di Alfio Neri
Francesco Sylos Labini, Rischio e previsione. Cosa può dirci la scienza sulla crisi, Laterza, 2016.
Per prevedere il futuro, un tempo c’era l’astrologia, oggi c’è l’economia.
Potrebbe sembrare un miglioramento.
Poi se gli economisti non sono in grado di fare previsioni sicure, non sono poi tanto meglio degli astrologi.
Intendiamoci, non sono un fanatico, non ho nulla contro l’Astrologia.
Anche nei sistemi di divinazione, come la matematica applicata alle fluttuazioni borsistiche, c’è molto di buono.
Tuttavia se vogliamo uscire dalla divinazione per entrare nella Scienza, dovremmo comunque avere perlomeno delle previsioni attendibili e verificabili.
La Scienza Economica cerca di presentarsi come la scienza della società moderna per eccellenza.
Si tratta di un sapere molto matematizzato e molto incomprensibile, accessibile solo a pochi laureati, elaborato in prestigiose università.
Per queste ragioni i potenti cercano gli economisti quando devono prendere delle decisioni importanti.
Tutto questo potrebbe avere un senso se la Scienza Economica fosse in grado di produrre delle previsioni abbastanza sicure. Bene, nel libro di Sylos Labini ci sono molti buoni motivi per credere che l’economia neoclassica, quella dei premi Nobel degli ultimi trent’anni, sia più una pseudo-scienza, come l’Astrologia, che una scienza, come l’Astronomia.
Sylos Labini è in fisico teorico che difende la ricerca di base finanziata dallo stato.
Il suo cuore batte per la fisica dei materiali e noi siamo contenti perché, almeno lui, vive un amore felicemente corrisposto.
Una parte del libro, un centinaio di pagine, è costituito da esempi concreti di ricerche apparentemente inutili che hanno avuto un’enorme utilità sociale. Si tratta di storie condivisibili che qualche perverso potrebbe anche trovare interessanti.
Risaltano le ricerche di logica matematica di Frege, usate nello sviluppo dei computer, oppure ricerche marginali, come quelle sulla grafite, che hanno portato a scoperte di nuovi materiali con proprietà straordinarie come il grafene.
Da fisico, Sylos Labini affronta anche la questione delle capacità previsionali proprie della Scienza Economica.
Lo fa perché i finanziamenti sono erogati secondo criteri economici.
Nella sua critica il criterio è popperiano. Coerentemente con il modello standard, afferma che possono essere chiamati scientifiche solo le teorie che, potendo essere controllate da una verifica sperimentale, sono da questo confermate.
In sostanza una teoria è scientifica se è in grado di fare previsioni che poi sono confermate dalla ricerca empirica.
La profondità concettuale e la ramificazione deduttiva non sono di per sé elementi che qualificano come scientifica una teoria. La cosa interessante della Scienza Economica è che le sue previsioni sugli stati futuri sono regolarmente smentite dal controllo empirico.
L’autore si sofferma sulle capacità previsionali delle scienze più incerte come la meteorologia e la geologia.
La prima affronta fenomeni caotici che offrono seri problemi di calcolo alle equazioni deterministe; la seconda ha delle regolarità molto aleatorie (i terremoti) su cui si può dire ben poco per l’impossibilità fisica di andare sottoterra oltre poche centinaia di metri.
Questi blocchi tematici fanno delle affermazioni sugli stati futuri che possono essere controllate in modo sperimentale. Per esempio un terremoto in un’area non soggetta a terremoti dovrebbe essere considerata come una smentita della teoria in questione.
La teoria economica mainstream, adesso egemone, nasce a fine ottocento come una trasposizione in economia delle equazioni della termodinamica.
In queste equazioni era implicito che il punto finale fosse il raggiungimento di uno stato di equilibrio.
Queste serie di equazioni furono riprese da Walras e furono utilizzate per descrivere i mercati perfettamente concorrenziali e il comportamento di un attore economico razionale.
La cosa da rilevare è che l’idea dell’esistenza di questi mercati perfetti è già presente nelle equazioni prima della loro trasposizione in ambito economico.
L’idea che i mercati si bilancino spontaneamente, l’idea che i mercati tendano a uno stato di equilibrio ottimale, precede i risultati e proviene direttamente dalle equazioni della termodinamica.
Tuttavia Walras non fu mai in grado di dimostrare che le sue equazioni simultanee avessero soluzione (86).
In seguito Arrow e Debreu non riuscirono mai a dimostrare che l’equilibrio concorrenziale esistesse, fosse unico e fosse stabile (87).
Alla fine queste contorsioni mentali ebbero effetti devastanti. Non potendo rinunciare allo stipendio, la bassa manovalanza degli economisti neoclassici difese sempre il posto di lavoro.
In presenza di ricorrenti crisi economiche, di fronte a cose non descritte dalle equazioni, la colpa non poteva essere che della realtà.
Il meglio lo dice il premio Nobel Lucas secondo il quale l’efficienza informativa dei mercati riflettendosi immediatamente sui prezzi, determina un mercato in cui qualsiasi tipo di crisi è sempre imputabile alla condotta non razionale dei soggetti economici.
Come dire che l’attuale crisi è imputabile solo alla gente che non capisce che le cose vanno bene così (88-91).
Questo blocco di teorie ha a volte esiti divertenti.
Per esempio prendiamo la domanda fatta nel 2008 dalla Regina d’Inghilterra (67-69) in una visita alla London School of Economics.
Parlando della crisi economica appena scoppiata chiese agli economisti presenti: “Perché nessuno se n’è accorto in tempo” ? Per i guru dell’economia, in presenza di mercati perfetti, le crisi erano impossibili.
Non solo da un punto di vista matematico i dati indicavano che gli eventi estremi, pericolosi e molto improbabili, erano molto più frequenti di quello che era stato previsto dai modelli econometrici (101-104).
In tutti questi casi emerge la fastidiosa questione dell’incapacità previsionale della teoria economica mainstream.
Sylos Labini, che è un fisico teorico, puntualizza queste cose perché i finanziamenti alla ricerca di base sono erogati seguendo considerazioni economiche.
Ai suoi occhi, non è tollerabile che una pseudo-scienza, un insieme di teorie che fa acqua da tutte le parti, prenda delle decisioni per scienze con una fondazione epistemologica molto più solida.
La presenza di elaborate forme matematiche, in sé, non dice proprio nulla. La forma può essere la più esoterica ma, se le previsioni sono sistematicamente errate, non esiste alcuna teoria scientifica1.
Non bisogna lasciarsi ingannare dai giornali mainstream: la Scienza Economica non è in grado di assicurare l’impiego ottimale delle risorse e non è in grado fare previsioni scientificamente valide.
Le sue equazioni sembrano valide perché prescrivono sistematicamente la difesa degli interessi dei padroni.
Di fronte ad autentiche turbolenze economiche, la loro unica utilità è quella oscurare la mente.
L’idea che l’economia non abbia un’adeguata fondazione epistemologica è già nota cfr. F. Guala, Filosofia dell’economia. Modelli, causalità, previsione, Il Mulino, 2006, pp. 125-128. ↩