Intervista di Tito Pulsinelli ad Attilio Folliero
[Attilio Folliero è un politologo, scrittore, poeta italiano residente a Caracas, Venezuela. Maggiori notizie biografiche sul suo sito. Tito Pulsinelli è già noto ai nostri lettori per le sue corrispondenze dal territorio venezuelano. Giornalista, ha un suo blog molto noto, Selvas.]
Ieri, i governi — sull’ esempio luminoso degli Stati Uniti – destinarono i fondi pubblici e i beni dell’erario per finanziare la grande banca privata, e fecero la respirazione bocca a bocca alle élites finanziarie. Premiate per le predazioni contro le nazioni e le genti del mondo. Ai più voraci più finanziamenti, più grande era la bancarotta maggiore il sussidio statale elargito. Accantonarono così il loro dogma preferito: divieto di intromissione degli Stati nell’economia.
Oggi, la dirigenza politica si autoriduce del 5% le obese prebende che si autossegnarono per l’incapacità e impotenza di fronte alla bancarrota, cioè legittimazione del salasso dei salari e delle pensioni.
Sempre meschini, credono di cavarsela a buon mercato. In Romania hanno tagliato del 15% i salari, aumentato l’IVA e minimizzato la spesa sociale governativa.
Nel resto d’Europa, mettono il pugnale alla gola dei pensionati e vogliono imporre condizioni draconiane ai salariati attivi: più lavoro, meno reddito. Dalle isole britanniche, dove “salvarono” quasi tutta la banca e la Borsa, annunciano le misure più severe (per il Terzo Stato) degli ultimi due secoli.
I nodi arrivano al pettine: quel che ieri distribuirono a fondo perduto agli speculatori finanziari, oggi devono toglierlo alle maggioranze sociali: raschiare la pentola. Si rispolvera il discorso dell’ineluttabilità dei provvedimenti, del “male necessario” in nome dell’oggettività dell’economia e del buonsenso democratico.
In Germania, addirittura si propone di inserire il tetto massimo dell’indebitamento pubblico come dogma della fantomatica Costituzione europea (sic). E i finanziamenti statali ai Borsaioli della Banca? Potere illimitato alla Banca Centrale Europea, che maschera il suo vassallaggio al FMI, con l’imposizione aperta dei fallimentari dikat neoliberisti.
E’ l’ultimo gioco d’azzardo di una élite miope, che dopo l’edificazione del gigante d’argilla dell’Europa ridotta a “mercato&moneta”, ora china la testa al FMI e abdica a favore degli Stati Uniti, nell’epoca del suo declino. Dall’utopia liberista mercantil-monetarista al vassallaggio simbiotico alla finanza d’oltreoceano.
Domani oscuro, i cui contorni sono rintracciabili laddove negli ultimi due decenni imposero la medesima terapia made in FMI. Il futuro cucinato dagli chef di Bruxelles, Strasburgo, BCE e FMI avrà i tratti somatici sovrapposti dell’effetto tequila, effetto tango ecc. Le classi subalterne non più rappresentate — neppure nell’infimo livello della politica – devono volgere lo sguardo alle reazioni e contromisure adottate in Brasile, all’esperienza degli argentini cui venne negato il diritto di ritirare i risparmi depositati nelle banche. All’insurrezione e ai saccheggi dei venezuelani del 1989 contro il “pacchetto di aggiustamento strutturale”. Stessa sostanza di quel che stanno imponendo oggi agli europei.
E’ da qui che ha origine la svolta dei governi sudamericani invisi alle élites transatlantiche: delimitazione delle predazioni transnazionali, più Stato, briglia corta al capitale finanziario. Controllo stretto della cosiddetta “autonomia” castale delle banche centrali, recupero della sovranità (dapprima politica), frammentare i monopoli, stimolo alla domanda e al consumo. Ritorno nel dizionario politico dell’equità, politica sociale, fine dell’anatema contro la parola “popolo”.
