di Sandro Moiso
Antonio Amorosi, COOP CONNECTION. Nessuno tocchi il sistema. I tentacoli avvelenati di un’economia parallela, Chiarelettere editore, Milano 2016, pp. 290, € 16,90
Se non fosse che l’elegante espressione contenuta nel titolo è utilizzata da un rappresentante del “sistema” Coop per definire la capacità di certi dirigenti del PCI – PDS –PD, anche di alto e altissimo livello, di esporsi pur di fare gli interessi del Partito e/o della rete di attività economiche e finanziarie ad esso legate attraverso le Coop, ci sarebbe da dire che l’autore, per redigere il testo da poco pubblicato da Chiarelettere, ha dovuto immergere più che le mani in un intreccio di interessi ed attività che quasi mai è stato così potentemente indagato e scoperchiato.
Antonio Amorosi, coautore nel 2008-2009 del libro «Tra la via Emilia e il clan» sulla presenza della criminalità organizzata in Emilia Romagna, 1 è stato assessore alle politiche abitative del Comune di Bologna per la giunta Cofferati tra il 2004 e il febbraio 2006. Ruolo da cui si è dimesso dopo aver denunciato2 un sistema illecito nelle assegnazioni delle case popolari del Comune di Bologna. Da anni si dedica al giornalismo di inchiesta e collabora con diversi quotidiani, riviste e radio nazionali.
Occorre qui subito dire che, nel prendere in mano il libro, il lettore si troverà davanti a pagine dense (a volte fin troppo) di dati, nomi, fatti e cifre che rendono il testo paragonabile ad una sorta di Gomorra delle attività lecite o meno della struttura economico-finanziaria sviluppatasi intorno a quel sistema di governo che ha fatto dell’Emilia Romagna, soprattutto, la vetrina della proposta sociale e politica di quello che è stato, prima, il più grande Partito Comunista dell’Occidente e, poi, il successivo PDS-DS-PD.
L’analisi copre soprattutto il periodo che va dagli anni ’80 ai giorni nostri, ma per fare ciò l’autore non può esimersi dal lanciare uno sguardo sul mondo delle Coop rosse e bianche fin dal secondo dopoguerra e nel corso dei decenni successivi. Ricostruendo un percorso che inizia con la “conquista” di Legacoop da parte di Guido Cerreti, voluto alla sua presidenza dal Segretario del PCI Palmiro Togliatti nel 1947.
“Cerreti, tra i fondatori del Partito comunista, decorato dall’Unione Sovietica con l’Ordine della bandiera rossa e la Medaglia della vittoria, è contemporaneamente presidente di Legacoop e parlamentare del PCI […], rimane ai vertici di Legacoop fino al 1962. Deputato fino al 1963, passa poi al Senato, dove resta fino al 1968, infine esce di scena […] Da allora fino ad oggi, può raggiungere i vetici di Legacoop solo chi ha avuto la tessera del Pci, Pds, Ds e Pd e quasi sempre ha fatto il parlamentare o il politico ad alti livelli” (pp. 76-77)
Quello che salta però agli occhi è che dall’iniziale controllo del Partito sulle Coop e le altre attività associate si è passati ad una sorta di controllo delle Coop sul Partito. Tanto che, ancora e soprattutto oggi, molte beghe interne al PD, travestite sapientemente da scontro tra dirigenza e minoranza, altro non sembrano riguardare che uno scontro tra differenti fazioni all’interno del mondo delle cooperative.
Un mondo che costituisce “uno dei cardini dell’economia italiana che pesa 151 miliardi di fatturato, l’8 per cento del Pil, e che dà lavoro a più di un milione e centomila persone. Un universo economico che vale più del Prodotto interno lordo dell’intera Ungheria […] Dove «fare il bene» è una dialettica commerciale che fa crollare qualsiasi muro e sa inglobare ogni cosa. Al punto che, come scrive Mediobanca, le coop guadagnano più dalla finanza che dalla vendita delle merci.” (pag. 7)
E’ chiaro che degli ideali socialisti e di mutuo soccorso che avevano accompagnato la formazione di cooperative di produzione e distribuzione all’interno del movimento operaio dell’Ottocento è rimasto poco o nulla. E quel poco e nulla rimane soltanto a livello di facciata, così come il richiamo ai valori della Resistenza. Questi ultimi, soprattutto, presenti se possono servire a dimostrare che qualche importante rappresentante (ad esempio Oscar Farinetti di Eataly) ha avuto rapporti famigliari e/o di Partito con protagonisti del mondo partigiano.
