Esce da Fanucci, in una splendida traduzione firmata Luca Briasco, Galatea 2.2 di Richard Powers: una specie di hyperfiction con cui tutti dovremo fare i conti. Non è soltanto un testo che mantiene – cosa sorprendente in questi anni – la capacità di calamitare l’attenzione più intensa con la più intensa pacatezza; è molto di più: una specie di atlante della contemporaneità avanzata, degli snodi cognitivi che, per gente come noi, che popola un presente eccezionale, sono l’unica autentica metafisica. Riassunzione di motivi à la Asimov ridisseminati nel nostro tempo, Galatea 2.2 affronta la rivoluzione antropologica che, dall’innesto dell’artificiale nel biologico fino ai superamenti della logica neurale di rete, stanno trascinandoci irresistibilmente verso un futuro dalle tinte incerte e, proprio per questo, esigenti nei nostri confronti: richiedono uno sforzo di conoscenza e di responsabilità, la risposta alla chiamata dell’umano in via di definitiva trasformazione.
Non è la trama il focus narrativo di Richard Powers in questo che è il suo miglior romanzo, tanto da meritargli giudizi entusiastici da parte della compattissima critica angloamericana (c’è addirittura chi ha sostenuto che, dai tempi in cui Pynchon pubblicò L’incanto del lotto 49, non si leggeva un libro tanto riassuntivo dello stato della specie). Powers usa la trama per sedare le ansie di suspence e compiere un lavoro esattamente opposto alla deriva dei generi SF e neri. Con i passi cauti del narratore che ha in mente più di un bersaglio, RP mette sotto incantamento l’ansia di divertirsi a scapito della meditazione: meditazione su chi è l’uomo oggi e chi sarà domani. Sia chiaro: meditazione e non ragionamento. Per quanto io, se fossi ministro dell’istruzione, obbligherei ad adottare Galatea 2.2 in ogni corso di filosofia, va detto che siamo all’interno di un romanzo di stratosferica portata conoscitiva, ma ben fuori dal labirinto dialettico e, grazie ai paradossi delle nuove scienze, ben distanti dalle secche del razionalismo ingenuo.
Ecco la storia, comunque. Richard Powers, il protagonista, entra in contatto, dopo il ritorno dall’Olanda alla patria americana in veste di ricercatore umanista a contratto in una superuniversità di scienze cognitive, con il professor Lentz, autorità in fatto di neuroscienza, convinto che il meccanismo cognitivo ed emotivo del cervello umano sia teoricamente e praticamente replicabile artificialmente. Powers e Lentz, nel breve arco di due mesi iniziatici, giungono a programmare un cervello artificiale che sembra disporre di tutti i requisiti strutturali e reattivi di quello umano. Sullo sfondo c’è anche una struggente storia di amor perduto, che Powers fa convergere magistralmente nella tramatura del suo romanzo. Mi fermo qui, per non rovinare nulla del delicato meccanismo su cui si regge Galatea 2.2.
Impressionante l’impegno linguistico di Powers che, proprio sul piano dei linguaggi, sembra tentare lo scandaglio al fondo di un vecchio paradigma riduzionista, che ha sempre ravvisato, nella declinazione a linguaggio e poi a biologia di ogni dato di realtà, un ancoraggio della mente al mondo, l’unico rapporto di eventuale veridicità con cui l’uomo può centrarsi nello psichismo impazzito dell’universo in cui vive. Per quanto discreto sia l’affondo praticato da Powers in questo paradigma veteroscientista, la potenza con cui lo fa deflagrare dall’interno è pari all’equivoco che, come una bomba, PK Dick ha innestato nel cuore dell’immaginario collettivo. I paradossi con cui, progressivamente, Richard Powers infittisce il suo magnetico racconto, necessitano di uno sforzo linguistico che, miracolosamente, l’autore è riuscito a mantenere nei limiti di un’apparente e armonica increspatura, opera che il traduttore è stato capace altrettanto miracolosamente di restituire in italiano: una gragnuola di blackout cognitivi per una storia che fa collassare lingua e immagine, al fine di ottenere un cortocircuito su cui le neuroscienze stanno lavorando da decenni. Powers lambisce così, proprio attraverso questo cortocircuito che ci introduce al sovrarazionale, le pareti oscure del cerchio che ha per centro l’uomo – siano esse bambini autistici o scimmie lobotomiche – e disegna un’opera che richiama ai doveri di conoscenza, pietà e ridefinizione dell’umano gli scrittori contemporanei.
Richard Powers – Galatea 2.2 – Fanucci – 14.00 euro