di Sandro Moiso
Pino Bertelli, TINA MODOTTI. Sulla fotografia sovversiva, dalla poetica della rivolta all’etica dell’utopia, NdA press, 2016, pp. 294, € 10,00
[Tina Modotti, fotografa, attrice, donna bellissima, contraddittoria e rivoluzionaria ha fornito all’immaginario antagonista e narrativo più di uno spunto per far parlare di sé. Nata a Udine il 17 agosto 1896 e morta a Città del Messico il 5 gennaio 1942, in circostanze ancora non del tutto chiarite, ha letteralmente attraversato il mondo dall’Italia agli Stati Uniti giù fino in Messico, per poi esserne espulsa e tornare ancora in Europa, in Unione Sovietica e nella Spagna della Guerra Civile; per poi ripartire ancora una volta alla volta del Messico.
Registrata all’anagrafe come Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini, dopo aver raggiunto il padre emigrato a San Francisco, divenne prima la moglie del pittore Roubaix de l’Abrie Richey e, in seguito, nel corso del suo peregrinare, l’amante del fotografo americano Edward Weston, del comunista cubano Julio Antonio Mella, dell’inviato del Comintern Vittorio Vidali e della pittrice Frida Kahlo. Nello stesso tempo, dopo essersi avvicinata al Partito Comunista Messicano nei primi anni venti, ebbe modo di diventare organizzatrice sindacale, rappresentante del Soccorso Rosso Internazionale e fedele collaboratrice del già citato Vidali, alias Comandante Carlos delle Brigate Internazionali combattenti in Spagna. Di tutti questi aspetti della sua vita molto si è scritto e letto, sia in prosa che a fumetti,1 senza contare le opere teatrali e gli innumerevoli brani musicali che le sono stati dedicati.
Certamente la parte più importante della sua vita e della sua attività è stata, però, quella dedicata alla fotografia. Un’attività di cui non solo è stata una delle prime e più importanti rappresentanti femminile, ma anche una radicale rinnovatrice. Sia nello sguardo che nella concezione del ruolo della fotografia. Anzi, si potrebbe tranquillamente affermare che proprio il suo lavoro in tale campo l’abbia portata ad essere una delle muse ispiratrici della fotografia sociale del Novecento.
Proprio a questo aspetto, senza naturalmente separarlo dal carattere e dalle scelte di vita della comunista di origine friulana, è dedicato il volume di Pino Bertelli, critico cinematografico e culturale neo-situazionista, recentissimamente tornato in libreria in edizione economica per i tipi della NdA press. Ed è una fortuna poiché, concentrando il discorso sul significato della sua opera fotografica, si rivela essere l’opera più completa, approfondita e soddisfacente sulla Modotti.
Accompagnato da un breve saggio della stessa Modotti, Sulla fotografia, il testo si divide in due parti. Nella prima, dal titolo Della fotografia sovversiva, commentari sulla filosofia e sulla politica della fotografia di Tina Modotti, l’autore esplora “l’etica dell’Utopia espressa nella Fotografia radicale della Modotti”, ricollegandola alle successive correnti della fotografia e della critica radicale della società. Mentre nella seconda, intitolata Tina la “Rossa”. La fotografia al tempo dell’amore e le sue puttane tristi, ricostruisce il percorso di vita della fotografa ricollegandolo alle sue scelte morali, stilistiche ed estetiche.
Proprio dalla seconda parte si dà qui di seguito un significativo estratto dalle pagine 194-197 ]
La fraternità spirituale che Tina Modotti cercava tra gli oppressi e gli sfruttati fuoriusciva fortemente dalle sue fotografie. Il suo codice visivo è legato a un’etica della visione liberata e dice che fare fotografia significa dialogare con il mondo. “La macchina fotografica è l’arma ideale di una consapevolezza di tipo acquisitivo. Fotografare significa infatti appropriarsi della cosa che si fotografa” (Susan Sontag) […] La fotografia sociale, che è una forma di resistenza attiva contro la stupidità generale, desidera l’inverso del reale o denuda il reale truccato […] La fotografia sociale di Tina Modotti seguiva un impulso morale che aveva come fine il desiderio di denunciare il sopruso o di svegliare le coscienze. La Modotti sapeva che le fotografie possono infrangere una situazione o disvelare un’impostura, semplicemente mostrando il vero. Non si tratta di fotografare la sofferenza e l’ingiustizia, occorre far vedere quali sono i mali della sofferenza e chi sono i persecutori dell’ingiustizia…queste semplici idee sono alla basse di ogni fotografia sociale. Il Manifesto di Tina Modotti – Sulla fotografia – riafferma l’importanza della fotografia sociale come riscatto estetico, etico e morale contro l’ingiustizia e la rapacità di ogni potere: “mi considero una fotografa e nient’altro, e se le mie fotografie sono diverse da quelle che si fanno in genere è perché cerco di produrre non arte ma fotografie autentiche, senza trucchi e manipolazioni, mentre la maggior parte dei fotografi aspira a effetti artistici o imita altri generi di rappresentazione, ottenendo un prodotto ibrido…Non si tratta di stabilire se la fotografia sia arte o no; si tratta piuttosto di distinguere tra buona fotografia e cattiva fotografia. Buona è da considerarsi quella che accetta tutti i limiti inerenti alla tecnica fotografica e utilizza tutte le possibilità e le caratteristiche che questo mezzo espressivo offre…già per il fatto di potersi produrre solo nell’attualità e sulla base di ciò che esiste obiettivamente, la fotografia è il mezzo migliore per registrare la vita oggettiva in tutte le sue forme fenomeniche; da qui il suo valore di documento e se a ciò si aggiunge sensibilità e conoscenza della cosa, e soprattutto una posizione chiara rispetto al suo ruolo storico, il risultato è degno, mi pare, di occupare un posto nella produzione sociale alla quale tutti dobbiamo contribuire”. L’eroismo della visone della Modotti non è misurabile in base a qualche nozione di verità o estetica dell’arte. Si tratta di contravvenire alla scrittura fotografica ordinaria e non farsi discepoli di nessuno che non abbia tentato di strappare la maschera del banale nell’arte e cercato di tagliare alla radice i simulacri/mitologie del potere.
Basti qui citare la biografia curata da Pino Cacucci: Tina, uscita in prima edizione per Interno Giallo nel 1991 ↩