di Sandro Moiso
Riccardo Borgogno, Il complotto delle statue di cera, Eris Edizioni, Torino 2016, pp. 544 con illustrazioni in bianco e nero di Silvia Rocchi, € 17,00
[Riccardo Borgogno, nato a Torino nel 1954, ha scritto sceneggiature di fumetti per molte case editrici. In questo momento sta realizzando una graphic novel di genere storico sullo sfondo della rivoluzione haitiana per un editore francese. Conduce il programma “La perla di Labuan” su Radio Black Out di Torino e ha pubblicato molti articoli, racconti e romanzi. L’ultima opera in ordine di tempo è il romanzo “Il complotto delle statue di cera”, del quale pubblichiamo un estratto qui di seguito, in cui la storia del Piemonte medioevale e del Duca Arduino di Ivrea si mescola in maniera appassionante con la repressione dei Valdesi nel XVII secolo, il movimento del 1977, la magia bianca e nera, la tradizione alpina delle “masche” (streghe) e la creazione “artificiale” della vita da parte di esponenti del potere di ieri e di oggi. Buona lettura!]
“Chiamami Jolanda, tesoro.” disse la donna mentre si alzava. Tamara ignorò l’occhiataccia di Milo. La professoressa aprì l’armadio a vetri, prese un libro, lo aprì e spiegò: “È la relazione del maresciallo francese Catinat al ministro Louvois.” Poi prese a leggere: “Gli uccisi sono 2.000, gli incarcerati sono 8.500, 3.000-3.500 fuggiti per gole e forre al di là delle Alpi, in Francia e in Svizzera. Non c’è il numero dei neonati strappati ai genitori e dati in adozione. Dei valdesi prigionieri metà non supera l’estate a causa di malattie e infezioni. Sono mal sistemati, mal nutriti, gli uni addosso agli altri, e quegli che è in buona salute non può che respirare aria viziata. Oltre a questi mali la tristezza e la nostalgia, a ragione causate dalla perdita dei beni e da una prigionia di cui non vedono la fine, la perdita o per lo meno la separazione dalle mogli e dai figli che essi non vedono più e di cui non conoscono la sorte. Molti di essi, in tali condizioni, tengono discorsi sediziosi, che li consolano delle loro disgrazie e delle loro miserie.”
Jolanda Morioni guardò Milo, che a sua volta guardava lei perplesso. Quindi depose il libro sullo scrittoio e concluse: “Tra i 1.400 rinchiusi nel castello di Carmagnola ne morì un migliaio, un altro migliaio morì tra i 1.400 imprigionati a Saluzzo. Dei 1.000 del carcere di Trino ne sopravvissero 46.” La professoressa scosse la cenere dalla sigaretta, e solo in quel momento Milo notò che il teschio era in realtà un portacenere.
“Comunque la storia dei valdesi non finì qui. I superstiti si nascosero in grotte e gole, e si organizzarono in bande armate con il nome di Invincibili, al comando di capitani come Paolo Pellenc e Daniele Mondon. Il duca intendeva riempire le casse dello stato vendendo ai nuovi proprietari cattolici le terre espropriate ma, sotto l’attacco degli Invincibili, l’affare sfumò. Quelle grotte, in una località ancora oggi nota come Vallone degli Invincibili, furono riscoperte durante la seconda guerra mondiale e utilizzate dai partigiani per nascondervi le armi trafugate ai nazisti.”
Jolanda Morioni avrebbe continuato a lungo, nessuno era più brava di lei a trovare collegamenti tra avvenimenti lontani e apparentemente estranei, ma ci pensò Tamara, in modo garbato, a riportare il discorso sul primo re dei Savoia.
“Un ultracattolico, insomma.”
“Oh, era solo politica. Il massacro dei valdesi rientrava nell’alleanza con il Re Sole e con la Chiesa Cattolica. Ma non disdegnava di occuparsi di magia, alchimia e astrologia. Ma questo al suo confessore e al papa non lo diceva.”
“Vittorio Amedeo II aveva contatti con alchimisti e astrologi?”
“Molti. Uno in particolare, Giovanni Vincenzo Giobbe Fortebraccio, divenne il suo consigliere privilegiato. Gli predisse la nascita del figlio, che era la cosa che desiderava di più dopo la corona di re.”
Era il nome che il sedicente padre Eusebio aveva citato, l’aveva chiamato “maestro”, secondo lui aveva recuperato un certo libro che Sekhmet gli aveva sottratto. Milo ritenne giunto il momento per la domanda che lo aveva portato in quel luogo.
“Ti risulta che sotto il suo regno Fortebraccio o qualche altro alchimista sia riuscito a realizzare un simulacro di essere umano?”
Jolanda Morioni aspirò a lungo dalla sigaretta e sorrise.
“Per rispondere alla vostra domanda devo fare un passo indietro. Quale è il più antico sogno dell’umanità?”
Milo e Tamara si guardarono. “Non saprei. L’immortalità?” azzardò lui.
”Uno è sicuramente l’immortalità. Ma un obiettivo che forse l’uomo persegue anche più tenacemente è la capacità di creare la vita. I tentativi e gli esperimenti sono stati molti fin dall’epoca più antica. La ricerca della vita ha subito preso due strade diverse. Una prevede l’uso della scienza e della tecnica, ed è cominciata con gli antichi Greci…”
“So che i greci avevano sviluppato una raffinata tecnologia. Dedalo, l’inventore del labirinto e delle ali per volare, era il tipo dell’ingegnere e inventore che i greci ammiravano. Infatti Dedalo costruì anche uomini e animali meccanici e semoventi.”
“E bravo, sapientone, vedo che la lontananza dalla scuola non ti ha obnubilato le nozioni fondamentali. Oggi tutti sanno cosa sono un blog, una mailing-list o una chat line, ma nessuno si ricorda chi erano Dedalo, Dioniso, Prometeo, le amazzoni, le sirene e gli orchi, che sono alle basi della nostra civiltà. La parte più profonda. I giovani oggi credono che il cavallo di Troia sia solo un programma per computer, e che Omero sia uno dei Simpson.” si lasciò andare a un sorriso sconsolato. “La via scientifica e tecnologica per creare la vita, stavo dicendo. Poi ci sono stati gli automi del ‘500 e del ‘600, e arriviamo fino ai moderni robot. Un’altra via è quella che crea la vita dalla materia inerte. Come il golem della tradizione ebraica.”