copertina-destra[Esce oggi per Elliot Il mestiere più antico del mondo?, una raccolta di racconti curata da Marilù Oliva che vede coinvolti altri sette scrittori tra cui Dacia Maraini e Maurizio de Giovanni. L’intento del progetto è sostenere Telefono Rosa, da sempre in prima linea contro la violenza alle donne, e suscitare dibattiti e riflessioni in merito alla professione più esposta dell’altra metà del cielo, senza implicazioni demistificanti o romanticheggianti alla Pretty Woman. Ma soprattutto si vuole raccontare, attraverso voci molto diverse, le stratificazioni sociali e psicologiche, anche nascoste, alla base di ciò che viene considerato il mestiere più antico del mondo. Perfino nelle sue più ipocrite e misere espressioni contemporanee: dalla schiavitù sessuale al lavoro come sopravvivenza fino alle studentesse squillo, dal mercato dei trans ai locali per massaggi cinesi fino alle escort imprenditrici e così via. Arricchita da una prefazione di Camilla Ghedini, l’antologia si conclude con un’intervista a una prostituta. Riportiamo di seguito l’introduzione della curatrice].

Introduzione 
di Marilù Oliva

IL MESTIERE PIÙ ANTICO DEL MONDO?
Partiamo subito sfatando un mito: la prostituzione non è il mestiere più antico del mondo. Ho proposto questo titolo per demolire un cliché che assomiglia molto a una cantilena e che connota spesso, anche come sinonimo, l’indiscutibile longevità di questa professione.
Infatti, come ci insegnano gli studi sulla preistoria, evincendo il loro assunto dai reperti del paleolitico e dai dipinti rupestri – e come rimarca meravigliosamente, sul piano narrativo, Roberto Calasso ne Il cacciatore celeste (Adelphi) – il mestiere più antico del mondo è il cacciatore. Ciò non toglie che la prostituzione abbia origini antichissime. Così antiche che Vern Leroy Bullough, in Storia della prostituzione. Dall’antichità agli anni Sessanta (edito da Odoya nel 2015, con un’interessante appendice di Elizabeth Bernstein), dopo un excursus nei popoli primitivi dell’età moderna, comincia il suo viaggio dal passato Oriente, poi dai Greci e dai Romani. Ma non solo.
Se pensiamo alla Mesopotamia nei millenni prima di Cristo e alla società sumerica, la grande varietà delle occupazioni femminili ci presenta, ben prima che i sumeri o altri popoli lasciassero fonti sulla prostituzione, donne “scrivane, stenografe, divinatrici, negromanti, cameriere a ore, pettinatrici, impiegate di negozi ed enti vari, cantanti, cuoche, panificatrici, birraie, balie, guaritrici, portatrici d’acqua, filatrici, tessitrici, lampadiere, lavandaie, massaggiatrici, attrici, cantastorie, eccetera, sono tutte professioni documentate nelle tavolette” (Lasse Braun, Storia della prostituzione, Golena). Non è dunque il mestiere più antico del mondo, se non nell’immaginario collettivo. Ed è proprio da questo immaginario che, forse, bisognerebbe partire per ricostruire una mappa più precisa.

PROSTITUZIONE: SIGNIFICATI
Il termine prostituta deriva dal latino prostituere, che significa “esporre pubblicamente”, “mettere in mostra”, ma il lessema si è caricato di una connotazione negativa a scapito di chi esercita un mestiere non sempre valutato in maniera univoca, a livello spazio-temporale.
Nell’antica Palestina, dove si potevano incontrare prostitute quasi ovunque, il mestiere era considerato una necessità, riconosciuta dalla legge e accuratamente sottoposta a norma. In alcune società poligame del Congo, il marito, anche oggi, può obbligare le proprie donne a vendere servigi agli stranieri di passaggio, mentre nella Parigi altomedievale il meretricio era accolto ma confinato in un quartiere speciale detto “Clapier”. Etera, cortigiana, favorita, puttana, escort: sinonimi o varianti, dunque? Se molti dizionari liquidano il termine PROSTITUTA con la definizione di “donna che esercita la prostituzione”, ad andare a cercare PROSTITUZIONE ci si imbatte in perifrasi che si rifanno, più o meno esplicitamente, alla definizione redatta da Nanette J. Davis quando, nel suo contributo Prostitution, in The Encyclopedia of Social Work, New York 1986, scrisse: “La prostituzione può essere definita in termini generali come una prestazione sessuale a scopo di lucro. Tale definizione mette in evidenza due caratteristiche universali del fenomeno: la componente economica, per cui la prostituzione si configura come una transazione commerciale, e la natura relativamente indiscriminata di tali transazioni, che coinvolgono estranei anziché il coniuge o persone amiche”.
Forse si potrebbe approfondire partendo proprio da questa premessa, senza dimenticare le diverse sfumature. L’origine e le derive. Dove inizia la professione? Quanto conta il principio di responsabilità e quanto la necessità, quando non addirittura la costrizione (1), come nel caso del triste fenomeno delle schiave sessuali? Esistono donne che scelgono liberamente di esercitare questa professione, veicolo sicuro per una vita agiata (o meno disagiata) e per ottenere alcune comodità. Altre sono incanalate da una vita di indigenza. E, comunque, immaginano poche alternative, oggi come due secoli fa: “Il mio scopo era solo sfamarmi e avere qualche bel vestito da mettermi” ricorda nella sua autobiografia, Memorie di una maîtresse americana, Nell Kimball, vissuta tra Otto e Novecento e morta ottuagenaria dopo essere divenuta tenutaria di bordelli e donna d’affari.

