di Benedetta Masera
L’ultimo film di Michael Haneke, Il nastro bianco, è stato spesso interpretato sulla nostra stampa come un film sulle origini del nazismo. Penso che questa interpretazione sia molto riduttiva e molto consolatoria. E anche un po’ autoassolutoria. Un gruppo di ragazzini nella campagna tedesca del 1914. La macchina riprende in primi piani immensi i loro volti lisci, gli occhi immobili, i capelli biondi pettinati con cura. Figurette dritte, vestite di scuro, compatte e ordinate.
Nell’affresco sono le figure di sfondo. Il racconto segue gli adulti. Non hanno nome, solo il loro appellativo sociale: il Barone, il Pastore, il Medico, l’Intendente. A volte sono chiamati anche ‘signor padre’. Niente altro. Il Barone e le sue tre diramazioni sono né più né meno l’incarnazione del Potere, e di tutto ciò che si deve fare per mantenerlo. La ricetta, per quanto riguarda i contadini, è semplice: basta lasciarli all’occorrenza senza lavoro. Nessuno si ribella, perché lo spettro della morte per fame è fin troppo vicino. Infatti la ribellione di un giovane contadino, nell’isolamento più totale, porta come unica conseguenza al suicidio del padre e alla probabile morte per fame dei fratelli.
Le donne di qualunque classe sociale sono quasi mute, a malapena riusciamo a sentirne la voce durante tutto il film. Vengono annichilite dalla violenza che vedono esercitare sui figli o che subiscono loro stesse, e alla quale non sono in grado di opporsi in nessun modo. Sono disarmate, mute, in balia degli uomini. Senza scampo.
Non c’è spazio per la ribellione e nemmeno per la fuga. Chi tenta di ribellarsi viene ricondotto all’obbedienza, o semplicemente svanisce nel nulla.
Quale potrebbe essere, dunque, l’unico punto debole del sistema di ferro in cui si muovono i personaggi? I bambini, i loro figli, menti giovani, ancora intatte. Che per questo vanno dominati, piegati. Tra loro c’è il biondo e riccioluto figlio del barone. Poi i perfetti figli del pastore del villaggio. La figlia del medico, con lampi di malizia negli occhi neri che è quasi impossibile cogliere.
Gli adulti non si occupano dei bambini se non per punirli, o per abusarne. Lo scopo è inculcare loro a forza l’obbedienza. Perché questo è il nastro bianco del titolo, che dal pastore viene definito ‘simbolo di innocenza e di purezza’: obbedienza.
E quindi i bambini obbediscono. E la crudeltà che sviluppano insieme all’obbedienza diventa sempre più sconvolgente. Perché applicano alla lettera gli insegnamenti: ogni infrazione alla regola va sradicata alla radice, e le colpe dei padri ricadono sui figli. La trappola è scattata, non c’è possibilità di riscatto.
Te li immagini marciare allineati, da lì a una decina d’anni, sotto la Porta di Brandeburgo con la faccia rivolta verso il Führer. E ti immagini le bambine diventate grandi fare la guardia zelanti alle prigioniere del campo di sterminio.
Ma non è solo questo (come se fosse poco, per carità). È che Haneke ci sussurra all’orecchio: credi davvero di vivere in un mondo diverso? Il mondo in cui vivi è sostanzialmente lo stesso: chi ha il potere se lo tiene stretto e fa vivere tutti gli altri in miseria. E a te hanno insegnato a obbedire fin da piccolo.
Siamo ricattabili come il contadino che teme che non gli venga dato lavoro alla stagione successiva. E sono ancora i preti, e i pope e i mullah, a dettare le regole della vita. E con quale dedizione questo sistema viene portato avanti da tutti, da vittime e carnefici, sommersi e salvati.