo essere stato scarcerato per una malattia terminale – e Marcello Dell’Utri costituissero la connessione di Berlusconi con la Mafia. Il Cavaliere sostiene che si sbagliavano tutti quanti e che lui non ha mai avuto alcun contatto con la Mafia tranne quello che potè immaginare che fosse – essendogli oscuro il passato di Mangano – la ricerca di associarlo in un progetto di allevamento di cavalli che, peralto, non andò mai a termine.

La grande opportunità che servì da trampolino all’imprenditore edile di pochi scrupoli prima verso la categoria di magnate mediatico, poi in quella del politico di successo ed oggi di primo ministro con maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento della Rebubblica Italiana è stata, senza alcun dubbio, la televisione. Filippo Alberto Rapisarda, banchiere legato tanto alle famiglie come a Berlusconi fin dai suoi inizi nel settore edile, in una deposizione del 1 agosto 1996 spiega alcuni particolari dei primi passi dell’ascesa di Berlusconi al trono di “zar” televisivo.

Dichiarava Rapisarda: ‘Un giorno del 1979 mi trovai con Stefano Bontade (capo mafioso poi assassinato) e con Mimmo Teresi (capo mafioso non assassinato) vicino alla sede dell’Edilnord (impresa di Berlusconi) in Piazza Castello. Mi dissero che stavano per incontrarsi con Marcello Dell’Utri, che aveva loro proposto di entrare nella società televisiva che Silvio Berlusconi era prossimo a costituire. (…)Ne fui molto contrariato, anche se cercai di non darlo a vedere, perché in quel periodo Dell’Utri formalmente era soltanto alle mie dipendenze. Ciò mi fornì la prova che Dell’Utri operava da “infiltrato” per conto di Berlusconi. Queste dichiarazioni le ho già rese nel 1987, ma non ho notizia che si sia mai fatta nessuna indagine sulla provenienza dei capitali di Canale 5. Dò per scontato che oggi [nel 1996] una tale indagine è ormai, chiaramente, irrealizzabile. Ricordo che, quando dissi a Dell’Utri che avrei potuto denunciarlo, mi rispose testualmente: è inutile che tu sporga qualsiasi denuncia perché a me non possono fare niente. Se mi denunci ti si ritorcerà contro. E, in effetti, è quello che è successo’.

I profitti provenienti a Berlusconi dai settori edilizio e “varie” vennero indirizzati in modo massiccio nel settore delle televisioni private. Nel 1996 il pentito Gioacchino Pennino riferiva che ‘(Mimmo) Teresi, noto come costruttore edile oltre che uomo d’onore di rilievo della famiglia di Santa Maria del Gesù (quella di Mangano), in tale veste si occupava degli interessi di Bontade e del suo gruppo nel settore delle costruzioni (…) e anche di quelli di Berlusconi e dei fratelli Dell’Utri. Ho saputo che, dopo la morte di Teresi, il suo progetto di acquisizione di alcune catene televisive è stato portato a termine da Berlusconi e da Dell’Utri’.

Il leader di Forza Italia spunta in tutte le dichiarazioni dei mafiosi come il grande giocoliere emergente degli anni sessanta e settanta con cui era opportuno intrattenere buoni rapporti. Nessuno è mai riuscito – nemmeno lui – a dare spiegazioni su come riuscì a finanziare la sua prima grande operazione immobiliare nel 1963, attraverso la quale costruì a Brugherio un complesso residenziale per 4.000 abitanti. Si sa soltanto che il denaro attraverso la Svizzera per mezzo di un oscuro avvocato di Lugano. Quattro decenni dopo Berlusconi è praticamente il proprietario, oltre che il presidente-sovrano, dell’Italia.

Gli italiani lo hanno scelto come capo del Governo con una pesante maggioranza. Oggi non è più soltanto un multimiliardario proprietario di un emporio mediatico onnipresente. Oggi controlla la televisione pubblica e quella privata, gran parte della stampa, il Consiglio dei Ministri e i due rami del Parlamento. Dice che i suoi interessi sono quelli degli italiani. Si immagina che pensi anche il contrario. Lo hanno scelto non soltanto come capo del Governo, ma come loro proprietario.
La maggioranza degli italiani lo ha votato per un “cambiamento”. Ma è possibile che il cambiamento finisca col non piacere a molti come sono oggi i suoi sostenitori. Nessuno, da Mussolini in poi, ha disposto in Italia di un tale potere come Il Cavaliere. Nessuno dubita che ne farà uso con decisione.
Ma è difficile riuscire a credere che uno con le compagnie che ha frequentato Berlusconi possa essere la guida di una rivoluzione morale o di un’offensiva a favore della rettitudine e dell’onestà che liberi l’Italia dai suoi decenni di pastette politiche e di corruzione endemica.
Quando sono molti i mafiosi autoaccusatisi che sostengono cose come quelle dette da Cangemi: ‘Riina era in contatto con Dell’Utri e, pertanto, con Berlusconi’. O da Gaspare Mutolo: ‘Quand’era necessario venire a parlare con gli uomini d’onore di Cosa Nostra non veniva, naturalmente, Berlusconi, ma Dell’Utri. Il sospettabile predetto Berlusconi ha senza dubbio diritto alla presunzione d’innocenza, ma risulta più che bizzarro che arrivi ad assumere il massimo del potere in una democrazia sviluppata nel cuore dell’Europa. So che ci furono investimenti di denaro proveniente dai sequestri di persona, dal traffico di droga e dall’usura (…) che doveva essere riciclato in attività edilizie in Sardegna e in Sicilia. In particolare, sono a conoscenza di investimenti compiuti per mezzo di Flavio Carboni (implicato nella morte del presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi, e nel lavaggio di denaro del narcotraffico)’. ‘(…) Negli investimenti erano interessati anche altri gruppi, tra i quali ricordo quello guidato da Silvio Berlusconi’, diceva nel 1993 il mafioso pentito Antonio Manzini. Secondo lui Carboni e Berlusconi si conoscevano più che bene. E, secondo un altro mafioso, Abruzatti, ‘l’unica differenza tra Carboni e Berlusconi è che il primo portava la parrucca e l’altro no’.

‘La Procura di Palermo è in possesso di decine di testimonianze che provano la collaborazione tra Fininvest e Cosa Nostra nella televisione e nella ricostruzione del centro di Palermo. E non soltanto lì. Berlusconi non avrebbe mai potuto intraprendere nessuna speculazione nel settore edile (a Palermo) senza il permesso e il lasciapassare di Riina’, dice Cangemi. E aggiunge: ‘So anche che le consegne di 200 milioni per volta che arrivavano a Riina erano in relazione alle emittenti private di Palermo di proprietà di Berlusconi’.

La mafia di Riina dava il suo placet e incassava; il socialista Craxi riceveva, in controfavore, l’ordine tassativo di Cosa Nostra di votare in massa per il suo partito in Sicilia. E Il Cavaliere si arricchiva e accresceva il suo potere giorno dopo giorno. Adesso è lo zar dell’Italia. Sul cammino, un po’ di morti. Molti dubbi. Grandi incognite.