di Gioacchino Toni
Rocco Ronchi, Zombi outbreak. La filosofia e i morti viventi, Textus edizioni, L’Aquila, 2015, 96 pagine, € 8,50
«Il proletariato non addomesticato, riottoso al lavoro in fabbrica, il proletariato insorto che rivendica il suo diritto a godere dei beni prodotti dalla società industriale, è […] il living dead generato (come scarto) dall’economia politica borghese. […] Quando si invocano i ‘tecnici’ per governare la globalizzazione si invocano, in ultima analisi, i tecnici competenti nello smaltimento dei rifiuti, vale a dire coloro che sanno eliminare gli zombi che si replicano tumuralmente» (pp. 49-51).
La figura dello zombi è particolarmente efficace nel dare immagine ad uno scenario apocalittico e nonostante i morti viventi della prima generazione siano lenti nei movimenti (poi si faranno ben più dinamici), la velocità di dissoluzione del mondo da essi portata è rapidissima tanto che si può affermare che la comparsa del primo morto vivente segna la fine di tutto.
Il saggio di Ronchi offre diversi spunti di analisi interessanti a proposito dei morti viventi di cui abbiamo già esaminato altri aspetti nel corso della serie “Nemico (e) immaginario“. In apertura di Down of the Dead (2004) di Zack Snyder, remake del celebre film di George Romero del 1978, viene mostrato il repentino passaggio dalla tranquillità borghese ad uno scenario catastrofico che, durante i titoli di testa, si palesa attraverso un serrato montaggio di immagini di reali rivolte urbane (comprese le immagini del G8 di Genova del 2001) intervallate da alcuni fotogrammi di fiction. Gli inserti tratti dalla realtà contribuiscono a creare nello spettatore la percezione di trovarsi davvero in un mondo sull’orlo del collasso ed è per tale motivo che diversi film zombi «si aprono ricordando allo spettatore che quando nella terra dei vivi i morti cominciano a camminare, l’apocalisse è già in corso, il mondo dell’uomo è già finito» (p. 18).
Secondo l’autore se in molti film appartenenti al genere apocalittico epidemiologico persiste una speranza di risoluzione, nel cinema zombi appare tutto deciso sin dalla prima sequenza in cui compaiono i morto viventi: la loro comparsa palesa che la fine è già in corso. Ma attenzione, avverte lo studioso, gli zombi non sono una malattia ma il rovescio del mondo, sono la sua contraddizione in atto.
Nel film Day of the Dead (1985) di Romero viene chiaramente esplicitato come per eliminare il morto vivente sia necessario distruggergli la testa; qualsiasi altra amputazione non è sufficiente a toglierlo di mezzo. «Lo zombi non è un organismo, perché non è uno. È un simulacro di unità […] qualcosa che solo da lontano è, appunto, qualcosa, è una sostanza» (p. 24).
Nella sua versione americana, il living dead è l’altro, il nostro prossimo, che, da Romero in avanti, raggiunto da un morso di uno zombi diviene esso stesso uno zombi. «Lo zombi è l’altro che non partecipa più dell’unità, che ha perso, a causa di quel morso, ogni ‘comunità’ con me, un altro che non ha più nulla di comune pur essendo apparentemente simile a quello di prima» (p. 25).
In realtà, sostiene Ronchi, non esiste “lo zombi”, così come, invece, esiste “il vampiro”. Esistono “gli zombi”, al plurale «ma a un plurale che non ha più l’uno come unità di misura. Gli zombi sono ‘molteplicità senza uno’, massa oncologica» (pp. 25-26). Il vampiro, invece, compare al singolare, è un eroe romantico nato dal crollo del mondo feudale, si tratta dell’avanzo di uno splendore tolto di mezzo dall’età della macchina a vapore e dal trionfo della borghesia. Il vampiro non sopporta la luce perché è alla luce che ha luogo l’attività produttiva del mondo borghese. È un romantico, dicevamo, dunque un loser, un perdente. Al contrario lo zombi non è mai solo, è parte di una molteplicità informe in decomposizione. I morti viventi, inoltre, sostiene lo studioso, seppure spesso lenti nei movimenti, almeno originariamente, sono sempre in movimento, e questo dinamismo esprime il loro “non poter stare”. Non abitano il mondo né hanno luogo in esso.
Dunque, la differenza principale tra vampiro e zombi pare proprio essere di classe; il vampiro sarebbe un signore decaduto, mentre gli zombi sono degli schiavi. Una figura catapultata nella modernità borghese la prima, una figura costretta alla servitù la seconda. Gli zombi, sottolinea l’autore, nascono lavoratori, «sono schiavi neri probabilmente drogati per sopportare il lavoro disumano a cui vengono sottoposti per assicurare il godimento al loro padrone» (p. 33).