Se tutto questo, come dimostra in maniera ben documentata il testo, si limitasse ad una conseguente spartizione interna dei finanziamenti distribuiti dalle varie aziende del settore in occasione delle campagne elettorali dei vari esponenti del Partito ci sarebbe comunque da arricciare il naso, ma rientrerebbe nei canoni di una lobbystica che accompagna da sempre le logiche elettoralistiche del parlamentarismo borghese.
In realtà, però, lo scambio di favori tra aziende della grande distribuzione, banche di credito cooperativo, cooperative di servizi e cooperative di produzione (soprattutto del settore edilizio) e mondo politico ha finito quasi col determinare i programmi politici e le priorità economiche di quasi tutti i governi degli ultimi anni. Dalle Grandi Opere al Jobs Act, dalla gestione dell’”emergenza immigrazione” al salvataggio delle banche attraverso la rovina dei piccoli risparmiatori, dalla raccolta ed eliminazione dei rifiuti urbani e tossici all’organizzazione dei servizi alla persona, tutto sembra essere determinato da ciò che il modo della cooperazione ritiene prioritario.
C’è però anche un altro aspetto che Amorosi sottolinea con insistenza ed abbondanza di particolare e di dati: la stretta connessione, che l’inchiesta Mafia capitale sembra aver per la prima volta disvelato, tra attività svolte da cooperative e criminalità organizzata sul territorio, anche se le interconnessioni tra mondo delle coop e mafie sembrano risalire, a detta del testo in questione, almeno dalla fine degli anni ’50, soprattutto nel settore dell’edilizia.
“Dall’Expo al Mose, da Mafia capitale alla Grande distribuzione, dai cantieri della Tav in Val di Susa sono troppi i casi in cui imprese targate coop, come Cpl Concordia, risultano inquinate da rapporti con la criminalità organizzata e dalla corruzione. La crisi economica li fa emergere nonostante lo storytelling della sinistra, l’affabulazione che ieri si chiamava propaganda di partito. Per non parlare dei risparmi di molti soci affidati alle coop e andati in fumo in seguito a spericolate operazioni finanziarie […] O dei contratti da fame e delle condizioni capestro cui sono costretti molti giovani lavoratori. Un «sottomondo» di schiavi invisibili, manovalanza dell’agroalimentare, nella logistica, nel facchinaggio. Schiavi anche grazie a un articolo del Jobs Act voluto da Renzi e dal ministro del Lavoro – l’ex presidente di Legacoop Giuliano Poletti – e passato nell’indifferenza generale, che abroga il reato di intermediazione fraudolenta di manodopera, il cosiddetto caporalato” (pp. 7-8)3
Ma a cosa è dovuta la forza dello storytelling teso a giustificare ogni scelta delle consociate di Legacoop? Sintetizzando,in una sorta di “noi siamo i buoni”, quelli responsabili, impegnati nel sociale, che agiscono soltanto in base a nobili principi e ideali. Quei “Buoni” che Luca Rastello, nel suo ultimo, straordinario romanzo di denuncia aveva così umanamente e lucidamente stigmatizzato.4 E il riferimento al libro di Rastello non è casuale poiché anche l’associazione Libera di Don Ciotti fa parte della galassia derivata dall’universo coop.
Un universo in espansione costante che dalla grande distribuzione dall’edilizia si è esteso alle banche, al mondo dei servizi di assistenza fino ai servizi legati alla sanità pubblica dove, dopo aver assunto la gestione dei servizi di pulizia di molti centri ospedalieri ha finito coll’ottenere spesso i contratti per la costruzione di nuove e faraoniche strutture ospedaliere oppure sostituire sul territorio i medici di base con strutture mediche in concorrenza con la sanità pubblica.
“L’outsourcing, l’esternalizzazione di pezzi di attività ospedaliera, affidata a società che con propri addetti svolgeranno le mansioni, è il mantra del settore. Avviene in massima parte tramite cooperative di soci che lavorano per anni senza ferie, malattia, contributi e con uno stipendio mensile massimo di 600-800 euro per otto ore giornaliere.” Ma ” l’esternalizzazione e l’ingresso delle coop nella sanità non hanno ridotto costi e sprechi, che incidono sul bilancio dello Stato per 110 miliardi di euro annui.” (pag. 234)
Non è difficile cogliere, sfogliando le intense pagine del libro di Amorosi, come tutta una serie di narrazioni e programmi dell’attuale governo Renzi (ma che affondano le radici sia in quelli di centro-sinistra che di centro-destra successivi a Tangentopoli), così attenti al taglio della spesa pubblica, al risparmio e all’ottimizzazione dei servizi tramite la loro privatizzazione non facciano altro che seguire un cammino già tracciato all’interno del mondo coop.
