di Alessandra Daniele
In più d’un dialetto d’Italia, la parola “cristiano” è ancora sinonimo di “persona”, essere umano non meglio identificato. Significa letteralmente “un tizio”, ed è un modo di dire d’origine medievale che implicitamente non riconosce al diverso, allo straniero, nemmeno l’appartenenza alla stessa specie umana.
D’altronde, la parola inglese per “straniero” è “Alien”.
Se entrassimo davvero in contatto con forme di vita aliene e/o artificiali però, certo non potremmo più usare il termine “umano” come sinonimo di brava persona, sensibile e civile.
Dare dell’umano a un alieno o un androide per fargli un complimento sarebbe in realtà offensivo.
Questa che potrebbe sembrare una sofisticheria da politically-correct contemporaneo è in realtà una costante della serie classica di Star Trek, che compie cinquant’anni a settembre.
Spock giustamente s’offende quando colleghi e amici lo elogiano dandogli dell’umano, come un afroamericano avrebbe tutti i diritti di trovare estremamente insultante sentirsi dire “Sei davvero una brava persona, sembri bianco!”
La reazione degli umani alle puntualizzazioni di Spock in TOS sono di solito sarcastiche, condite con riferimenti al suo sangue verde, e Spock si ritrova in un ruolo simile a quello di Sam Tyler in Life on Mars, circondato da colleghi e amici che, pur essendo perlopiù brave persone, per gravi limiti culturali trovano legittimi i loro pregiudizi.
Ed è già tanto che non lo chiamino marziano.
Nonostante l’ipocrisia da colonialismo umanitario che ogni settimana enuncia la Prima Direttiva, e ogni settimana trova una scusa diversa per non rispettarla, il fatto che il vulcaniano Spock sia (quasi sempre) il personaggio più civilizzato di bordo è una delle cose che rende Star Trek TOS ancora più moderno di molte serie girate oggi.
Da questo punto di vista, anche The Next Generation è un passo indietro: per quanto rispettati e (fin troppo) celebrati, i costumi culturali del klingon Worf sono concepiti come meno civili di quelli terrestri dello stesso periodo, più brutali, più ingiusti, decisamente medievali, mentre l’androide Data non fa che sforzarsi di diventare, apparire, ed essere considerato umano.
L’individuo più civilizzato di bordo è indiscutibilmente l’aristocratico capitano Picard, umano, terrestre, esplicitamente discendente dai conquistadores (s7e20, Journey’s End).
Eclettico, profondo, autorevole, coltissimo, si capisce che per essere leader Picard ci è nato. Al punto che gli stessi Klingon gli lasciano nominare il loro capo, Gowron (s4e28, Redemption).
Mentre la presenza del carismatico e complesso comandante afroamericano Sisko in Deep Space Nine è negativamente controbilanciata dal parossistico, disturbante racial profiling degli alieni, e dal bellicismo mistico delle ultime stagioni che rispecchia l’inizio dello Scontro di Civiltà.
Come per ogni altro aspetto della saga però, il peggio anche in tema di razzismo e colonialismo arriva col pessimo Enterprise, saturo di propaganda bellica neocon, e devoto a ritrarre sistematicamente tutti gli alieni come inferiori in un modo o nell’altro, a cominciare dagli stessi abitanti di Vulcano, il pianeta di Spock, trasformato in un covo di ottusi fanatici e viscidi cospiratori.
Con questi precedenti diventa paradossalmente progressista il fatto che nel semi-remake Into Darkness, secondo film del reboot firmato J. J. Abrams. il personaggio di Khan, warlord nazistoide e minaccia terroristica innescata dalla stessa Federazione, sia stato “sbiancato” (whitewashed) rispetto all’originale, dando alla summa delle devianze eugenetiche il volto ariano di Benedict Cumberbatch.
Il terzo capitolo della nuova saga, Star Trek Beyond, invece ricicla senza vergogna i peggiori stereotipi razzisti sugli alieni, mentre elimina tutte le critiche al colonialismo federale intraviste in Into Darkness.
Spoiler
Il ruolo dell’umano degenere stavolta tocca a Idris Elba. I pochi secondi di found footage nei quali gli è consentito di recitare senza maschere di lattice sono la cosa migliore del film, che per il resto è un videogame fracassone e infantile, ma è impossibile non riconoscere nel suo personaggio lo spauracchio del radicalizzato. L’Uomo Nero dei nostri giorni.
Star Trek ha sempre incarnato lo Zeitgeist. L’ambigua utopia kennedyana di TOS; il globalismo e la cybergotica paranoia fine millennio di TNG, DS9 e VOY; il fascismo sguaiato dell’era Bush di Enterprise.
Qualsiasi cosa si riveli la nuova serie Tv attualmente in preparazione, di certo ci dirà molto sul nostro presente.
E difficilmente saranno buone notizie.