L’ANTOLOGIA: GLI AUTORI E L’INTENTO
Date queste premesse, non è stato facile per noi affrontare un argomento così delicato e così sfaccettato evitando i luoghi comuni e invitando il lettore a nuove riflessioni non vincolanti. Ma questo è stato l’intento principale: dare uno sguardo narrativo sulla prostituzione – di differenti età e nazionalità – oggi, in Italia. Come raramente capita nelle antologie, in cui spesso le autrici sono in netta minoranza rispetto ai colleghi maschi, ho voluto che in quest’avventura l’altra metà del cielo fosse ben presente. Ed ecco che la rosa si compone, oltre alla sottoscritta, di sette autori – quattro scrittrici e tre scrittori. Tutte persone che stimo per la qualità della scrittura, per l’impegno civico, per il loro sguardo sul mondo, uno sguardo disincantato, analitico, a volte di denuncia, ma che riesce sempre a cogliere il barluccichio della poesia.
L’abruzzese Romano De Marco, acclamato dalla critica come il nuovo Scerbanenco, ha una scrittura che scorre precisa, diretta, orchestrata su un’impalcatura narrativa perfetta. La ferrarese Camilla Ghedini è maestra dell’interiorità e in pochi, come lei, riescono a rendere, con uno stile sintagmatico e completo, i saliscendi dell’animo umano. Il bolognese Alessandro Berselli è fautore del minimalismo postmoderno e ci regala la sua verve caustica. La napoletana Sara Bilotti fonde il sublime della bellezza con il nero della ferocia: ne escono pagine laceranti. La romana Ilaria Palomba ci svela una scrittura onirica, pericolosa come una danza nel fuoco. Aprono e chiudono l’antologia due nomi cardine della letteratura italiana: la grandissima Dacia Maraini e il meraviglioso Maurizio de Giovanni.
L’intento più pratico di questo progetto è devolvere i proventi al Telefono Rosa, l’ONLUS che da più di un quarto di secolo tenta di arginare ogni tipo di violenza contro le donne, col quale Elliot ha già collaborato in passato (penso all’antologia Nessuna più. 40 autori contro il femminicidio).
Quello che ho chiesto ai colleghi è stato uno spaccato (o due, a seconda della lunghezza totale) sulla prostituzione, che tenesse conto dei seguenti requisiti: la professione non andava mistificata né demonizzata, ma resa – nelle sue diverse sfaccettature – rispettando il più possibile la realtà. Se il lettore non va imboccato con verità precostituite e comunque sempre umanamente fallaci, è pur vero che va sollecitato o scosso verso nuove riflessioni, anche scomode. Le vicende raccontate indagano mondi anche sordidi, spaziano nei tempi e nei contesti, dalle massaggerie cinesi al marciapiede, dai centri di assistenza a una stanza di polizia, da una natura ostile agli interni di una casa che cova segreti. Le voci sono diverse, i punti di vista fanno una fotografia certo non esaustiva ma significativa della condizione delle donne che esercitano. Ci restituiscono un’infelicità, una fragilità, una forza all’abitudine, un annichilimento dei sensi, una disillusione che spesso accompagnano questa parte tanto esposta (2) del mondo femminile, ma al contempo non rinunciano alla luce, allo spiraglio di sole che si affaccia, a volte, anche soltanto all’orizzonte, perché tutti noi speriamo in un mondo migliore.