Un mondo dove i legami politici, sia a destra che a sinistra, servono a garantire appalti e leggi tagliate su misura sulle necessità e sull’impellenze, ma soprattutto sulle pretese finanziarie, di una componente avida e spregiudicata dell’economia nazionale.
“La criminalità organizzata insegue il denaro. E’ un fenomeno incapace di incepparsi e le grandi opere ne sono gli asset fondamentali. Il 75,5 per cento dei 285 miliardi di euro stanziati dagli ultimi governi arrivano nelle regioni del centro-Nord e solo il 24 per cento nel Mezzogiorno.[…] la mafia non è un fenomeno territoriale, non è un virus che invade un corpo sano. Non spunta dal nulla. E’ il frutto di un lavorio di anni.[…] Non va in qualsiasi luogo, ma ove c’è domanda di mafia e di ricchezza. Richiesta di organizzazioni che portino ammassi di denaro nero da riciclare, facile da reinvestire o da reimpiegare […] E non è neanche il prodotto di un’invasione del Nord Italia, di qualcuno che arriva dal Sud, ma uno scambio reciproco iniziato in un tempo ormai lontano” (pp. 164-186)
Un mondo in cui rappresentanti di Partito e sindaci di ridenti cittadine dell’Emilia Romagna devono presenziare a cerimonie religiose in cittadine calabresi come Cutro per accaparrarsi voti e appoggi necessari alle proprie aspirazioni politiche. Per poi dover rendere il favore o i favori difendendo e rielaborando i piani di grandi opere inutili come il TAV, fino al limite del ridicolo.5 Purché, là dove l’incrocio di interessi economici più disparati e un compromesso storico ante-litteram tra cooperative bianche e rosse hanno assunto da sempre il volto bonario di Don Camillo e Peppone, non si parli di criminalità organizzata.
“Dagli anni Sessanta le regioni del Nord sono state preda chi di Cosa Nostra, chi della ‘ndrangheta, chi della camorra. In Emilia invece ci sono tutte e tre contemporaneamente. All’inizio le coop di peso si dividono le regioni del Sud che contano, partecipando agli appalti. Le bolognesi e le ravennati in Sicilia, le modenesi in Campania, le reggiane in Calabria. Uno scambio perfetto. Cosa Nostra arrivava a Bologna e Ravenna […], la camorra a Modena, la ‘ndrangheta a Reggio Emilia. Non si entra nelle medie e grandi opere del Sud senza sedersi ai tavoli della criminalità organizzata” (Pag. 180) Con buona pace di ogni narrazione pietistica e di slogan pubblicitari del tipo: “La Coop sei tu…che cosa vuoi di più?”
Sarebbero tantissimi i tasselli del mosaico ricostruito da Amorosi che potrebbero ancora essere qui elencati ed esaminati, ma poiché il libro merita di essere apprezzato da chiunque non si voglia far abbindolare dallo storytelling renziano e perbenista del suo partito, a questo punto, vale la pena di suggerirne la lettura diretta e più attenta possibile. Ne vale davvero la pena.
A. Amorosi, C. Abbondanza, Tra la via Emilia e il clan, Casa della legalità e della cultura, Genova 2010 ↩
Relazione tecnica dell’ass._Amorosi sul Sistema politico di assegnazione delle case del Comune di Bologna del 16/2/2005 ↩
Vale la pena qui di annotare che circa un anno fa, presso tutti i punti di distribuzione Coop, fu lanciata una campagna promozionale per mezzo della quale i soci potevano trasformare i punti accumulati con gli acquisti in “bonus” per incrementare il lavoro giovanile. Praticamente i soci Coop invece di trasformare i loro punti in sconti sugli acquisti o premi di vario genere potevano di fatto pagare i vaucher con cui la Coop avrebbe pagato gli stagisti operanti nelle sue attività. Il tutto, naturalmente, presentato come solidarietà nei confronti dei giovani potenzialmente disoccupati. Insomma, la Coop poteva finanziare il lavoro “quasi nero” dei propri dipendenti senza tirar fuori un soldo: un autentico capolavoro di buonismo sociale! ↩
Luca Rastello, I buoni, Chiarelettere, 2014 ↩
Si consulti a tal proposito, e solo come esempio, l’ultima proposta del Ministro Del Rio per modificare costi e percorso del TAV in Val di Susa: http://ilmanifesto.info/torino-lione-il-governo-diventa-ni-tav/ oppure http://torino.repubblica.it/cronaca/2016/07/01/news/torino-lione_delrio_annuncia_stiamo_revisionando_il_progetto_useremo_di_piu_la_linea_vecchia_-143221243/ ↩