Ronchi recupera la distinzione hegeliana (Fenomenologia dello spirito) tra Signore e Servo, tra godimento e lavoro. «Lavorare è sostanzialmente trasformare per un certo tempo la propria vita in una funzione, lavorare è mettere il proprio corpo (e la propria intelligenza) all’opera. L’opera è la produzione di valore. Quando si lavora il fondamento del proprio essere è fuori di sé, è per-altro. Dove? Nel godimento del padrone, appunto. Cosa significa, allora, godere? Vuol dire emancipare il presente dalla spada di Damocle che il futuro, il futuro dell’opera, fa gravare su di esso. Si gode ‘qui e ora’. Si gode nel consumo. Si gode quando la vita assume se stessa come scopo. Si gode quando la vita vive, quando non è subordinata ad altro, ma solo a se stessa in quanto vita vivente: quando, per dirla ancora con Hegel, è per-sé» (pp. 33-34).
Abbiamo già visto in altri interventi [su Carmilla] il ruolo del libro The Magic Island (1929) di William Seabrook nella diffusione occidentale della figura dello zombie, è interessante notare come in questo libro la leggenda degli zombi si leghi allo sfruttamento dalla Haitian American Sugar Company nei confronti dei lavoratori della canna da zucchero. «È veramente curioso che la fabbrica, il lavoro salariato, lo sfruttamento, la proletarizzazione dei contadini, i problemi connessi allo sviluppo dell’economia capitalistica in un’isola caraibica, siano la cornice nella quale nasce ufficialmente la ‘leggenda’ zombi» (p. 36).
Dunque, sostiene lo studioso, gli zombi «sono l’incarnazione della nozione marxiana di forza lavoro. Ne sono l’incarnazione in senso letterale. Sono forza lavoro allo stato puro. Non sono definiti da nessuna altra caratteristica se non dalla capacità astratta di lavorare per produrre valore. Non pensano, non parlano, non socializzano, non hanno una vita privata, neppure quella residuale che era concessa al proletariato inglese della prima rivoluzione industriale, il quale, una volta rientrato a casa, cessava di essere forza lavoro per diventare un vivente (sebbene un vivente al di sotto della soglia dell’umano modo d’essere e […] dall’aspetto molto linving dead per il borghese beneducato» (p. 37). Gli zombi di Haiti sono “macchine viventi” che simulano la vita al fine di lavorare.
Un essere vivente, sostiene Ronchi, possiede la forza lavoro, non è forza lavoro. «Egli può non disporne liberamente e allora è uno schiavo, oppure disporne in modo formalmente libero e scambiarla con altre merci che gli garantiscono la sopravvivenza, e allora è un proletario. In ogni caso, schiavo o proletario che sia, finché è vivente mantiene comunque una distanza da quella forza lavoro che possiede e che è costretto a cedere in modo coatto o in modo formalmente libero». (p. 38). Lo schiavo obbligato a lavorare può godere della sua vita sfigurata soltanto nei pochi momenti in cui non è al lavoro oppure, si ricorda nel saggio, quando canta sul lavoro. Se da un lato il canto fornisce il ritmo all’attività produttiva, dall’altro però mette in luce come lo schiavo non sia soltanto lavoro, ma anche “vita che vive”. La forza lavoro è «indissolubilmente connessa a un corpo vivente (essa, scrive Marx nel primo libro del Capitale, “esiste soltanto nella sua corporeità vivente”) ma un corpo, se è vivente, non è solo lavoro, non è lavoro astratto, dunque bisogna produrre un corpo attivo come un corpo vivente ma che non sia un corpo vivente» (p. 39). Occorre decontestualizzare un corpo dalla vita senza però renderlo “cosa inerte”, occorre “astrarlo” dalla vita senza ucciderlo. Ecco allora che il morto vivente rappresenta la soluzione perfetta: morto al godimento e vivente per il lavoro.
Se, come abbiamo visto, gli zombi vengono dal mondo del lavoro, nei film di Romero essi non sono più schiavi ma cannibali aggressivi ed insaziabili. Nella leggenda caraibica agli zombi era preclusa la carne (ed il sale), pena la fine dell’incantesimo zombificante, nei film di Romero, invece, i living dead sono pura compulsione a quel godimento interdetto agli antenati haitiani. Tale trasformazione, suggerisce Ronchi, ha una spiegazione materialistica: è dovuta alla trasformazione del capitalismo che è slittato verso il consumo coatto.
I living dead fanno la loro comparsa quando il principio di individuazione entra in crisi. “Individuo”, ricorda lo studioso, significa “ente determinato”, ente diverso dagli altri individui della medesima specie. Secondo la teoria politica liberale gli uomini sono individui ed è in quanto tali che hanno diritti inalienabili.
La filosofia classica spiega il fenomeno di individuazione ricorrendo alla composizione di forma e materia e la tecnica, il creare cose non già presenti in natura, è stata intesa nell’orizzonte del lavoro provocando però il paradosso che per spiegare il processo di individuazione caratterizzante la natura, si è finiti col far riferimento alla categoria della “produzione” così da finire col “retrodatare” alla natura il lavoro umano.