E’ davvero illuminante che da nessuna parte si accenni alla riduzione delle spese militari (http://it.peacereporter.net/articolo/21981/Crisi,+i+militari+non+stringono+la+cinghia), nemmeno un taglio simbolico: la NATO ordina di aumentarle! Men che mai c’è chi osa dire a voce alta che è il momento di sospendere le “iniziative di pacificazione” in Afganistan o Iraq. Guerre che vanno combattute a ogni costo, non importa che si vincano o si perdano: l’importante è che l’industria armamentista continui a prosperare con i massicci trasferimenti di soldi pubblici a privatissime industrie. Gli Stati Uniti rimpolpano parossisticamente questi bilanci, e spingono EuroNATO a imitarli: tanto sono loro a trarne vantaggi di export e di comando sul non-esercito europeo.
Abbiamo approfondito questi temi nel corso di tre conversazioni avvenute a Caracas con Attilio Folliero, iniziate venti giorni fa, quando il latifondo mediatico raccontava la crisi come conseguenza della “dolce vita” dei greci. Favoleggiavano sui “pensionati-champagne” e sui conti truccati di quel Paese che — successivamente – si è visto che sono simili allo “sforamento” dell’Inghilterra, Italia, Spagna e della stessa Germania. Oggi si può dire “C’era una volta il Trattato di Maatsricht…poi non c’è più l’UE”.
TP: A Washington sono andati giù con la mano pesante contro l’Europa, poi quando le ondate sismiche sono arrivate anche a Wall street, hanno frenato e parlano di un “errore tecnico” delle loro slot machines. Errore, però di di presunzione: ritenere che il maremoto non valicasse lo stretto di Gibilterra. La triade Moody’s, S&P e Fitch si sta giocando il monopolio del rating. Cioè il privilegio di imporre il tasso di interesse che devono pagare le nazioni prescelte come vittime. Come vedi la questione?
Attilio Folliero: La caduta di ieri (6 maggio 2010) a Wall Street (fino a -9%) non è stato nessun errore tecnico. Semplicemente un grandissimo volume di scambi di azioni: in moltissimi vendevano e pochi volevano comprare. Ieri a Wall Street sono state scambiate 10,6 miliardi di azioni, che rappresentano il 56% in più rispetto agli scambi del giorno prima, e il 115% in più rispetto alla media degli scambi del 2010. Solo il 10 di ottobre del 2008, quando passarono di mano ben 11,4 miliardi di azioni, a Wall Street si sono avuti volumi di vendite superiori a quelli di ieri. Le citate agenzie di rating, semplicemente sono immorali, e succede solo nel mondo della finanza e del gioco d’azzardo.
Quelle tre agenzie —principali- sono al contempo arbitri autoeletti e giocatori; sono imprese quotate in borsa che giudicano gli “avversari”. E’ come dire che una squadra di calcio partecipa al campionato ed allo stesso tempo designa arbitri e guardalinea.
In questi giorni The Economist si è sbilanciato a dire che il futuro dell’Italia come Stato unitario è in pericolo. Così, nero su bianco. Gli anglosax puntano alla gola dell’euro. Buttano benzina sul fuoco e mettono in mostra i loro più genuini desideri. Qual’è la situazione reale delle nazioni insulari conosciute come Regno Unito?
In effetti The Economist ha proposto una Europa divisa, in cui appare smembrato anche il Regno Unito. Il Regno sta proprio male e potrebbe anche “sfasciarsi”. Ci sono forti tendenze nazionalistiche, come in Scozia dove puntano a una “indipendenza” piena. I nazionalismi in Gran Bretagna sono sempre esistiti, ma oggi irrompono sulla scena in virtù della severa crisi economica.