CONCLUSIONI
Il mondo, però, non è migliore se si elimina la prostituzione. Ma forse diviene migliore se si eliminano le condizioni che costringono all’offerta e le implicazioni culturali che invogliano alla richiesta. Il discorso sarebbe lungo e richiederebbe un volume a parte, io gli dedicherò almeno le mie conclusioni. Nel volume sopra citato, Storia della prostituzione di Bullough, dopo una rassegna di questo mondo di lucciole e ombre, si pongono alcune questioni, prima tra tutte quella della legalizzazione – e soprattutto regolarizzazione – della prostituzione. Perché sarebbe opportuno procedere in questo senso? Il primo motivo sarebbe etico, secondo l’autrice. La legalizzazione della prostituzione consentirebbe di strappare un monopolio multimilionario a organizzazioni mafiose e criminali che, allo stato delle cose, gongolano della situazione. Regolarizzerebbe poi la condizione di donne spesso asservite, ora alla mercé di papponi senza scrupoli e senza un minimo controllo sanitario obbligatorio.
Il secondo motivo sarebbe economico. Regolarizzare le migliaia (3) di prostitute e gli altri sex workers significherebbe rimpinguare il fisco con una somma che oscilla tra i 5 e i 10 miliardi di euro l’anno, trasformandoli in lavoratori legalmente riconosciuti, alla stregua dell’esempio della Germania e dei Paesi Bassi. Questi ultimi hanno scelto – come Turchia, Austria, Svizzera, Grecia ecc. – il modello regolamentarista: legalizzazione e regolamentazione della prostituzione con modalità differenti (come la statalizzazione dei bordelli, i quartieri a luci rosse).
Il terzo motivo riguarda il buonsenso e il nostro rapporto con l’ipocrisia. Che senso ha non dare norme a un sistema cui poi si ricorre inevitabilmente, come ha dimostrato la storia sociale dell’uomo? Oggi, per via dell’esacerbazione del mercato globalizzato, “il sesso a pagamento viene sempre più confinato nelle strade dei poveri e degli immigrati” e il controllo del mestiere continua a passare dalle mani di madame e di malavitosi. Se, di fatto, le leggi e le strategie generali di repressione sembrano aver avuto un impatto notevolmente limitato sull’economia della prostituzione, i tentativi di spegnere questo commercio non hanno sortito l’effetto voluto, ma soltanto quello di dislocarlo altrove. Non serve vietare la prostituzione se non si interviene ab imo, dando alle donne vere alternative e insegnando agli uomini la dimensione del sesso non mercificato. Ma per arrivare a un tale immenso traguardo bisognerebbe allargare nuovi orizzonti economici e culturali, che in molti hanno interesse a lasciare così come sono. E allora, nel frattempo, l’unica arma che ci rimane è la conoscenza. Conoscere per non farsi sommergere dai pregiudizi, per capire, per aiutare, per non additare sommersi dai luoghi comuni. Conoscere attraverso quattordici racconti che sono quattordici storie di donne vendute, sì, ma prima di tutto sono donne che non hanno intravisto molte altre possibilità. Donne che han fatto del loro corpo un crocevia dei bisogni altrui, lasciandosi tatuare addosso insoddisfazioni, violenze, insulti. Donne che, nonostante tutto, hanno tentato di rifiorire e troppe volte, proprio per il clima di oscurantismo e proibizionismo in cui sono relegate, non ce l’hanno fatta.

NOTE
1. Secondo il Rapporto mondiale sugli abusi sessuali pubblicato dalla Fondation Scelles nel 2013, la maggior parte delle donne che nel mondo si prostituisce dipende da uno sfruttatore.
2. “Esposta” sia perché affidata alla strada, sia perché priva di un controllo sanitario. Basti pensare che, su nove milioni di clienti, la maggioranza chiede di non usare il preservativo (l’80% secondo i dati del Gruppo Abele del 2012). Ciò comporta l’aumento di malattie a trasmissione sessuale e i casi di HIV tra le prostitute, specie a seguito dell’ingresso nel mercato di moltissime straniere irregolari.
3. Secondo un’indagine realizzata dal Codacons nel 2014, nel nostro Paese gli operatori del sesso sono 90.000 (erano attorno ai 70.000 nel 2007).