di Tommaso De Lorenzis (da L’unità, 6 dicembre 2009)
Serge Quadruppani, Rue de la Cloche, Marsilio, 2009, pp. 256, € 13,60.
Léon Jaquet è un traduttore malinconico e disincantato. Vive a Parigi, in rue de la Cloche, una stradina di marginali, squatter e accattoni, lontana dal fascino patinato d’una certa bohème. Siamo sulla riva destra, nel XX arrondissement, quello della multietnica Belleville e del Père Lachaise, il cimitero in cui sono sepolti Jim Morrison e Piero Gobetti, Edith Piaf e Amedeo Modigliani.
Lavorare con le parole altrui è l’unica cosa che Léon sa fare. Uomo senza qualità, dimentico d’ogni ambizione, sogna di «essere uno qualsiasi». Tuttavia, com’è noto, il desiderio più modesto può diventare la più irraggiungibile delle mete. Ed è proprio così che va, perché il destino ha in serbo una perfida beffa che schianterebbe il miglior detective. Figuriamoci un traduttore che, per tirare avanti in un mondo insopportabile, s’è affidato a quella follia chiamata amore.
Lasciato dalla seducente Juliette, Léon smarrisce l’unica copia di Death Job, un romanzo-verità sulle speculazioni di banche prestigiose e insospettabili multinazionali al centro d’una trama oscura che si dipana tra Tokyo, gli Stati Uniti e il Medioriente, dove si sta combattendo la guerra del Golfo. C’è quanto basta per innescare una furiosa caccia all’uomo che coinvolge poliziotti corrotti e vecchi collaborazionisti, centrali dell’intelligence e mafiosi giapponesi. Tutti in cerca del manoscritto. Tutti sulle tracce di Léon. E tra tutti non può mancare Emile K., l’ex-agente dell’Antiterrorismo francese, congedato per motivi psichiatrici e ora attivo sul mercato d’indagini tanto spericolate quanto informali.
A un anno dall’uscita italiana di Y, torna l’investigatore di Serge Quadruppani in un sequel mozzafiato in cui ogni cosa è permessa: tranne fermarsi. Astuto, spietato, maniacale ai limiti della paranoia, Emile è l’indagatore degli arcana imperii, l’infallibile scopritore e il sapiente custode di quei segreti di cui si nutre un potere essenzialmente criminale. In bilico tra l’intreccio di un’avvincente spy story e la più cupa introspezione del noir, Rue de la Cloche è — prima di tutto — un romanzo d’azione scosso da una frenetica sequenza di colpi di scena. Estenuanti pedinamenti e fughe rocambolesche, cruenti conflitti a fuoco e selvaggi omicidi scandiscono il ritmo d’un plot che, tra le righe del thriller, nasconde significati molteplici.
Romanziere, saggista, traduttore dei maggiori interpreti del genere italiano (tra cui Camilleri e De Cataldo), Quadruppani usa la chiave della letteratura di spionaggio per raccontare la dialettica degli interessi che, dopo l’implosione del blocco sovietico, edificò il nuovo ordine mondiale. Rue de la Cloche illustra una parte del nuovo disegno di controllo planetario, assumendo come prospettiva uno scorcio della Ville Lumière su cui, durante la seconda presidenza di Mitterrand, convergono le mire speculative dei grandi istituti finanziari. Come nelle pagine di Y, anche in questo sequel si avverte chiaramente la critica feroce della retorica socialista e della cosiddetta gauche caviar: quella sinistra affaristica e rampante, verbosa e modaiola, che dominò i mandati del “monarca repubblicano”. Di quest’universo sociale lo scrittore descrive le derive psicologiche, attingendo alla grande lezione del Nero transalpino per restituire una realtà senza salvezza, dominata da vizi e perversioni, brutalità e corruzione. E se Giscard d’Estaing ricordò a Mitterrand che nessuno può avere il «monopolio del cuore», Quadruppani dimostra come non sia neppure questo il problema: perché non c’è più un cuore di cui valga la pena arrogarsi il monopolio.