Tutto il pensiero politico moderno è ossessionato dall’idea di costruire attraverso mezzi umani un corpo politico dotato della medesima saldezza e sostanzialità del corpo mistico della Chiesa. Si è parlato a tal proposito di “teologia politica” che trova il suo limite nell’apparizione dei “resti” inincorporabili. Ciò che resta fuori dal corpo sociale, della nazione, della comunità ecc., vi resta come qualcosa di orrendo, di disgustoso: così viene descritto, ad esempio, il proletariato urbano inglese all’epoca della prima rivoluzione industriale. Se nella sua presenza in fabbrica il proletariato riceve un ordine ed una forma dai meccanismi produttivi, fuori dalla fabbrica diviene un’entità mostruosa, non umana. Anche i proletari, ricorda Ronchi, sono solo al plurale, una moltitudine illimitata che minaccia il buon ordine urbano. Fabbrica, prigione e caserma da questo punto di vista sono meccanismi disciplinari.
«Lavorare soggetivizza. Il proletariato non addomesticato, riottoso al lavoro in fabbrica, il proletariato insorto che rivendica il suo diritto a godere dei beni prodotti dalla società industriale, è allora il living dead generato (come scarto) dall’economia politica borghese. Il proletariato è l’onkos che minaccia i corpo sociale borghese» (p. 49). La generazione haitiana di zombi incarnava la pura forza lavoro. Non più schiavo ma nemmeno proletario. Si tratta del prodotto del colonialismo occidentale ridotto a pura macchina che produce valore. «I ‘negri’, dopotutto, per il razzista bianco, non sono veri ‘uomini’. Il proletario (bianco) è invece complementare al modo di produzione borghese, è generato dall’incorporazione capitalistica. La fabbrica è il luogo della sua individuazione e soggettivizzazione. Il suo aspetto zombi non sarà quindi più legato alla servitù del lavoro […] ma alla sua pretesa di godimento. A rimanere in eccesso rispetto al corpo sociale (come resto mostruoso e minaccioso) non è la sua umanità di operaio, umanità che si è guadagnato lavorando virtuosamente al servizio del capitale, differenziando cioè la soddisfazione del desiderio, ma questo stesso desiderio sganciato dal lavoro: è la sua fame» (p. 49).
Ronchi ricorda come lo stesso socialismo nello scegliere nel proletariato organizzato e disciplinato dal partito il soggetto antagonista al capitale, finisce con l’indicare nel sottoproletariato quella massa tumorale di manovra a cui può ricorrere la reazione. Se l’individuazione è pensata sulla produzione, inevitabilmente essa genera dei residui (minacciosi) non assimilabili. «Quando si invocano i ‘tecnici’ per governare la globalizzazione si invocano, in ultima analisi, i tecnici competenti nello smaltimento dei rifiuti, vale a dire coloro che sanno eliminare gli zombi che si replicano tumuralmente» (p. 51). Dunque, secondo Ronchi, si ricorre ai “tecnici” perché tali compiti i “politici” non possono né sanno fare e da qui la loro delegittimazione internazionale.
A nostro avviso si potrebbe sostenere che, con l’egemonia totale dell’economico, il politico è stato totalmente esautorato da qualsiasi funzione che si possa dire politica, appunto. Se il politico è uno dei territori dell’immaginario (come sostiene da tempo Sandro Moiso) allora, in assenza di un immaginario realmente alternativo, il politico è inevitabilmente succube dell’economico. Il politico contemporaneo si è fatto tecnico. Un approccio politico alternativo non può che derivare da un immaginario alternativo, in assenza di quest’ultimo il politico è, inevitabilmente, tecnico.
Tornando ai morti viventi sugli schermi, Ronchi sottolinea come a livello cinematografico il ruolo dei tecnici spetti di diritto ai militari e quando anche questi falliscono nello smaltimento dei living dead, vuole dire che tutto è perduto e non resta che un’ultima illusione: la fuga.
Sappiamo che nella tradizione haitiana il cibarsi di carne o sale pone fine all’incantesimo che ha prodotto lo zombi. Ronchi, nel chiedersi cosa mostri allo zombi quella sorta di “autocoscienza” che acquisisce grazie all’assunzione di questi cibi, giunge a concludere che il morto vivente percepisce soltanto che è uno zombi qualsiasi, un essere-moltitudine. Nessuna emancipazione dalla massa, dunque. Nessuna interiorità. «Dal mondo dei morti lo zombi si è infatti portato dietro l’anonimato che caratterizza per sempre tutti i morti, i quali, in quanto morti, non sono più nessuno. È un uno qualsiasi, ma è uno qualsiasi che è già morto. […] L’autocoscienza pone lo zombi di fronte al suo essere una contraddizione in atto, una contraddizione assoluta che cammina. Lo pone di fronte alla sua atopia, alla sua eccedenza, al suo essere di troppo» (pp. 82-83). È per questo che secondo la legenda haitiana una volta “risvegliati” dal sale (o dalla carne), gli zombi intendono tornare alle proprie tombe, desiderano abbandonare il mondo dei vivi e far ritorno alla terra, a quella terra che però li ha espulsi obbligandoli all’erranza illimitata.