La Gran Bretagna non è entrata nell’euro perchè non era in grado di rispettare i parametri per potervi accedere. La situazione è veramente difficile ed i nodi sono già al pettine. Il debito pubblico, nel 2010 viaggia attorno all’84%. In realtà Londra – come tutti sanno – è intervenuta al “salvataggio” di numerose banche, con trasfusioni di denaro pubblico per centinaia di miliardi. Un occhio e mezzo della testa.
Con sotterfugi mariuoli di “finanza creativa” non appaiono come debito nel bilancio dello Stato, ma in altre voci; il deficit di bilancio stabilito dagli accordi di Maastricht non poteva superare il 3%. La Gran Bretagna l’ha quasi sempre superato. ll ricorso al credito da parte delle famiglie, oltre che delle imprese, è molto al di sopra rispetto alla media europea, quasi il doppio.
Nel 2008 il ricorso al credito bancario è aumentato del 14,3% rispetto all’anno precedente, contro l’8,8% della media della zona Euro. Anche negli anni precedenti è quasi sempre stato superiore, così l’aumento del prezzo degli immobili – la cosidetta bolla – in Gran Bretagna è superiore alla media della zona Euro. Cresce la disoccupazione, diminuiscono le entrate fiscali e il governo è in piena ideologia neoliberista. Quello appena eletto farà dei forti tagli e quindi probabilmente assisteremo a una esplosione sociale anche in Gran Bretagna. Se The Economist propone una divisione dello stato, significa che si sta schierando con coloro che puntano ad una balcanizzazione della Gran Bretagna o meglio del Regno Unito, che comprende anche l’Irlanda del nord.
Gli Stati Uniti fingono di aver già dimenticato il capitombolo dell’anno passato, e salgono in cattedra credendo che il mercato-mondo non sappia che stanno sulla graticola. Qual è l’entità del debito reale (governo centrale più quello dei vari Stati federati)?
Negli Stati Uniti, il governo-ombra fornisce statistiche peggiori rispetto alle cifre ufficiali di Washington. Ad esempio parla di una disoccupazione superiore al 22%, contro il 12% circa ufficiale; anche il debito pubblico sarebbe superiore. Questi dati potrebbero essere travisati. Analizziamo quelli ufficiali, che di per sé sono drammatici.
Negli USA il debito pubblico è ormai a 13.000 miliardi; tale cifra sarà raggiunta nei prossimi giorni. Il debito aumenta di mille miliardi ogni sei mesi, tale lasso di tempo tende a diminuire. Il 12 febbraio scorso il Congresso USA ha portato il limite del debito pubblico a 14.294 miliardi. Ha autorizzato il governo Obama a fare debiti fino a quella somma. Perciò entro la fine dell’anno il debito Usa, secondo i dati ufficiali, sarà praticamente pari al 100% del PIL.
Non è previsto un accenno di diminuzione, ma probabilemente si impennerà notevolmente nel corso dei prossimi anni. Nel 2011 sono in scadenza bond e altri titoli di debito pari a circa 5.000 miliardi di dollari; ossia il governo USA nel 2011 o paga tale debito, oppure come è molto più probabile deve trovare nel mercato una somma del genere. La cosa non è facile.
Se oggi, in Grecia, per una “sommetta” di 110 miliardi sta succedendo tutto quello che sta succedendo, immaginate il prossimo anno quando gli Usa scenderanno sul mercato a cercare 5.000 miliardi di dollari. L’amministrazione Obama prevede una forte esplosione sociale e sta provvedendo a incrementare le forze di polizia. Stando alla rivista “Army Times”, a partire da ottobre 80.000 uomini dell’esercito saranno dispiegati sul terriotrio in funzione di forze di polizia, ossia a tutela dell’ordine pubblico.
La Cina sembra rallentare il ritmo di compra dei “buoni” USA, ma perché l’Europa e l’Italia comprano questo cartaceo-a-perdere? E’ vero questo?
