di Gaspare De Caro e Roberto De Caro
Vi sono questioni teoriche, etiche, politiche di apparente complessità, che talvolta si risolvono d’un tratto, come d’incanto. Al riguardo il cronista ha da riferire una storia della cui veridicità si fa garante, una storia che ha l’antico sapore di un apologo.
In questi tempi assassini, è accaduto che in una prima classe di una scuola superiore dell’Appennino tosco-emiliano irrompesse durante l’ora di lezione una bidella munita di foglio. Trattavasi di ordine superno che intimava l’immediato omaggio alle vittime della strage di Kabul, intendendo con ciò i parà della Folgore. Il professore, che è lì per questo, ha invitato gli studenti a osservare un minuto di silenzio, giusta il protocollo. Ci si apprestava dunque alla celebrazione del rito, quando da un banco si è alzata una ragazza e ha detto: «Non sono d’accordo». «E perché?», ha chiesto stupito l’insegnante. «Perché non abbiamo mai osservato un minuto di silenzio per gli altri morti». «Ma questo — ha obiettato il docente — è un attentato terroristico!». «La guerra è terrorismo», ha concluso lapidaria la fanciulla.
L’istruttivo apologo non manca naturalmente di precedenti, e neanche, nell’occasione, di altre espressioni, ma era un po’ che da noi non se ne registrava una versione così cristallina, e tanto meno nell’Appennino tosco-emiliano, terra da tempo ossequiosa e obbediente quant’altre mai.