La Cina possiede titoli del debito pubblico USA direi “all’ingrosso”. Nel luglio del 2009 accatastava bond per 939,9 miliardi. Da allora, tale somma è progressivamente scesa: a febbraio di quest’anno deteneva bond per 877 miliardi, un calo di oltre il 5%. Obama ha chiesto ai paesi occidentali di “aiutare” gli USA, e quando loro chiedono aiuto, per paesi praticamente privi di sovranità nazionale, è un ordine. Si può spiegare solo così che Paesi in forte crisi come la Spagna, il Regno Unito o l’Italia, siano intervenuti ad acquistare massiciamente il debito pubblico USA?
La Spagna, a febbraio 2009 possedeva titoli USA pari a 4,5 miliardi di dollari; un anno dopo tale somma e’ salita a 13,4 miliardi, un aumento di circa il 200%. Il Regno Unito possedeva 128.1 miliardi ed un anno dopo 231.7. L’Italia possedeva 16.6 miliardi e un anno dopo tale somma è arrivata a 20,9 miliardi, un aumento di 4,3 miliardi, ossia il 26% in più.
Stupendo, gli anemici si svenano per salvare l’anoressico… E’ come la moglie che presta al marito, e poi rivendono il debito alla badante… Insomma, tra gli USA e l’UE, il più pulito ha la rogna…
Complessivamente i paesi del G7, con l’eccezione della Germania, “salvano” il deficit USA acquistando titoli di stato-a-perdere. Mentre da noi si parla di una manovra finanziaria pari a 10 miliardi (anzi adesso 20), chiedono ai cittadini sacrifici, più tasse… ci permettiamo il lusso di investire una somma praticamente identica per l’acquisto del debito USA!
Che grado di affidabilità ha la mafia del rating?
Se le agenzie di rating, fossero veramente indipendenti, avrebbero da tempo declassificato i titoli del debito USA, qualificandoli come quelli della Grecia: “titoli spazzatura”. La stessa cosa vale per il FMI che è un anti-Robin Hood: strozza i piccoli e nutre il Grande. In realtà, malgrado la forte crescita degli aiuti dei paesi “amici” (vassalli), la somma che questi possono mettere in gioco è talmente piccola rispetto al fabbisogno USA, che alla fine stanno pagando i debiti soprattutto ricorrendo alla stampa dei dollari.
E’ un modo di dire o ha una base concreta?
Al 10 settembre 2008 la base monetaria USA, ossia la quantità di dollari in circolazione ammontava a 845 miliardi di dollari; al 10 marzo 2010 la base monetaria è arrivata a 2.116 miliardi.
Mmmh… a fronte di una economia più rattrappita che produce sempre meno? Sarà la “nuova” creatività finanziaria?
Cosa succederà il prossimo anno quando dovrà reperire 5.000 miliardi? Gli Stati Uniti sembrano avviati alla bancarotta, anzi si potrebbe assistere alla fine della stessa Unione e Barack Obama potrebbe essere il Romolo Augustolo dell’impero statunitense.
In Italia, abituati alla narcosi mediatica che continua le sviolinate come se fossimo nel 1945, o ai tempi di Kennedy, i politici innalzano sempre lodi automatiche agli USA… ‘sto discorso potrebbe apparire strano o campato in aria. Le classi dirigenti che vogliono sempre copiare gli USA…Be’, speriamo che non lo facciano in questo campo (minato).
In realtà la situazione USA è difficile: complessivamente (quindi governo, famiglie e imprese) hanno accumulato debiti pari al PIL di tutto il pianeta terra, più un altro PIL degli Stati Uniti, pari a 70.000 miliardi.
Il dollaro, sia pure in fase calante, continuerà ancora a essere la moneta per gli scambi internazionali. Non per la sua geriatrica salute, bensì per l’indecisione e i limiti degli altri contendenti. Quando era al tappeto, nessuno si è fatto avanti per sottrargli spazio: né la Cina, né la Russia, né il BRIC, per tacere dell’ignavia storica dei “signori dell’euro”. Non c’è stato nessun passo decisivo verso il “paniere di divise”, né per un nuovo segno monetario alternativo o parallelo… Tutto si è limitato all’allargamento da G7 a G20. Evidentemente i cinesi giudicano che non è ancora il momento…
Il dollaro effettivamente, come dice spesso Chávez – che è il presidente di un éaese con la più grande riserva petrolifera del mondo – è carta straccia, perché viene emesso da un paese che letteralemente sta andando verso la bancarotta. Il mondo è inondato di dollari. E’ presente negli scambi internazionali e in tutte le riserve monetarie, sia pure in modo decrescente. L’oro risorge e nel commercio tra i Paesi si usano sempre più spesso le divise nazionali.
La Cina ha riserve internazionali per 2.447 miliardi di dollari. Cartamoneta e molti titoli del debito pubblico statunitense. E’ ovvio che si preoccupino del crollo del dollaro, sarebbe una perdita anche per loro. E’ facile dire che il dollaro è carta straccia, però —fino ad oggi- è stato difficile mettersi daccordo per il suo superamento. Tutti sanno che il dollaro è un lontano ricordo di quello del passato. Gli USA non hanno come pagare i debiti, continuano a stamparne, e la quantita’ circolante e’ quasi triplicata: da 800 miliardi a oltre 2.000.
Cosa sta facendo la Cina? Diversifica i suoi scambi e cerca di liberarsi dei dollari accumulati, al fine di limitare le perdite nel momento del tracollo. E’ cosi’ che Pechino, meta di grandi investimenti di capitali esteri, si e’ trasformato velocemente in Paese che investe in America Latina, in Venezuela e in Africa. Poi c’è l’euro che non ha mai voluto diventare adulto, vittima dell’utopia di un mercato-senza-Stato. Il tracollo inmediato del dollaro non conviene a nessuno.
E gli USA, a parte lo “stakhanovismo” nello stampare il biglietto verde, come si stanno muovendo?
Stanno immettendo sul mercato i pezzi migliori del loro apparato produttivo; indusrie o settori di imprese, come il suv Hammer, computer Lenovo, auto como la Chrysler ecc… sono stati venduti e pagati in dollari, vale a dire con lo stesso cartaceo svalutato da loro spacciato.
Conclusione: è stallo, la transizione procede per sussulti. Un passo significativo è stato dato con gli scambi tra Russia, Cina, Brasile — più altri minori – basati sulle rispettive monete nazionali. L’Iran non rende ancora operativa la sua Borsa petrolifera e gasifera. Il Brasile ha frenato e centellinato gli sforzi per il varo del Banco del sud nel blocco sudamericano, ma ha ricapitalizzato senza indugi il FMI con le sue eccedenze finanziere. Paga il dazio per entrare nel club del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Aumentano vistosamente le riserve auree nelle Banche centrali, però tutti continuano ad emettere titoli di Stato o buoni delle grandi corporazioni statali in dollari. Tutti giocano sulla svalutazione del dollaro. Gli scenari del prossimo triennio muteranno quando qualcuna di queste — e altre variabili – si concretizzeranno, producendo una accelerazione incontrollabile per l’attuale palude. Le elites europee continuano a guardare sempre e solo verso l’ovest, ma è la Russia che dispone di tutte le materie prime necessarie e che può assorbire le esportazioni.
Dagli USA arrivano solo campionari di armi, loisirs mediatici e imposizione dei loro nemici come male comune assoluto. Per fortuna, a Berlino non se lo sono scordati, e il gasdotto del Baltico va a gonfie vele. La chiave di volta sta nella scelta di campo geopolitica multipolare, che significa materie prime, mercati, tecnologie, ricerca e difesa. Questo conta molto di più dei gargarismi vocali dei Barroso e degli altri ventriloqui di Bruxelles.